Soncini Protection ActIl mio solito articolo semestrale per abolire l’ora più buia

Gli esseri umani sono stati capaci d’inventarsi il Natale ma non il letargo, che sarebbe l’unica soluzione a questa roba da trogloditi chiamata ora solare che ci costringe a sorbirci cinque mesi in cui alle quattro è già notte

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Questo è l’ultimo giorno della nostra frequentazione, diceva dolente Sinéad O’Connor in una canzone in cui si rivolgeva al tizio da cui stava divorziando: io avevo diciassette anni, vivevo a Bologna – la città più buia d’Europa, con quei cazzo di portici – e pensavo che la vera tragedia fosse lasciarsi, e la sua dolenza fosse ben indirizzata.

Adesso che sono adulta come all’epoca non eravamo né io né Sinéad, adesso che so che lasciarsi è un guaio passeggero, adesso che so la cosa più importante da notare quando vai a vedere una casa è l’affaccio della camera da letto, adesso io oggi passerò la mattina a sospirare soddisfatta e dispettosa «questo è l’ultimo giorno della nostra frequentazione» rivolgendomi all’ora solare.

La settimana scorsa Oprah Winfrey è andata da Jimmy Kimmel e quello, trovandosi davanti la donna più ricca e potente d’America, non le ha chiesto una raccomandazione per far entrare i figli a Yale, non le ha chiesto il segreto del suo successo, non le ha chiesto un prestito: le ha chiesto d’intercedere perché passi la legge col nome più bello del mondo.

Il Sunshine Protection Act, la legge per la tutela della luce del giorno, è se ho capito bene stata approvata al Senato degli Stati Uniti ma non ancora alla Camera. Essendo americani, nonostante il nome stupendo si sono concentrati (Kimmel compreso) sulla questione sbagliata, cioè sullo sbattimento di cambiare orario (nell’epoca in cui non devi neanche rimettere a posto le lancette e ogni attrezzo fa da solo, sbattimento invero minimo).

Dice Kimmel che quando si cambia ora non si capisce più niente, i figli diventano insonni, e a leggere gli articoli americani sembra che cambiare ora causi tutti i mali del mondo, da più incidenti stradali a più ictus (d’altra parte sono americani, gente per cui non esiste il mondo fuori dai confini e che non si ritrova mai con nove ore di fuso orario, e se ci si ritrova è troppo impegnata a chiedersi perché a Parigi nei corridoi degli alberghi non ci sia la macchina per il ghiaccio per stravolgersi giacché è notte e non giorno).

Ma naturalmente il punto non è che stanotte si spostino gli orologi o che si siano spostati a ottobre e insomma non sono i due giorni l’anno che passi a chiederti «sì, ma che ora è?» mai sicuro (siamo gente del Novecento) di poterti fidare dell’ora che si è aggiornata da sola sul telefono, e nostalgico di quando con mille lire potevi chiamare il numero dell’ora esatta dal telefono a disco e farti rassicurare.

Il punto sono i cinque mesi in cui fa buio alle quattro. Sì, lo so che fa davvero buio alle quattro solo a dicembre e a gennaio, e a dicembre l’occidente si è premurato di distrarci inventandosi il Natale, così siamo troppo impegnati a imprecare perché non abbiamo finito di comprare i regali, di fare i pacchetti, di cucinare, di sventare la possibilità che a tavola la suocera sia seduta vicina alla cognata che odia, di organizzare partenze e ritorni, troppo impegnati a fingere che sia il periodo più bello dell’anno per accorgerci che è un periodo di merda e fa buio alle quattro.

Ma, se sei un adulto razionale, è da settembre che sai che presto farà buio alle quattro, che sarà tutto finito, che la vita non avrà più senso, e che gli esseri umani sono stati capaci d’inventarsi il Natale ma non il letargo, che sarebbe l’unica soluzione a questa roba da trogloditi che andiamo su Marte ma le ore diurne di luce sono le stesse di mille anni fa.

Quando hai smesso d’essere una diciassettenne di compiaciuta malinconia, una di quelle che sostengono di preferire le giornate di pioggia e il cielo grigio, quando cresci fuori dalla tua identità controcorrentista e rinneghi la te stessa abbastanza imbecille da dire quant’è bello l’inverno (inverno, poi: era inverno quando nevicava e faceva freddo, adesso dell’inverno è rimasto solo il buio alle quattro, sai che affarone), quant’è meglio della primavera con quei pollini fastidiosi, quando insomma sei adulta, capisci che la più urgente emergenza umanitaria è che non può fare buio quando non è neanche lontanamente ora di cena.

Ogni anno scrivo lo stesso articolo, e ogni anno arrivano quelli che si percepiscono lavoratori e mi dicono che io evidentemente non capisco il dramma di chi esce presto la mattina e se d’inverno ci fosse l’ora legale troverebbe buio pesto. Ogni anno io mi chiedo se questi che si percepiscono lavoratori dell’alba in realtà si sveglino alle dieci, beati loro.

Perché io non ho mai lavorato un giorno in vita mia, ma come tutti ho smesso di dormire verso i trent’anni, e quindi so tutto della luce del mattino, di quella luce del mattino che, nonostante l’ora solare, d’inverno è buia pesta. C’è un momento dell’anno in cui, se entro a far colazione al bar prima delle sette, e m’attardo un po’ a leggere i giornali, quando esco alle sette e mezza, il tragitto tra il bar e casa non è più notturno. C’è un momento in cui alle sette e mezza il cielo si comincia a schiarire, e quel momento è a fine febbraio.

Quindi vorrei sapere: questi sedicenti panettieri e in realtà evidentemente lavoratori del pomeriggio che vibratamente commentano i miei articoli spiegandomi che solo grazie all’ora solare loro escono di casa che non è più buio, a che diavolo di ora escono di casa?

E non potrebbero risparmiarci le loro opinioni, arrendersi come ci siamo arresi tutti al limitato numero di ore di luce in quella stagione inutile che è l’inverno tiepido eppure buio, rassegnarsi al fatto che a gennaio non uscirai di mattina con la luce, a qualunque ora tu esca, e lasciarci impostare una specie di salvezza per le persone civili, un orario che non preveda il buio pesto all’ora della merenda?

Certo, sarebbe meglio il letargo imposto per legge a tutti gli esseri umani tra ottobre e febbraio; ma, se proprio il feroce neoliberismo ci pretende produttivi per dodici mesi l’anno, almeno levatemi quella maledettissima ora solare.

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