Jaime, ti presento CharlotteLe surreali truffe alla sveglissima classe dirigente del nostro secolo

Un tempo c’era il principe nigeriano che provava ad abbindolare qualche sprovveduto, oggi la cronaca ci racconta storie incredibili in cui gli esseri umani sono d’inconcepibile cretinaggine

AP/Lapresse

Ho tanta nostalgia del principe nigeriano. Ce l’ho dal 15 febbraio, quando il New York magazine ha pubblicato forse il più incredibile articolo di quest’inverno, a firma Charlotte Cowles. Era talmente inverosimile che fino a qualche anno fa l’avrei liquidato come un disperato tentativo di farsi cliccare, ma di recente mi sono arresa al fatto che, quando qualcuno racconta una storia in cui gli esseri umani sono d’inconcepibile cretinaggine, la storia è sempre vera.

Per cinque settimane ho pensato che, cretina come Charlotte, al mondo ci fosse solo Charlotte. Poi mercoledì è arrivato Jaime, il cui secondo risultato di Google, mentre scrivo queste righe, è del gennaio 2023: «Fremantle ha un nuovo leadership team europeo: Jaime Ondarza». Si comincia così, con parole a caso come «leadership team», e si finisce con le cronache di mercoledì.

Il principe nigeriano era quello che ti scriveva che aveva un patrimonio di millemila miliardi e doveva piazzarlo da qualche parte, non è che potevi prenderteli sul tuo conto, saresti stato ricompensato, ma intanto per procedere a quest’operazione gli servivano due spicci per le marche da bollo, centomila euro e passa la paura.

Avevamo paura per i nostri nonni, che ci cascassero e si sputtanassero la nostra eredità, ma eravamo certi che noi, gente accorta e studiata, mica saremmo cascati nella truffa del principe nigeriano. I principi nigeriani erano un problema altrui, diversamente dall’Fbi.

I primi che hanno linkato il memoir di truffa subita di Charlotte Cowles, a metà febbraio, erano suoi amici, gente della sua redazione, insomma benintenzionati determinati a difenderla. Lo slogan prevalente era: può capitare a tutti. Se è capitato a lei, che di mestiere dà consigli finanziari sul giornale, mica è una sprovveduta.

Poi però abbiamo iniziato a leggere tutti quell’incredibile storia in cui un tizio che dice di lavorare per il governo le dice al telefono che la sua identità è stata clonata, e questa clonazione fa sì che lei ora sia sospettata di essere in mezzo a traffici illeciti, e quindi ci vorrà tempo per ristabilire la verità, e intanto quanto le serve per sopravvivere un anno? La tapina dice cinquantamila dollari, che francamente non so una che vive a New York come pensi le bastino per un anno ma vabbè, avrà fatto conto sugli emolumenti del marito.

E il tipo che certamente è un agente che tenta di proteggerla a quel punto le dice una cosa perfettamente ovvia e credibile, diamine, ci saremmo cascati tutti: le dice di andare in banca, prelevare cinquantamila dollari, metterli in una scatola, e lanciare la scatola nel finestrino della macchina d’un agente dell’Fbi che sarebbe passato a prendere quei cinquantamila onde ripulirli e restituirglieli e non farla morire di fame durante l’indagine.

Se negli anni Novanta avessimo visto questa scena al cinema, col truffatore interpretato da Kevin Spacey e la consulente finanziaria Pollyanna da Julia Roberts, avremmo lanciato i popcorn contro lo schermo. Ma non era neppure questo il problema.

Il problema arrivava molto prima, all’inizio del racconto, che cominciava con una tizia che si identificava come centralinista di Amazon che voleva accertarsi che Charlotte avesse comprato lei ottomila dollari di prodotti Apple. Non li ho comprati e neppure risultano tra i miei acquisti, diceva la sveglissima Charlotte dopo aver controllato sulla sua pagina. Eh, allora l’hanno clonata.

E a quel punto una che per lei era centralinista di Amazon le diceva, appoggiate quel che state bevendo perché rischiate di strozzarvi, che stavano avendo tanti di quei problemi di furti d’identità che lavoravano mano nella mano con la Federal Trade Commission, l’organismo governativo di controllo sulle truffe commerciali, e posso passarle il tizio a Washington che si occupa di queste cose? Ma certo.

Quindi il tizio in seguito alle istruzioni del quale questa tizia adulta che ha pure prole e non voglio neanche immaginare come la educhi, per tacere dei poveri lettori che le chiedono consigli, il tizio ubbidendo al quale questa tizia mette cinquantamila dollari in una scatola e li infila in una macchina la faccia del cui guidatore le è stato vietato di guardare, questo tizio le è stato passato al telefono da una che lei crede essere una centralinista di Amazon. Potrebbe capitare a tutti, certo.

È quindi con ridotto stupore che mercoledì ho letto di Jaime, capo per il Sud Europa di Fremantle, casa di produzione non esattamente secondaria nel cinema e nella tv di questi anni. Dunque questo tizio, che ogni giorno dovrà prendere decisioni multimilionarie quali «mettiamo o no soldi nel film della Cortellesi», riceve dei messaggi via WhatsApp.

La vicenda non è chiarissima perché i pezzi dei giornali italiani sono molto meno dettagliati delle memorie di Charlotte, ma insomma: riceve dei messaggi da un numero simile a quello d’un vero dirigente Fremantle (ma se è simile WhatsApp mica te lo fa apparire come quello che hai in rubrica), questo tizio gli dice che devono acquisire una qualche società e serve un bonifico di 937mila 670 euro (potevano almeno arrotondare, pulciari di truffatori).

Poi una telefonata, da uno che almeno non si presenta come centralinista di Amazon ma come avvocato che sta gestendo l’acquisizione. Costui gli detta un iban. E lo sventurato procede a fare il bonifico (ma i bonifici li fanno i grandi capi in persona personalmente? E li fanno con la funzione “bonifico immediato” non revocabile? Totò che vendeva la fontana di Trevi aveva più senso).

Secondo il Corriere anche Jaime, come Charlotte, solo una volta buttati i soldi si fa venire il sospetto che sia una truffa. Passa ore al telefono coi collaboratori a capire se quei messaggi siano veri (che meraviglia saranno state quelle telefonate, «ditemi: sono un coglione?» «mannò, capo: può capitare a tutti»).

Ve lo dico con la prosa lirica del Corriere: «È bastato un rapido controllo per capire di essere caduto nella trappola». Ma farlo prima, il rapido controllo? Cos’è, andavano bonificati novecentomila e fischia euro prima che scadesse l’offerta per i primi cento col cambio shimano?

Jaime telefona, dice il Corriere, «nel cuore della notte» al 112, e a quel punto, dice sempre il Corriere, «una volante si è precipitata a casa di Ondarza, che vive in una villa a Casal Palocco, quartiere residenziale a Roma sud». Si sono precipitati a vedere se trovavano il pulsante «revoca bonifico», immagino.

«Un raggiro tutt’altro che raro negli ultimi tempi, conosciuto con il nome di “Ceo Fraud”», giura il Corriere. Abbiamo una classe dirigente così sveglia che, là dove una volta si vendevano enciclopedie per bambini promettendo provini allo Zecchino d’oro, ora appare più semplice e fruttuoso truffare non le babysitter ma gli amministratori delegati, gente che fa il bonifico dal cellulare mentre gioca a golf.

Il futuro è luminoso per tutti noi, con queste consulenti che ci danno consigli finanziari dai giornali, con questi dirigenti d’azienda che prendono decisioni ponderate. L’unica buona notizia è che è tutto materiale da commedia, e il cinema italiano ne ha molto bisogno. Jaime, ti presento Charlotte.

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