Saranno famosi Fiorello, i nepo baby e il secolo dei Calboni al potere

Viviamo in un tempo così scemo che l’uomo più potente della televisione ha dovuto chiarire di non aver chiesto provvedimenti per il giornalista del Tg2 che ha fatto una battuta fuori onda sua figlia

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Sono le cinque di mattina, quando al povero Fiorello tocca accendere la telecamera del telefono come una Ferragni qualunque. Non che non lo faccia spesso, di fare una diretta per il pubblico di Instagram prima di quella delle sette di mattina per il pubblico di Rai 2: accendere la telecamera del telefono è una compulsione, e lui è uno dei molti che ce l’hanno.

Mercoledì mattina alle cinque, però, a Fiorello tocca fare la cosa più noiosa del mondo: chiarire. Dare spiegazioni. Contestualizzare. E il tutto, ed è per questo che si guadagna l’aggettivo «povero», per una cosa che non ha nemmeno fatto lui, se non nel ruolo di battito d’ali di farfalla che alla fine della catena diventa uragano.

Accade che martedì fosse la festa del papà, una di quelle ricorrenze che quando eravamo piccoli noi nessuno si filava e adesso sono l’anima del commercio, da san Valentino a Halloween. La festa del papà, quando manca un mese a quell’altra festività nazionale nella quale tutti ci spiegano d’aver avuto nonni partigiani (cento milioni di partigiani), è quel giorno di marzo in cui tutti ci ricordano d’aver avuto genitori di specchiata moralità e che per un pelo non hanno preso il premio Nobel.

Non sarà qui e ora che ci metteremo a discutere dell’inspiegabile voragine evolutiva per cui una generazione di padri intelligentissimi e pieni di virtù ha prodotto una nazione di imbecilli che parcheggiano in doppia fila; oggi ci tocca parlare di come la festa del papà non potesse non entrare nel programma di Fiorello, che martedì mattina si porta in trasmissione la figlia.

Al Tg2, dove conoscono i polli dell’epoca in cui il pubblico vuole vedere solo cose che non lo complessino, e un siparietto padre-figlia è perfetto perché l’amore genitoriale è proprio alla portata di qualunque spettatore senza qualità, mandano un servizio su Fiorello e prole.

Il tizio che conduce il tg, a lancio finito e servizio partito (e credo anche concluso: sono imprecisa giacché, come tutti, non guardo i tg da secoli e ho visto il pezzetto on line), dice qualcosa credendo che il suo microfono sia spento, e quel qualcosa è: che carini, adesso questa c’avrà dodici trasmissioni. (A metà della parola «trasmissioni», il tecnico audio si rende conto che deve chiudergli il microfono, ma è troppo tardi).

Quando il pezzettino viene messo sui social, ai giornali non pare vero riprenderlo titolando cose come «super gaffe» o «fuorionda velenoso» (forse la risposta al declino è quella: una generazione di padri normodotati ha avuto figli che, coi titoli di giornale che ogni giorno gli passano davanti, non potevano che rimbecillirsi).

La cosa che più viene detta in privato è «chissà Fiorello come s’incazza», perché la permalosità del signore è abbastanza leggendaria da essere tema di conversazione anche per i saperlalunghisti che non lo conoscono.

Abbastanza leggendaria da essere nota anche ai Calboni del caso. Il Calboni del giorno è l’amministratore delegato della Rai, che annuncia un provvedimento disciplinare. Per il tecnico audio che ancora non ha imparato a chiudere i microfoni di chi in quel momento non è in onda? Per il regista che non ha dato l’ordine giusto al mixer audio? Per Fiorello che ha portato una minorenne in trasmissione? Macché: per il Carneade che conduceva il tg e ha osato, ohibò, dire la cosa più detta degli ultimi quindici mesi.

A dicembre del 2022, il New York fa una copertina sui nepo baby, i figli di famosi che a loro volta lavorano a Hollywood. Cioè, si scopre sfogliandolo, praticamente tutti: anche gente che non sapevamo fosse imparentata con attori, cantanti, dirigenti di multinazionali dello spettacolo invece lo è. Quello di Hollywood è un capitalismo familiare.

Noialtri fessi cui piacciono i neologismi inglesi, e che mai ci saremmo appassionati a un tema che venisse etichettato con l’antiquato e noioso «raccomandati», per «nepo baby» abbiamo subito un friccico, e ci mettiamo a osservare con nuovo interesse i «figli di» (traduzione italiana dei bebè del nepotismo). Insomma: la battuta su Angelica Fiorello l’avrebbe potuta fare chiunque, l’ha probabilmente fatta chiunque stesse guardando il programma.

E sì, il genere del fuorionda esiste, lo sappiamo da sempre e ci hanno rinfrescato questa consapevolezza le vicende d’un certo quasi-marito di presidente del Consiglio, e in uno studio televisivo bisognerebbe stare sempre più attenti che nel proprio tinello, ma insomma: provvedimento disciplinare? Ma seriamente?

La sera di martedì è già colpa del povero Fiorello, coi saperlalunghisti social che (mentre quello probabilmente dorme, come faremmo tutti se andassimo in tv alle sette di mattina) dicono che non facendo dichiarazioni egli avalla la decisione presa dai Calboni per compiacerlo.

Quindi alle cinque di mattina gli tocca accendere la telecamera del telefono, dire che di questo pasticcio parlerà in trasmissione (come avrebbe, plausibilmente, fatto comunque), dire che non è successo niente, che se venissero fuori i fuorionda suoi «altro che provvedimento disciplinare, mi arresterebbero», che la reazione della Rai è stata esageratissima, e soprattutto mettere su il suo miglior tono Corleone e pronosticare «sono sicuro che non succederà niente».

All’oggetto della battuta del giorno prima tocca, il giorno dopo, rassicurare che non è lui il cattivo, non è lui che minaccia ritorsioni, non è lui che esige vendetta, tremenda vendetta (anzi: lui è quello che all’amministratore delegato ha detto di lasciar perdere, ovvero gli ha fatto un’offerta che non può rifiutare).

E quindi questa non è la storia della prima apparizione televisiva di Angelica Fiorello (che il padre ha assicurato ai follower non avere velleità artistiche); non è la storia d’un povero Carneade che fa una battuta ai suoi colleghi e si ritrova oggetto di provvedimenti disciplinari come neanche quelli che tornano dalle Olimpiadi con cinquanta ricevute dello stesso ristorante tutte per importi vertiginosi; non è neanche una storia di vestiti nuovi dell’imperatore.

Questa è la storia di come, quando sei l’uomo più potente della televisione italiana, ciò cui devi stare attento non è che il commercialista non ti freghi sulle fatture, non è che i tuoi autori non plagino battute facendoti fare la figura di quello senza idee, non è neanche lo share. Il tallone della tua non immortalità, in quest’epoca meravigliosa, sarà il Calboni smanioso di compiacerti. Nel secolo che i Calboni li ha fatti capi del mondo.

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