Nel 1957 l’Urss lanciò nello spazio Sputnik 1, il primo satellite man-made in orbita intorno alla terra. Il presidente degli Stati Uniti Eisenhower, sorpreso dai progressi sovietici, in risposta decise di fondare la Nasa, lanciando la corsa allo spazio. Il senso collettivo di essere rimasti indietro e di dover fare qualcosa al più presto è stato definito come «momento Sputnik», qualcosa che di questi tempi è sentito in occidente riguardo alla crescente minaccia della disinformazione e all’avvento dell’intelligenza artificiale.
Il 24 febbraio di due anni fa mentre le truppe della Federazione Russa varcavano i confini ucraini, le immagini dell’impatto dei primi missili su Kyjiv e Kharkiv facevano il giro del mondo e raggiungevano i nostri smartphone. Ma se nei primi giorni del conflitto il ruolo delle piattaforme come Twitter – ora X, è stato quello di farci vivere in tempo reale l’aggressione russa, nei successivi due anni è stato principalmente quello di veicolare le opposte narrative e la dezinformatsiya russa.
Quest’ultima è stata utilizzata dal Cremlino e i suoi proxies in modi diversi durante il conflitto: per diffondere teorie del complotto e revisionismo storico per giustificare l’invasione – da prima del 24 febbraio alla recente intervista di Tucker Carlson a Putin per avvelenare i pozzi delle democrazie europee e affievolire il supporto militare a Kyjiv; per esercitare pressioni politiche sui paesi dello spazio post-sovietico come la Moldavia, e ovviamente per attaccare le istituzioni ucraine, il suo esercito e la sua popolazione.
Il caso forse più famoso risale ai primi giorni del conflitto, quando un video deepfake – generato con l’intelligenza artificiale, mostrava il presidente Zelensky mentre invitava i suoi soldati a deporre le armi. Seppur la qualità del video non fosse eccelsa, a colpire fu il suo uso tattico: volto a creare un vantaggio sul campo di battaglia, creando scompiglio e diserzione fra i ranghi dei combattenti, e colpendo simultaneamente il morale della nazione. Se due anni fa le smentite immediate di Kyjiv e il parallelo lavoro dei fact checkers hanno limitato il danno, ci si chiede quale sarebbe stato l’impatto con le tecnologie disponibili oggi, capaci di generare contenuti sintetici praticamente indistinguibili da video originali.
Dopo due anni di guerra informativa, la resistenza ucraina ai cyber attacchi e alle operazioni di disinformazione russa è andata ben oltre quanto previsto inizialmente. Ma qual è stato il segreto della difesa ucraina? E cosa l’occidente può imparare da Kyjiv?
La contro-disinformazione ucraina
Come evidenziato da un recente report dell’Hybrid Centre of Excellence – centro di ricerca sulle minacce ibride cui partecipano trentacinque fra paesi Ue e Nato con sede ad Helsinki, il modello di contro-disinformazione ucraino – che trova le sue fondamenta già nell’Euromaidan del 2014, ha diverse lezioni per l’occidente.
Il punto forse più interessante sottolineato nel report è stata la capacità di Kyjiv di adottare un approccio collaborativo nel contrastare la disinformazione, con al centro il ruolo indispensabile della società civile nel monitorare e respingere prontamente le false narrazioni. Ad esempio, la partnership fra le comunità di fact checkers e analisti Open source intelligence indipendenti e le autorità ha reso efficace l’azione di debunking proattivo e in tempo reale. Questo ha spesso impedito che informazioni distorte – quando non completamente false, venissero amplificate nello spazio informativo ucraino e dai grandi media internazionali.
Il governo non sarebbe riuscito a gestire da solo la mole di disinformazione così ampia e in rapida evoluzione; e allo stesso la minaccia è troppo profonda e sistemica per la sola società civile e le Ong. Lavorando insieme entrambi i settori si sono supportati a vicenda per raggiungere il loro obiettivo comune. Ad esempio, Ong specializzate – molte nate dall’esperienza dell’Euromaidan, hanno beneficiato di un approccio più flessibile e di una maggiore autorevolezza verso l’opinione pubblica a livello locale. Una partnership vincente resa possibile anche dalle risorse stanziate per l’educazione e la media literacy, che hanno creato una società e spazi informativi più resilienti.
Un problema ucraino, europeo e globale
La resistenza ucraina si trova in prima linea anche nelle trincee digitali, ma Kyjiv non è la sola a doversi difendere dalla minaccia informativa russa. Come per l’invio di armi e aiuti finanziari infatti, anche contro la disinformazione del Cremlino i governi e le organizzazioni internazionali occidentali hanno iniziato a reagire a questa intensificata offensiva cognitiva.
Recentemente, quella della manipolazione informativa è stata infatti definita «una delle più rilevanti minacce al tessuto delle nostre società e alla nostra democrazia»dall’Alto Rappresentante dell’Unione europea, Josep Borrell. In quanto in grado di «avvelenare le nostre democrazie liberali, che non possono vivere senza informazioni affidabili e senza fiducia nei processi democratici».
Dall’inizio del conflitto l’Ue ha infatti intrapreso diverse iniziative per lottare contro la disinformazione russa: il Consiglio ha bandito Russia Today e Sputnik, i principali media affiliati al Cremlino, e a luglio 2023 sanzionato sette individui e cinque entità responsabili per la campagna di disinformazione ‘Rrn’. Inoltre, la Commissione si è fatta promotrice del Digital Services Act (Dsa, legislazione che dovrà tra i suoi scopi prevenire la diffusione di disinformazione sulle grandi piattaforme. Mentre il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (Seae) – il servizio diplomatico dell’Ue, ha rafforzato il suo dipartimento per la comunicazione strategica che, fra le molte iniziative nel campo, ha dal 2015 lanciato ‘EUvsDisinfo’. Un sito web che lotta contro le campagne di disinformazione russa dirette contro l’Ue e i suoi Stati Membri, con l’obbiettivo di aumentare la consapevolezza dei cittadini sulle operazioni di disinformazione del Cremlino con un’instancabile opera di fact-checking.
Ma se il richiamo ai rischi per le nostre democrazie è più evidente in un anno elettorale che vedrà al voto ben due miliardi di persone nel mondo, il tema è molto più ampio e la posta in gioco è ben più alta del risultato delle prossime elezioni, americane o europee.
Questo è l’anno in cui il report del World Economic Forum di Davos, che riunisce i vertici della finanza globale, ha incluso la disinformazione nei suoi top risks per il 2024 e in cui quello della Munich Security Conference, chiusasi da pochi giorni, ha citato la disinformazione come esempio delle ricadute geopolitiche della corsa all’Ia. Nel quadro della contrapposizione fra democrazie e stati autoritari.
Infatti, come ricordato in un recente articolo sul Financial Times da Eliot Higgins, britannico fondatore del gruppo di giornalismo investigativo Bellingcat, se gli stati democratici stanno lavorando a strumenti normativi con l’intento genuino di combattere la disinformazione – e proteggere così la possibilità per i propri cittadini di informarsi liberamente, gli stessi strumenti – combinati con le possibilità offerta dall’Ia, potrebbero essere utilizzati da regimi autoritari come armi per sopprimere il dissenso e ulteriormente limitare le libertà nei propri confini. Il tutto, facendo passare i tentativi in buona fede delle democrazie come pretesto per la propria censura.
Dunque, due anni di intensificata guerra ibrida e un conflitto a pochi di chilometri dai nostri confini europei ci hanno insegnato che l’occidente può imparare qualcosa dalla contro disinformazione ucraina. Mentre sappiamo che l’offensiva informativa russa volge a occidente, visti i preparativi per le ingerenze russe nelle imminenti elezioni europee recentemente scoperti.
Il tutto mentre le istituzioni sovranazionali si preparano all’impatto della rivoluzione dell’intelligenza artificiale che renderà la creazione di contenuti fake più economica e accessibile, che il 2024 sia l’anno del momento sputnik per la lotta alla disinformazione?