Collegamento stabileTutti i numeri, i dubbi (e gli espropri) del Ponte sullo Stretto di Messina

Una delegazione di tecnici ha incontrato i cittadini di Messina per parlare della ambiziosa opera pubblica. Per la sua costruzione salteranno interi quartieri e lidi balneari anche distanti dieci chilometri dai lavori. Per chi deciderà di fare causa gli scenari saranno imprevedibili

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La prima cosa che ti spiegano, è che tutti lo chiamano in maniera sbagliata, anche tu. Non si parla infatti di «Ponte sullo Stretto di Messina», ma di «collegamento stabile». Il ponte è la parte di una cosa più grande e complessa, insomma. È la cosa a cui tengono di più gli uomini del ponte, il piccolo esercito di ingegneri, progettisti, tecnici, consulenti, che stanno, concretamente mettendo mano alla madre di tutte le opere pubbliche italiane, quella che unirà la Sicilia all’Italia e al resto del mondo. Sono venuti a Messina, hanno incontrato il consiglio comunale, i comitati, i cittadini, i giornalisti. E ancora gli imprenditori e gli ordini professionali. È stato il primo vero confronto ufficiale con la città, non sono mancate le contestazioni. Tra un’interruzione e l’altra hanno risposto a tutte le domande, o quasi. E adesso, sul ponte, pardòn, il collegamento stabile, il suo progetto, sappiamo qualcosa in più. 

Si sono presentati con piani finanziari, rendering, tabelle con tanto di cronoprogramma, carte e carte sul progetto definitivo (ma, attenzione, non ancora esecutivo). Cercano la via del dialogo con le due comunità, incontrando molti rifiuti al confronto. Il tema più sentito, da queste parti, è quello degli espropri. Dalla società Stretto di Messina assicurano piena trasparenza sia per quanto riguarda la Sicilia che la sponda calabra di Villa San Giovanni. 

A che punto siamo? L’aggiornamento del progetto definitivo è stato approvato a febbraio 2024. Ed è stato approvato anche il piano aggiornato degli espropri. È in corso la Via, la Valutazione di Impatto Ambientale, e si procederà passo dopo passo con le conferenze dei servizi. Nei prossimi giorni ci sarà l’avviso sulla pubblica utilità dell’opera, completo delle particelle catastali oggetto di esproprio. Nei comuni di Villa San Giovanni e Messina verranno creati due sportelli ad hoc per tutti coloro che sono interessati.

Gli espropri partiranno a metà 2024, prima è necessaria l’approvazione del Cipess, il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica del Governo. «Nessuno verrà cacciato dalla sua proprietà», dicono dalla società, per rispondere anche ai tanti video che girano sui social, in questi giorni, con gente che citofona a casa di altri per dire: qui sarà espropriato, e vedere l’effetto che fa. Quella degli espropri è la parte più delicata della vicenda, dicono dalla società, e «faremo di tutto per muoverci con gradualità e nei tempi necessari, assicurando indennizzi equi». 

Il fatto è che i provvedimenti di esproprio –che ancora non si conoscono – riguarderanno migliaia di persone, una sorta di città dentro la città. Salteranno non solo fabbricati, ma interi quartieri, lidi balneari, attività commerciali e imprese, anche distanti dieci km dal ponte. Per chi accetta l’offerta e cede volontariamente la sua proprietà alla causa nobile del ponte, nulla quaestio, per gli altri (e saranno tantissimi, secondo gli umori) che faranno causa, gli scenari saranno imprevedibili. Le somme destinate a quegli espropri – spiegano dal pool di avvocati della società Stretto di Messina Spa – saranno allora destinate alla Cassa Depositi & Prestiti, in attesa che l’iter giudiziario termini. Ma intanto, tutti dovranno abbandonare le loro case. 

Per chi non è direttamente interessato ai lavori, l’obiezione più frequente è invece: «Altro che ponte, sistemate prima le autostrade, le strade statali, le ferrovie, i tanti cantieri infiniti nelle strade siciliane». «C’è un piano di investimenti in Sicilia e Calabria di decine di miliardi – spiegano sempre dalla società Stretto di Messina Spa – e poi non è che si può rinviare un’opera in attesa di interventi ritenuti necessari. L’esistenza di tanti problemi non significa rinviare un’opera che è in fase avanzata».

Tra qualcuno prevale il brutto presentimento che tra il fare o il non fare ci possa essere lo scenario peggiore, ben noto da queste parti: il ponte verrà iniziato, ma resterà un’eterna incompiuta, la madre, anzi, di tutte le incompiute. «È un rischio che non vogliamo neanche immaginare» è la risposta secca dei progettisti. Anche perché, a differenza di altri grandi progetti italiani, assicurano, c’è la copertura dell’intero fabbisogno finanziario, dodici miliardi di euro, stanziati dalla Legge Finanziaria del 2023. Quando il Cipess, dopo la Via, approverà il progetto definitivo, avrà contestualmente l’ok anche il piano finanziario dell’intero fabbisogno dell’opera.

Ma quando apre il cantiere? E quando verrà posata la prima pietra? In base alla tempistica attuale a breve si «apriranno le attività legate alla fase realizzativa», rispondono con prudente burocratese. Si, ma quando? «In estate», cioè in un tempo indeterminato da giugno a settembre. Ma scordatevi la prima pietra, si comincia con primi cantieri propedeutici: scavi per saggi archeologici, bonifiche, lavori collegati e connessi. Niente di emozionante, niente selfie di Salvini, magari, mentre manovra una pala. 

È qui che si chiarisce l’equivoco. Il ponte è l’opera di attraversamento in sé, il ponte sospeso a campata unica più lungo al mondo, il protagonista che attira l’attenzione. Ma il progetto comprende quaranta km di strade e autostrade, gallerie, ferrovie, un complesso sistema di raccordi tra Sicilia e Calabria. «Ma tutto questo sbattimento, tutta questa spesa, tutte queste carte, alla fine, servono?» è l’altra domanda frequente. I tecnici rispondono citando dei precedenti. Pure dell’Autostrada del Sole si diceva che era un’opera inutile, e ha unito l’Italia. Pure del Mose, è ha salvato Venezia già trenta volte. E poi citano una città: Helsinki. Che c’entra la capitale della Finlandia? E loro ti dicono: «Come che c’entra. È il corridoio». Quale corridoio? Ma il famoso corridoio Helsinki-Palermo, quello che finalmente unirà tutta l’Europa in verticale, dalla Scandinavia al Mediterraneo. Potremo andare in Lapponia in auto, teoricamente, senza mai scendere. Non è pazzesco? 

Si, ma ad Helsinki non c’è la mafia, qua si. E il discorso cade sul possibile interessamento delle organizzazioni criminali vecchie e nuove alla grande opera, e alla battuta di Don Luigi Ciotti, il padre spirituale di tutte le battaglie antimafia italiane, che ha detto: «Questo ponte non unirà due coste, ma due cosche». Sfizio calembour. Lato ponte assicurano protocolli di legalità molto dettagliati, e per spiegare che non stanno dentro ai formalismi dei tavoli e dei pennacchi, spiegano anche che in realtà l’attenzione deve essere massima non tanto per l’opera in sé, ma per i servizi e gli appalti connessi, dal movimento terra, ad esempio, al catering, dove, per esperienza, nei cantieri delle grandi opere, è maggiore il rischio di infiltrazione da parte della criminalità. Più della criminalità, comunque, ai piani alti fa paura la «resistenza immotivata all’opera, che allunga le procedure, fa aumentare i tempi e dunque costi per la collettività».

A proposito di tempi, ma con il ponte, rispetto alla situazione attuale (coda per i traghetti, imbarco, viaggio in traghetto, sbarco, via …) quanto si risparmia? Secondo i calcoli, i treni passeranno da due ore di attesa a trenta minuti. Le auto da un’ora di attesa a meno di trenta minuti. «Senza contare – aggiungono gli esperti – la riduzione dell’inquinamento, data la minore emissione di Co2 in atmosfera». La frase è fatta cadere là, per toccare l’argomento più delicato di tutta la faccenda, e cioè l’impatto ambientale. Sulle sponde della Calabria e quelle della Sicilia, ci sono zone a protezione speciale (Zps), siti di importanza comunitaria (Sic), c’è anche la riserva naturale di Capo Peloro, la percezione è molto diversa. L’impatto dell’infrastruttura sarà notevole, secondo alcuni disastroso.

Notevole sarà anche l’impatto sull’occupazione. I lavori del ponte dureranno sette anni. Verranno impiegate mediamente, quattromila unità, con punte di settemila, per un totale di ventottomila persone occupate direttamente nei cantieri. Poi ci sono le attività collaterali, e l’indotto. La proiezione più ottimista parla di altre novantamila unità. Al momento, il traffico è tutto di carte e dossier. Presto, però, sarà l’ora della verità, su questo ponte, pardon, su questo collegamento stabile, che l’Italia attende da un’eternità. 

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