Tortino al cioccolato dal cuore morbido Elogio del dessert al piatto

Che cosa c’entra un cremoso al pistacchio con le previsioni del tempo e con Guccini. E del perché quello che arriva a fine pasto è l’unico piatto sul quale fatichiamo a rischiare, uscendo dalla nostra zona di comfort

Foto di Mick Haupt su Unsplash

«Ho aperto questo ristorante con il cremoso al pistacchio nel menu, e dopo quasi due anni dall’apertura pensavo di poterlo eliminare. La torta cioccolato e pere che ho messo al suo posto è veramente buona: siamo contentissimi. Ma da quando abbiamo tolto questo nostro dessert storico, siamo stati sommersi dalle richieste di reintrodurlo». L’appello dell’amico ristoratore, che alla fine deciderà di cedere alle passioni dei clienti a discapito della “noia” di prepararlo e servirlo, ci ricorda di quando nel più importante quotidiano italiano – in occasione di un restyling grafico significativo – spostarono la posizione delle previsioni del tempo, e vennero letteralmente costretti a rimetterle al loro posto dai lettori imbufaliti.

A volte, alcuni capisaldi sono vittime del loro stesso successo: e anche se costringono chi li produce a una certa dose di disaffezione, per il cliente rimangono un baluardo imprescindibile dal quale non ci si può staccare. È come Guccini che canta “La locomotiva”, o Morandi che va a prendere il latte. O come il ristorante di grido che non elimina la pasta in bianco, anche se lo chef che l’ha pensata non c’è più. Non toglieteci le certezze, soprattutto quando parliamo di dolci.

Lo conferma anche Corrado Assenza, pasticciere pensatore che all’ultima edizione di Taste a Firenze conferma che non può togliere dalla vetrina i suoi grandi classici, e che è riuscito a introdurre i vegetali – che lui vorrebbe usare sempre di più in pasticceria – solo al momento dell’aperitivo: «Siamo tradizionalisti, quando parliamo di dolce. Non vogliamo lasciare la nostra zona di comfort. Il dolce deve essere comprensibile e accogliente quanto le pantofole quando rientriamo a casa: nessun rischio, nessuna sperimentazione quando finiamo il pasto o quando ci svegliamo la mattina».
Noi proviamo lo stesso a fare un appello a questi piatti di fascia alta senza i quali staremo ancora mangiando tortini dal cuore morbido con salsa alla vaniglia, che pure – insieme al tiramisù – rimangono una colonna portante della nostra panoramica dolce. Non si tratta di far cadere una crostata nel piatto, non è creatività artistica fine a sé stessa: è un cambio radicale di prospettiva, è tecnica della ristorazione applicata alla pasticceria, o ingredienti salati da usare con la sapienza propria della pasticceria. E come sempre quando parliamo di questo settore, in Francia stanno già facendo la differenza.

Arrivano all’ultimo minuto al ristorante, i dolci al piatto vengono preparati e ideati come piatti dai pasticcieri da ristorazione, forse i primi e forse i più adatti a rompere le regole del dolce. Rispetto alle crostate e ai crème caramel, questi dessert sofisticati spesso soffrono di poca indulgenza, ma alcuni di questi piatti dolci hanno segnato la storia della cucina, con una giovane avanguardia creativa che sta provando a rinnovare il genere. In Italia non ci siamo ancora, a parte pochi valorosi, che provano a cambiare davvero la visione del fine pasto, e di solito sono in grandi strutture: è la strada che sta percorrendo da ormai diversi anni Daniele Bonzi al Four Seasons di Milano, con i suoi dessert al piatto che mescolano le tecniche della cucina con quelle di pasticceria, e in cui consistenze diverse e abbinamenti creativi fanno del dolce un naturale proseguimento della sperimentazione gastronomica. Ci riesce, e con soddisfazione per il palato dei suoi ospiti, il giovanissimo Federico Andreini, anima dolce di Sustanza a Napoli: fuori schema e fuori consuetudine, i suoi dolci sono tra i più innovativi e dirompenti assaggiati ultimamente. Non c’è manierismo, non c’è stupore a tutti i costi: c’è desiderio autentico di andare oltre, e di fare la differenza anche sul finale del pasto. Come a casa Cedroni: se non vi siete divertiti con Alice nel Paese delle Meraviglie, e siete appassionati di sperimentazione, vale la pena andare a scoprire l’anima del sous chef corridore Luca Abbadir, capace di andare ben al di là del piatto e ben oltre il dolce, ma con un’anima giocosa e golosa che non lo abbandona anche quando è decisamente creativo.

La visione è quella che racconta da anni Jessica Préalpato, giovane stella del firmamento francese, che dal suo incontro con Monsieur Alain Ducasse ha cambiato la prospettiva della pasticceria, applicando le regole e lo stile dolce agli ingredienti propri di un universo salato. Oggi è all’Hotel San Régis di Parigi, dove serve il suo tea time da settembre, dove propone, per esempio, limone cotto nel succo di yuzu, sorbetto al limone, un’insalata di gambi di sedano mescolati con limone salato, e condita con pesto di dragoncello.

Miglior pasticciere del mondo 2019 secondo i 50 Best, ha le idee chiarissime su cos’è un dolce oggi: «Non è una torta su cui versiamo una coulis. Ciò che cerco sono consistenze diverse e calori diversi in modo che ogni boccone non sia lo stesso. Cerco di fare in modo che non ci annoiamo a fine pasto. Prendiamo ad esempio una torta al cioccolato: è deliziosa ma annoia dopo pochi cucchiai». Se volete capire un po’ di più il suo lavoro, e scoprire anche la sua passione per i frutti dimenticati come nespola, physalis e rosa canina li trovate nel suo Desseralité (edizione Alain Ducasse, 2020), un concentrato di bellezza e di coraggio.

Le ci è voluto un po’ per prendere confidenza con questo nuovo modo di pensare la pasticceria. Al Plaza Athénée si trattava di depurarsi costantemente: meno zucchero, meno panna, i malfidenti direbbero meno golosi. Tuttavia, ha costruito la sua strada, diventando un riferimento nei dolci al piatto, proprio come lo chef Sébastien Vauxion del ristorante Le Sarkara a Courchevel (Savoia), premiato con due stelle Michelin nel 2020 per il suo ristorante dedicato ai dolci, traguardo storico. Lo dimostra il suo audace menu del momento: gelato ai funghi e cocco e sedano sottilmente dolce, presentato con una salsa al vino rosso, come un ritorno dalla caccia. Formatosi per dieci anni nelle cucine di Pierre Gagnaire, Vauxion cucina i dolci senza vietarsi nulla. In cambio di questa assoluta libertà, spiega ai clienti al tavolo il suo approccio: «C’è bisogno di formazione, perché quello che facciamo è molto complicato per una clientela internazionale. Rompiamo i parametri di riferimento e questo lavoro può essere frainteso se non è ben spiegato». Un altro segno che se siamo ormai pronti a lasciarci stupire e sedurre con creatività nella parte salata dell’esperienza, fatichiamo ad abbandonare la calda e confortante esperienza di un dolce-dolce goloso e rassicurante per i nostri fine pasto.

Ai detrattori del piatto che sceglieranno la torta al cioccolato da condividere al cucchiaio piuttosto che un dolce alle mele cotogne, dobbiamo ricordare che il dolce nel piatto sta alla gastronomia come il crème caramel sta al bistrot: è una vetrina ed è il terreno di gioco delle avanguardie a dare spesso il tono di tutto il settore. Anche il tortino al cioccolato dal cuore morbido è stato un azzardo, da parte di Michel Bras e oggi è uno dei best seller del marchio Picard e ha fatto il giro del mondo diventando un must sui menu di innumerevoli ristoranti nel globo. In tutta questa sperimentazione sta il futuro nuovo classico: speriamo di intercettarlo quando è ancora una nicchia per intenditori.

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