Europe FirstL’autonomia strategica dell’Ue è un tema ineludibile

A meno di tre mesi dalle elezioni, i ventisette Stati membri faticano a capire l’importanza da riservare alla difesa europea soprattutto nel caso in cui gli Stati Uniti si dovessero ritirare dal fronte ucraino

Unsplash

Mancano ottanta giorni alle elezioni europee e l’attenzione dei governi dei ventisette Paesi membri è quasi esclusivamente concentrata sui temi della difesa europea, una sfida che non riguarda solo le ragioni della solidarietà dell’Unione europea verso l’Ucraina – sottoposta all’ininterrotto attacco della Russia come è avvenuto venerdì a Odessa e come avviene da oltre due anni nelle regioni occupate dalle truppe di Putin – ma anche le ragioni della nostra autonomia strategica che richiederebbero rapide e pragmatiche decisioni comuni. Devono garantire l’interoperabilità delle nostre strutture militari di terra, d’aria e di mare, investimenti europei in primo luogo negli acquisti, a cominciare dalla logistica, come anche il controllo nella vendita degli armamenti a Paesi terzi. E una comune formazione dei nostri ufficiali.

Le affrettate proposte della Commissione europea nella comune iniziativa di Ursula von der Leyen, di Thierry Breton e di Josep Borrell sulla difesa europea offrono solo una parzialissima e inadeguata risposta a queste ragioni, e lasciano dunque l’Unione europea senza una sostanziale autonomia strategica.

Lacuna che è aggravata dalla cacofonia tra i governi nazionali – a cominciare da quella fra Parigi e Berlino – che non riguarda solo il sostegno dell’Unione europea all’Ucraina ma più in generale la politica estera e di sicurezza europea sul Continente nella prospettiva dell’estensione del territorio dell’Unione verso i Balcani e l’Europa orientale; nelle regioni vicine e in particolare in Medio Oriente e in Africa per i crescenti conflitti che affliggono le regioni sub-sahariane.

Questa situazione di mancanza di autonomia strategica rischia di diventare drammatica se la posizione degli Stati Uniti verso l’Ucraina seguirà quella adottata in Afghanistan prima da Donald Trump fra il 2018 e il 2020 e poi da Joe Biden dal suo insediamento alla Casa Bianca nel gennaio 2021, fino alla conquista di Kabul da parte dei Talebani, occasione in cui Trump accusò Biden di essere scappato (ran out) dall’Afghanistan senza seguire il piano che sarebbe stato preparato dalla sua amministrazione.

L’ipotesi di un radicale cambio di rotta degli Stati Uniti verso l’Ucraina senza un accordo preliminare con gli alleati della Nato, così come avvenne nell’estate del 2021 a Kabul, non può essere esclusa nel caso del ritorno alla Casa Bianca di Trump fra la fine di novembre 2024 e il 20 gennaio 2025 durante il convulso periodo che farà seguito all’eventuale passaggio dall’amministrazione democratica a quella repubblicana. Ma le convulsioni non possono del resto essere escluse nel caso di una vittoria di misura di Biden su Trump. In entrambi i casi la politica estera degli Stati Uniti diventerebbe inaffidabile e sarebbe anche condizionata dagli imprevedibili equilibri o squilibri politici nella Camera dei Rappresentanti e al Senato a Washington.

Qualunque sarà la soluzione nel conflitto russo-ucraino – e cioè se il perdurare nello stallo militare con la continuazione dell’occupazione russa delle quattro regioni dove si sono svolti i referendum illegali sull’autodeterminazione renderà inevitabile una scelta fra il modello «coreano», quello «Germania Ovest/Germania Est» o il modello «Austria neutrale» – l’allontanamento degli Stati Uniti dal teatro geopolitico europeo richiederà un’accelerazione della realizzazione di un sistema autonomo di difesa europea pur nel quadro di un nuovo equilibrio politico e militare nell’Alleanza Atlantica.

Ciò apparirà necessario per garantire il ruolo dell’Unione europea nel sistema di cooperazione e di sicurezza sul Continente europeo, sapendo che dall’altra parte di quella che fu la «cortina di ferro» dovrà fare i conti con Vladimir Putin, rieletto ora fino al 2030 ma con la garanzia di poter rimanere al potere fino al 2036 e cioè fino ai suoi ottantaquattro anni; ma anche nel Mediterraneo, in Medio Oriente e in Africa. E tralasciando per ora l’inesistente ruolo europeo nella regione indo-pacifica, rimasto tale anche dopo l’inutile progetto presentato dalla Commissione europea e dall’Alto Rappresentante nella primavera 2021 e le pulsioni di una mediocre grandeur francese manifestate da Emmanuel Macron con la legge di programmazione militare 2024-2030.

In questo quadro di mutata situazione geopolitica e geoeconomica, appaiono ancor più attuali e degne di attenzione le sollecitazioni di Mario Draghi per aprire rapidamente la strada ad una sostanziale capacità finanziaria europea dopo il Next Generation EU (Ngeu). Questa capacità è essenziale in primo luogo nel settore della difesa, e cioè di investimenti in un’industria pubblica europea – non per spendere di più, ma per spendere meglio in comune – e poi per la transizione energetica, ecologica e digitale con accordi di partenariato pubblico/privato nell’acquisto di materie prime critiche e di terre rare. Cioè di riserve come il litio, il nichel e il cobalto, tutte al di fuori dell’Unione europea

Occorrerà per questo prestare attenzione alla costruzione di un’equa cooperazione fra l’Europa che ha bisogno di queste risorse e il Sud del mondo che le possiede, alla concentrazione dello sfruttamento delle risorse in zone a basso rischio ecologico garantendo il profitto economico dei paesi produttori, come anche alla tutela della biodiversità, delle comunità indigene e dei lavoratori nel quadro di un piano comune che eviti le asimmetrie e le disfunzioni neocoloniali che hanno caratterizzato le relazioni europee con l’Africa, l’America Latina e l’Asia.

Appare essenziale che il Consiglio europeo metta al centro dell’elaborazione dell’Agenda Strategica 2024-2029 – a cui può contribuire il rapporto Draghi sulla competitività – queste priorità, spostando avanti nel tempo la sua approvazione all’autunno 2024 in modo tale che possa essere il frutto di un lavoro comune con il Parlamento europeo, la nuova Commissione e la nuova leadership del Consiglio europeo; riconoscendo inoltre al Parlamento europeo la missione di definire il quadro politico ed istituzionale del futuro dell’Unione europea in un processo costituente che si concluda prima dell’ampliamento del suo territorio ai Paesi candidati.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter