Questo non è un articolo. Questo è un sostituto dell’incomodo di andare a depositare un soggetto cinematografico alla Siae, perché questa storia è la commedia che vorrei vedere al cinema, ho anche già delle idee sul cast e la regia – ma non divaghiamo. Questa è la storia di M.
M. è una bambina dell’ultimo quarto del Novecento. Nata alla fine degli anni Sessanta, è alle elementari nella seconda metà degli anni Settanta. È una di noi della penultima generazione che ha avuto la fortuna pazzeschissima di non risultare interessante ai propri genitori.
I genitori di M. erano adulti, adulti nell’ultimo trancio di mondo in cui gli adulti erano adulti. No: amici dei figli. No: gente convinta che essere genitori fosse un impegno e una vocazione e un modo per non procurarsi una vita e degli interessi e una carriera. Adulti di quelli nati dalle parti della seconda guerra mondiale. Adulti.
La madre di M. era figlia d’un uomo ricco, e avrebbe potuto non lavorare mai. Ma quelli erano anni in cui le donne all’emancipazione ci tenevano, e quindi lei voleva fare la hostess. Figuriamoci. Sua madre le aveva detto: figurarsi se vai a fare la cameriera di bordo, sul mio cadavere.
Aveva allora ripiegato su un concorso in un ministero, perché le donne della generazione che aveva dovuto conquistarsi i diritti non ambivano innanzitutto a stare nei gruppi di mamme su Facebook (sarà perché non c’era Facebook?), non sognavano giornate impiegate a controllare che Milano Ristorazione desse cibo senza glutine ai puccettoni che pranzano alla mensa scolastica (sarà perché non avevamo intolleranze immaginarie?), non ritenevano che il femminismo fosse smettere di usare gli elettrodomestici (sarà perché le loro madri o le loro governanti avevano lavato i panni al fiume e sapevano bene che la lavatrice era stata il più poderoso strumento d’emancipazione femminile assieme alla pillola anticoncezionale?).
La mamma di M. andava in ufficio tutti i giorni, il papà di M. pure. Era un dirigente Rai, in quell’epoca in cui i dirigenti Rai erano intellettuali, non debosciati la cui unica preoccupazione è arrivare in mensa («mènza», in lingua locale) a mezzogiorno meno un quarto così non trovano fila per la loro pausa pranzo di tre ore.
M. è cresciuta, come tutte noi, con delle babysitter. Che nessuna di noi sa con che criteri venissero scelte, o meglio, lo sappiamo bene: nessuno. Io a un certo punto venivo badata da una sedicenne calabrese in minigonna di jeans, la quale aveva come principali occupazioni lanciare olio in piatti d’acqua per togliere il malocchio, e raccontare di quella volta che sul corso del paese aveva visto Loredana Berté.
Non ho neanche una coetanea – M. compresa – che lascerebbe i suoi puccettoni a una simile sciamannata, e non perché noialtre ne abbiamo subìto chissà quali danni (si cresce a caso, mica se hai le nanny diplomate nelle migliori scuole specialistiche diventi un adulto sano di mente e se invece i tuoi sono dei disgraziati allora muori di eroina entro i vent’anni: magari causa ed effetto fossero in così preciso rapporto, sarebbe tutto più semplice).
Non recluteremmo ragazze a casaccio perché sono cambiati i tempi. La me sedicenne che in latteria sente una signora lamentarsi perché non ha nessuno che le tenga il bambino e dice «Vengo io» oggi è un personaggio di assoluta inverosimiglianza: la signora in latteria non lascerebbe mai alla me sedicenne sconosciuta senza referenze suo figlio, i genitori della me sedicenne non la lascerebbero mai andare in una casa di sconosciuti al pomeriggio.
La signora chiederebbe fedine penali e paturnie caratteriali di potenziali babysitter ad apposita app, nelle pause tra un’indagine su Milano Ristorazione e l’altra; la me sedicenne non andrebbe in latteria perché ci sarebbe sicuramente qualche psicoterapeuta che ha deciso che per la piccina è traumatico essere mandata a fare la spesa (e poi sarei intollerante al lattosio, come minimo).
E la me decenne non verrebbe badata da una sedicenne, e la M. alle elementari non avrebbe una turnazione di babysitter più o meno inaffidabili che la mollano sul prato di Villa Ada a giocare mentre loro s’infrattano coi fidanzati. Ma è di una babysitter specifica di M. che vogliamo parlare oggi, di quella che la teneva i pomeriggi dei suoi otto anni.
Era, raccontano i cronisti famigliari, particolarmente torva. La madre di M. era convinta che la odiasse, col padre aveva un rapporto appena più cordiale dovuto al di lui essere un collezionista di riviste. La babysitter gli rubava in continuazione i numeri di Lotta Continua. Nessuno se ne particolarmente turbava, la mamma di M., tornata dall’ufficio, non andava nei gruppi social a chiedere «La babysitter di mia figlia è molto interessata ai giornali estremisti, devo preoccuparmi?».
Finché, un giorno qualunque, la babysitter non si presenta. Non chiama. Non risponde alle chiamate. Non si sa che fine abbia fatto. Ma tu guarda questa stronza, pensa plausibilmente la madre di M. Poi, essendo donna d’un’epoca che non accendeva la telecamera del telefono per lamentarsi delle manchevolezze del mondo, fa la cosa pratica da fare: cerca un’altra babysitter. La trova, e non ci pensa più.
Non ci penserebbe più nessuno – madre, padre, figlia – se non fosse che non molto tempo dopo, siamo forse a quel punto all’altezza del liceo per M., riuniti a cena a scoprire gli avvenimenti del mondo dal tg (siamo sempre negli anni in cui le notizie non ci assediano dal telefono, ma stiamo tutto il giorno senza sapere cos’accada nel mondo, abbiamo la pazienza d’aspettare il notiziario delle otto), un giorno fin lì qualunque, la famiglia M. rivede la ex babysitter sparita senza avvisare. La rivede dentro al televisore.
È una foto segnaletica, ha lo stesso sguardo torvo, ma davvero è lei? La famiglia M. scopre di aver avuto un pezzo di storia degli anni di piombo in casa, e di non essersene accorta. La babysitter era Barbara Balzerani.
Non essendo più viva la Wertmüller, spero venga comunque accolta la mia ipotesi di titolo per questa inarrivabile commedia sulle infiltrazioni del terrorismo nella più insospettabile borghesia italiana (altro che “Caro papà”, Dino Risi scansati). Mi pare che il titolo non possa che essere “La babysitter oggi non può: è impegnata a rapire Aldo Moro”.