Roulette russaL’ambiguità del Pd può andar bene per la Basilicata, ma sull’Ucraina non si scherza

I balletti sui candidati ci stanno se si parla di Abruzzo o di Sardegna. Meno per le Europee di giugno, dove Schlein preferisce Tarquinio, Strada e Annunziata a Picierno, Gori e gli altri che difendono l’Europa e il mondo libero dall’imperialismo di Mosca

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Sulla Basilicata si possono anche fare giochetti politicisti e persino brutte figure. Sull’Ucraina no. A Potenza puoi sacrificare il dottor Domenico Lacerenza, a Kyjiv non puoi fischiettare su Volodymyr Zelensky. Alle regionali sarde o lucane ti puoi anche piegare a Giuseppe Conte-Ghino di Tacco e perderti Matteo Renzi e Carlo Calenda, alle Europee devi avere la schiena dritta e avere una parola sola.

In Basilicata, alla fine, sembra si sia trovato un accordo sul nome del dem Piero Marrese, dopo un balletto sconcertante, con il Partito democratico che ne ha combinate di tutti i colori e ha accettato i diktat di “Giuseppe di Tacco”. Ma la vicenda peggiore, pur penosa, non è questa. È che il Nazareno ne sta combinando un’altra e anche più grave perché riguarda la vera partita di quest’anno, cioè le elezioni Europee: il pasticcio sulle liste. Pasticcio politico, intendiamo, che delle sorti personali di questo o quel candidato interessa niente.

Con quale profilo il Partito democratico va alle Europee? A guardare i nomi che girano dei candidati la domanda è legittima. È il partito di Marco Tarquinio, Cecilia Strada, Pietro Bartolo, Alessandro Zan, Sandro Ruotolo? Tutte persone che sull’Ucraina hanno posizioni, diciamo così, come minimo “fredde” rispetto alla causa del popolo ucraino che resiste all’aggressione di Mosca. O è il partito di Pina Picierno, Stefano Bonaccini, Irene Tinagli, Giorgio Gori, Antonio De Caro, che sulla questione – capirete, è dirimente – invece hanno sempre avuto una posizione giustamente intransigente?

A Sud, se ci sarà l’arruolamento di Lucia Annunziata, e con Ruotolo e Elly Schlein, il paradosso è mettere a rischio la rielezione di Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo e forse la più chiara sulla questione ucraina.

E che dire di Marco Tarquinio, da sempre su quelle posizioni sostanzialmente comprensive delle ragioni di Mosca – o comunque non tali da sostenere la resistenza ucraina –, che sono identiche a quelle di Michele Santoro? C’è da chiedersi che battaglia stiano facendo i Piero Fassino, i Lorenzo Guerini, gli Enzo Amendola per evitare questa deriva di ambiguità proprio nella fase più drammatica della resistenza di Kyjiv.

Diciamola più chiara: almeno su Tarquinio bisognerebbe dire no. Perché sull’Ucraina non si può scherzare e mandare nel gruppo dei socialisti europei esponenti che sulla guerra contro Putin non sono limpidi. E meno che mai in questa fase nella quale il governo italiano si sta defilando, contribuendo a isolare l’unico leader serio, Emmanuel Macron (stranamente ieri criticato da Matteo Renzi) che ha preso la leadership del sostegno all’esercito di Zelensky. E il Partito democratico che dice? Sta con Tarquinio o Picierno? Non dicano, burocraticamente: con tutti e due, siamo un grande partito.

Sulla politica estera, sulla guerra in Europa, non si possono avere due linee. L’ambiguità si può mascherare con le chiacchiere, ma il profilo delle liste deve essere chiaro. Ed è invece proprio questa doppiezza che infragilisce il partito di Elly Schlein agli occhi degli altri partiti (infatti l’avvocato, il Partito democratico, se lo porta a spasso) e di un’opinione pubblica sempre incerta sul posizionamento del Nazareno. Schlein, che tutti s’immaginavano battagliera anche in ragione delle sue caratteristiche personali, cede sempre ai Conte e ai Tarquinio, avviluppata dentro questa logica del “tutti insieme appassionatamente” esterna e interna che produce solo un’accelerazione verso il burrone. Sulla Basilicata si può anche giocare. Sull’Ucraina proprio no.

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