Il cacciatorpediniere Caio Duilio, memore del comandante romano vittorioso contro i cartaginesi nella battaglia navale di Milazzo della prima guerra punica, abbatte il 2 marzo nel Mar Rosso un drone nemico Houthi (e in Italia par quasi si sia rivinta una guerra). Il 5 marzo la Camera (in un’Aula semideserta) approva, fra le altre, proprio la missione militare europea (con riferimento a risoluzioni Onu) Eunafor Aspides a partecipazione italiana in quelle acque per difendere le comunicazioni (commerciali e Internet) internazionali. Il Senato, lo stesso giorno, fa lo stesso.
Sempre il 5 marzo la Commissione europea ha presentato un piano per l’industria europea della difesa giacché in Europa, fra i ventisette Stati membri dell’Unione europea, l’industria degli armamenti è in sofferenza e «la minaccia di guerra può non essere imminente ma non è impossibile», così ha detto la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen.
Insomma, «l’Unione europea è in pericolo. La guerra è ai nostri confini», come sottolinea Josep Borrell, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione. Ben lo sa l’Ucraina, in sofferenza militare di fronte alla diminuita capacità internazionale di fornitura di armi e munizioni al proprio esercito. E se si tratta di diminuita capacità politica negli Stati Uniti – di fronte alla contrapposizione fra repubblicani e Joe Biden – la diminuzione è di carattere produttivo nell’Unione europea, come di recente sottolineato dal nostro ministro della Difesa Guido Crosetto: «Il sostegno a Kyjiv impone di ripristinare le scorte». E il ritorno eventuale di Donald Trump alla presidenza americana non fa certo confidare con sicurezza gli europei nella Nato, che proprio Trump ha individuato come luogo di necessario aumento delle spese militari sul versante europeo.
«I tempi si sono fatti stretti» (San Paolo, prima lettera ai Corinti, 7:29): Dmitry Medvedev, ex Presidente russo, se non è pazzo come Adolf Hitler a psicosi, si arrangia quanto a minaccia dell’uso dell’arma nucleare, seguito con lucida fermezza da Vladimir Putin («La Russia è pronta a usare armi nucleari tattiche», ci racconta in questi giorni il Financial Times).
Così la Commissione di Bruxelles lancia una strategia europea per l’industria della difesa con acquisti comuni (volontari) di armamenti e incentivi finanziari; con intervento del bilancio europeo (sia pur per i soli già stanziati 1,5 miliardi per il periodo 2025-2027); con modifica delle politiche di prestito della Banca europea degli investimenti (Bei) ora limitate a progetti di uso duplice civile e militare; con impiego dei fondi di coesione in funzione di sicurezza e rapidità della difesa; con l’obiettivo di un commercio di armamenti tra Stati europei pari almeno al trentacinque per cento del valore dell’intero mercato europeo della difesa entro il 2030, affinché sia parzialmente osservato il principio del “compra europeo” (ora siamo a una quota del quindici per cento). Il tutto accompagnato dal rafforzamento della cooperazione industriale militare proprio con l’Ucraina, fra l’altro in materia di droni.
Un Ufficio per l’innovazione della difesa sarà istituito nella capitale ucraina e andrà pure portato a esecuzione il progetto di utilizzo quanto meno dei profitti dei beni russi congelati dopo il 24 febbraio 2022 sul territorio dell’Unione europea – ciò fra l’altro allo scopo di «acquistare congiuntamente equipaggiamenti militari per l’Ucraina», ha precisato ancora von der Leyen, a cui si deve inoltre l’auspicio dell’istituzione di un commissario per la Difesa nella prossima Commissione europea.
Insomma si vuol procedere a una tappa importante verso una sovranità europea condivisa e significativa, nel mondo delle superpotenze. Fondamentale sarà la prossima elezione del Parlamento europeo a inizio giugno (8 e 9 in Italia).
Occorre votare candidati di partiti convinti di aprire prospettive invece di chiuderle, di avanzare nell’integrazione economico-sociale piuttosto che arretrare, di attuare in un periodo rapido una riforma dei Trattati istitutivi dell’Ue secondo le prospettive dettagliatamente aperte dal Parlamento europeo nel 2023 con le proprie risoluzioni.
Va ricordata in particolare quella del 22 novembre, dove specificamente si chiede l’istituzione di «un’Unione della difesa che comprenda unità militari e una capacità di dispiegamento rapido permanente, sotto il comando operativo dell’Unione; si propone che l’acquisizione congiunta e lo sviluppo degli armamenti siano finanziati dall’Unione tramite una dotazione di bilancio specifica adottata con procedura legislativa di codecisione (fra Parlamento europeo e Consiglio dei governi nazionali), e si propone che le competenze dell’Agenzia europea per la difesa (istituita nel 2004 per migliorare le capacità militari difensive anche comuni degli Stati membri) siano adeguate di conseguenza».
Cerchiamo di impedire di dar corpo all’affermazione del Vangelo di Marco (1.15): «Il tempo è compiuto». Non fermiamoci al tempo interrotto di costituzione di una Comunità europea di difesa (Ced), quando nel 1954 il Parlamento francese ne bloccò la realizzazione, e così venne impedita la formazione stessa di una Comunità politica federale europea (gli Stati Uniti d’Europa) che proprio partendo dalla stipulazione del Trattato istitutivo della Ced si sarebbe realizzata almeno – inizialmente – tra Italia, Germania, Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo.
Dino Guido Rinoldi è membro dell’Assemblea nazionale di +Europa e Professore di Organizzazione internazionale