In una società di massa come la nostra, dove le possibilità espressive sembrano essersi saturate e le dominanti collettive sono cadute, essere giovani e volersi cimentare in un ambito artistico sembra essere diventato estremamente difficile. Paradossalmente, di fronte agli incitamenti pubblicitari, di marketing – ma anche esistenziali – dei primi anni del secolo scorso, che inneggiavano al diventare se stessi, a essere unici, a definirsi, oggi l’istinto collettivo è rappresentato proprio da un ritorno a una rassicurante indifferenziazione. Come conciliare il desiderio del posto fisso, uno stipendio dignitoso, un’emancipazione economica, l’ingresso tra le maglie della vituperata età adulta con la manifestazione della propria irripetibilità? Moltissimi indietreggiano. I migliori fanno un passo avanti.
Pare la conferma, la dimostrazione di un’arena competitiva asfissiante e invece, paradossalmente, è un attestato di coraggio. Che si voglia scrivere o diventare registi cinematografici, ecco che fioccano le scuole, i corsi, gli istituti, le specializzazioni. Ciascuno è impegnato a livellare, a spianare, a cesellare la propria area di riferimento. Per quanto riguarda la moda, in particolare, l’Accademia di costume & moda (ACM) ha presentato alcuni giorni fa, precisamente il 16 marzo, la sfilata dei suoi venti migliori studenti, le collezioni dei laureandi. Sono solo venti e chiamati non a caso talents, talenti, i fiori all’occhiello di uno dei migliori luoghi di formazione del mondo secondo Fashionista e patrocinato infatti dalla Camera nazionale della moda. Bizzarre e al tempo stesso austere, cariche del senso del tempo presente e dei suoi imperativi e contemporaneamente pioniere di un certo savoir faire del passato. Così si potrebbero descrivere le collezioni degli studenti che si sono esibite a Roma, presso l’Acquario Romano in Piazza Manfredo Fanti 47.
L’insieme dei capi di abbigliamento presentati erano solo cinque, quindi facilmente riassumibili, e del resto erano il prodotto di un’attenta collaborazione con quarantatré aziende italiane dell’industria tessile, tra cui Achille Pinto e Clarks tanto per citarne un paio. I punti di riferimento più ricorrenti sembrano essere la continua declinazione di concetti quali la sostenibilità, l’artigianato o la manualità e la rivisitazione creativa del genere. Un po’ è così per l’edizione biennale della settimana della moda spagnola, che si tiene a Barcellona e si prefigge lo scopo di lanciare giovani talenti emergenti, oltre a marchi già noti, un accostamento cangiante e vivace di brand fondati solo negli ultimi anni da ragazzi e ragazze di venticinque anni come Laretta o The Artelier e vecchie glorie della tradizione iberica, tipo Custo.
Senso di comunità e innovazione, dunque, ben più forti di quelli della generazione precedente, caratterizzate, forse, da un eccesso di dimessa fatuità, originale quanto si vuole, continuamente rivisitata, ma scevra di coinvolgimenti etici. Sembra invece che oggi l’arte non possa che essere anche politica. Risulta chiaro anche se si pensa allo stesso evento, svoltosi il 21 marzo in un’accademia analoga: la NABA. Stavolta, forse perché si svolgeva a Milano, le collezioni mostravano la contaminazione con l’atmosfera meneghina, la quale, si sa, è essa stessa un soggetto. In collaborazione proprio con l’Hard Rock Cafè, nato a Londra nel 1971 e che oggi vanta una catena di locali presenti in tutto il mondo, gli studenti selezionati del triennio si sono sbizzarriti realizzando capi d’abbigliamento e accessori in chiave rock. Conosciamo le magliette e le felpe che al centro recavano la scritta diventata famosa dappertutto: erano sobrie, asciutte, semplicissime, maschili. Cosa può accadere dunque se rivisitate dall’immaginazione e dalla creatività delle nuove generazioni?
Gli studenti sono stati divisi in cinque gruppi. Approfittando del fatto che il capoluogo lombardo attira ogni anno migliaia di studenti, di cui uno su due arriva da fuori, hanno filtrato attraverso la propria esperienza un racconto legato alla città, alla sua musica, alla sua cultura giovanile, alla moda che la caratterizza e la avvolge. I graffiti tracciati sui muri, tipici delle zone periferiche e non solo, sono stati l’ispirazione per effetti al taglio vivo e grafiche a spruzzo. Lo spirito provocatorio del movimento Memphis, fondato da Ettore Sottsass negli anni Ottanta a Milano e che ha reso il design trasgressivo e colorato, è stato tradotto in forme geometriche stilizzate e dalle tinte vivaci.
Per non parlare della geografia urbana milanese, tanto cambiata negli ultimi dieci anni da rendersi irriconoscibile a chi se la ricorda grigia, piccina, funzionale, il cui centro si dipanava soltanto intorno a piazza del Duomo e alle sue insegne pubblicitarie scolorite. Oggi, Milano è anche e soprattutto vita notturna, eventi, indirizzi, tragitti in taxi, linee della metropolitana, locali, locali, locali, discoteche e chioschi notturni, i classici paninari, affollati di giovani che si fermano a mangiare un panino all’alba prima di andare a dormire.
Ecco, questi ultimi hanno ispirato accessori pensati apposta per il mondo del clubbing. La scena musicale underground e il movimento ballroom – nato a New York stavolta, con le prime sale da ballo aperte alle prime comunità lgbtq, afroamericane, trasgender – hanno ispirato foulard e bandane dai colori acidi. Le ispirazioni originali sono state poi tradotte in capi industrializzati, attraverso la collaborazione con la manifattura locale. Che si tratti di confrontarsi con la storia e il linguaggio specifico di un brand per reinterpretarlo, dando vita a quel che in letteratura si chiama pastiche o imitatio – quando si scrive prendendo a modello lo stile di un altro autore affermato – o creare una collezione da zero, i giovani vengono lanciati da giurie composte da personaggi di spicco del panorama della moda italiana. Nel caso dell’ACM, Piero Piazzi di Elite World Group, Walter Chiapponi, Marco Rambaldi, Sara Maino Sozzani.
All’ITS Arcademy – Museum of Art in Fashion, il primo museo della moda in Italia – i finalisti e i vincitori del concorso espongono vere e proprie opere in una mostra dedicata, intitolata Born to Create e saranno conservate in una collezione permanente interna all’edificio. Settecentottantadue candidati provenienti da sessantacinque paesi, che si confrontano con i maggiori esperti del settore, tra gli altri Justin Smith e Thomasine Barnekow, stelle nascenti dell’accessory design nell’alta moda e nei costumi per musica, film e serie televisive, al designer di Moncler Sergio Zambon, all’ex vincitore di ITS Contest, il giapponese Teppei Sugaya, al celebrity stylist Tom Eerebou. Un approccio ibrido, dal quale sono passati designer come Demna, Matthieu Blazy e Chopowa Lowena. Un approccio ibrido, che s’intreccia con il design e con l’arte e che si propone di fare in modo che la creatività si moltiplichi in modo circolare.