Custode della montagnaDawa Steven Sherpa e la pulizia dell’Everest come missione di vita

L’alpinista e attivista nepalese ha raggiunto la vetta più alta al mondo per la prima volta nel 2007. Da allora, non fa altro che pensare all’impatto dell’uomo sull’ecosistema montano. Una sana ossessione che ha portato risultati sorprendenti

Courtesy of Bally

La definizione che intercetta in modo più preciso lo spirito degli sherpa – termine usato anche in politica per indicare i diplomatici che affiancano un presidente durante un vertice internazionale – è “custodi delle montagne”. Parliamo, in teoria, di un gruppo etnico originario del Tibet, di religione buddhista e insediatosi infine in Nepal. Abituati a vivere in condizioni meteorologiche estreme, gli sherpa conoscono minuziosamente tutti gli angoli delle vette più alte e anguste della catena montuosa dell’Himalaya, ed è per questo che – nel tempo – si sono guadagnati la fama di accompagnatori, guide o capi-spedizione di scalate più o meno complesse. Le loro abilità nel portare pesi e orientarsi tra creste, crepacci e ghiacciai li rendono gli alleati perfetti degli alpinisti che non si accontentano mai. Gli sherpa cucinano i pasti, preparano le scale di sicurezza e le corde, sorreggono le attrezzature durante il tragitto, scelgono il percorso e fanno tanto altro “lavoro sporco” a dir poco essenziale. 

Uno di loro è Dawa Steven Sherpa, classe 1984, con padre nepalese e madre belga. In passato, per rendere l’idea, ha camminato per novantanove giorni per percorrere i 1.555 chilometri del Great Himalayan Trail, un trekking estremo che attraversa l’Himalaya da est a ovest. Nonostante sia visceralmente legato alle sue montagne, è uno sherpa dalla forma mentis internazionale: si è laureato in Scozia, parla sei lingue (olandese, nepalese, inglese, hindī, tedesco e cinese) ed è impegnato come divulgatore e attivista ambientale. Merito delle sue eco-spedizioni per ripulire il monte Everest (8848,85 m s.l.m.) dai rifiuti accumulati nella zona del campo base, ma anche lungo le vie verso la vetta. Negli anni, i media internazionali hanno definito questa montagna “la discarica più alta del mondo”, anche per via della presenza di microplastiche nella neve: una nomea forse eccessiva ma che simboleggia l’assenza di luoghi davvero protetti dall’impronta umana. 

Courtesy of Bally

Dawa Steven Sherpa, che è anche Ceo di Asian Trekking e ambassador del Wwf, ha però deciso di invertire la rotta. Con il supporto della maison Bally, che ha una fondazione dedicata alla protezione dell’ecosistema montano (Fondazione Bally Peak Outlook), ha condotto diverse scalate per liberare il gigante dell’Himalaya dalla plastica abbandonata da alpinisti che non fanno rima con ambientalisti. 

Di recente, la Fondazione Bally Peak Outlook ha anche sostenuto un podcast – prodotto dal giornalista Paolo Bosonin, ex produttore esecutivo del Wall Street Journal – chiamato “On Thin Ice”; l’obiettivo è quello di raccontare le contraddizioni, le sfide e gli stimoli del dibattito sul cambiamento climatico. Tra i futuri ospiti della serie audio – disponibile su tutte le piattaforme – c’è anche Dawa Steven Sherpa, che abbiamo intervistato brevemente dopo averlo conosciuto durante una sua rara tappa milanese. 

Hai scalato l’Everest diverse volte: quale spedizione ricordi con più emozione?
«Ho condotto diciassette spedizioni sull’Everest, raggiungendo la vetta tre volte. La prima volta in vetta, nel 2007, è stata anche la più memorabile: non sarei sincero se non lo ammettessi. Quell’anno, però, è stato anche un punto di svolta: ho visto con i miei occhi i danni arrecati dall’uomo alle nostre montagne, sia in termini di spazzatura accumulata, sia in termini di impatto del cambiamento climatico. I ghiacciai si stanno sciogliendo rapidamente. Da allora, la missione della mia vita è diventata la protezione di quelle vette». 

L’Everest è ancora la “discarica più alta del mondo”?
«È vero, un tempo il monte Everest era estremamente inquinato dalla plastica e da altri rifiuti. Ora, anche grazie a ciò che abbiamo fatto noi con la Fondazione Bally Peak Outdoor, è cento volte più pulito rispetto al passato. Sfortunatamente ci sono ancora dei vecchi rifiuti, risalenti a decenni fa, intrappolati nel ghiaccio. E, ancora oggi, non tutte le spedizioni sono perfette. Quindi la nostra missione rimane la stessa: continuare a pulire». 

Quali sono le difficoltà principali che incontri durante le tue eco-spedizioni?
«La difficoltà più grande è sempre il meteo. Quando scaliamo o puliamo le pendici dell’Everest, il meteo gioca sempre un ruolo cruciale, anche a livello di sicurezza. Purtroppo, a causa dei cambiamenti climatici, le condizioni meteorologiche stanno diventando molto più estreme e imprevedibili».

Courtesy of Bally

Il destino di alcuni ghiacciai sembra ormai segnato: hai ancora fiducia nel futuro della montagna?
«La fusione dei ghiacciai, per me, è la preoccupazione più grande. Mi rattrista immensamente quando vedo una montagna derubata della sua corona di ghiaccio. I ghiacciai non costituiscono solamente uno splendido scenario, ma forniscono acqua a miliardi di persone in tutto il mondo. Sono essenziali per ogni tipo di attività umana, dall’agricoltura all’energia idroelettrica. Quindi non abbiamo altra scelta che mantenere la speranza e lavorare per trovare soluzioni, perché l’alternativa è semplicemente accettare la catastrofe». 

Parlando di inquinamento e rifiuti sull’Everest, negli anni la sensibilità del governo nepalese è migliorata?
«Sì, ora la pulizia delle montagne rientra tra gli obiettivi principali della politica, a livello centrale e locale. Sono state introdotte nuove normative, c’è più monitoraggio e le leggi diventano anno dopo anno più rigorose. Il governo ha rapporti diretti con gli alpinisti e tutte le parti interessate, con l’obiettivo di sviluppare percorsi e coordinate in linea con le nuove normative. È fondamentale ridurre l’impatto del turismo e sviluppare opportunità di lavoro locali». 

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