Una volta c’era il pane nel cestino. Prima era a fette, poi sono arrivati i paninetti coi semi, paninetti monoporzione, piccoli pani con vari gusti e vari condimenti. Poi è arrivato Romito, e provocatoriamente ha messo al centro della tavola la pagnotta. Era il 2017. Oggi non c’è ristorante che non serva il pane intero, crosta croccante e scura e interno morbido e alveolato, tagliato in quattro e portato in tavola caldo al punto giusto, pronto da mangiare a morsi. Per Romito è stata avanguardia, oggi è prassi consueta, frutto di una visione gastronomica diventata tradizione contemporanea.
Poi, però, come si fa a mangiare il pane senza “qualcosa”? L’olio era la consuetudine più immediata, l’alternativa scontata. Ma per fare qualcosa di altrettanto goloso ma più contemporaneo si è aperta la via del burro. C’è davvero bisogno di spiegare il suo fascino? Forse l’aspetto più sorprendente di questo sviluppo è che ci sia voluto così tanto tempo perché la gente ammettesse di volere che il burro diventasse un ingrediente principale. È un alimento che può essere spalmato e condito con sale a scaglie, e farlo davanti al vostro telefono farà battere l’icona del cuoricino a tutti i pollici che vi seguono.
Ma quando è iniziata la rinascita del burro? Nell’era moderna del cibo italiano possiamo far risalire questa riscoperta a Philippe Léveillé, bretone naturalizzato bresciano, due stelle Michelin che sottolineano la grande tecnica e la meravigliosa accoglienza, e svelano una cucina solida, concreta, piacevolissima. Lo chef al burro ha dedicato anche un libro, dal titolo più che mai evocativo: “La mia vita al burro“, e cosa desiderare di più? Ma non è di sicuro l’unico ad aver intuito le potenzialità infinite di questo alimento, e ad averne fatta un’icona.
Salendo un po’ più in su, arriviamo a Cortina e scopriamo un altro appassionatissimo, che ha creato una narrativa gastronomica proprio partendo dai latticini, e mettendo a frutto l’attività di famiglia dandole un’anima fine dining, primo tra tutti a decidere che il burro poteva ambire a passare dalle stalle alle stelle. Al San Brite la cucchiaiata di burro appoggiata al sasso è un rito di iniziazione, è l’apertura del pasto, è la firma e il segno di un luogo. È il territorio che arriva a tavola, è una dichiarazione di intenti da spalmare. È l’inizio del percorso che ci fa capire quanto qui locale e globale si intreccino fortemente.
Passando a Roma, un altro stellato ha fatto del servizio del burro una scelta stilistica, concreta, di gusto: Roy Caceres nel suo nuovo Orma ha introdotto a inizio pasto il kaymak, una sorta di burro turco da accompagnare alla piccola focaccia con farina di mais o al pane cotto sulla brace che lievita abbracciato a uno stecco di liquirizia. Una delizia da gustare senza soluzione di continuità, alternando le consistenze del supporto e modificando le quantità di suadenza a seconda del bisogno.
Stella che vai, burro che trovi: da Trattoria Contemporanea a Lomazzo il servizio del burro è una cosa seria, e il cremoso companatico arriva sul piattino da un cucchiaio intinto in un mastello. C’è anche l’olio, ma è il condimento bianco ad avere la meglio in questo momento così speciale, in cui si apre il dialogo tra commensale e sala, e ci si confronta per la prima volta con una cucina aperta sul piacere di chi sta a tavola, concentrata a farci stare bene, senza sovrastrutture ma con tanta concretezza.
Tanto burro anche a Villa Feltrinelli, nello scrigno bistellato di Stefano Baiocco sul lago di Garda: la mistica baguette si incontra con un burro aromatizzato con sardine di lago essiccate e il Torch di Giovanni Cervi, condito con lardo di Wagyu, buccia di yuzu e polvere di limone bruciato. Pura avanguardia burrosa.
E se in Francia è storia rinnovata, come dimostra questa teoria di pani ben sostenuta da burri diversi, e da noi è ormai prassi consolidata, nella patria che lancia le mode è tendenza senza se e senza ma. È partito tutto dallo chef Max Mackinnon che ha esposto al centro della sua cucina a vista la pila di burro Rodolphe Le Meunier a temperatura ambiente, zangolato a legna, facendolo subito diventare un oggetto di grande appeal. E se a Parigi o a Copenaghen questo gesto potrebbe non sembrare rivoluzionario, nel West Village una gigantesca montagna di burro è provocazione, diventata subito moda da condividere sui social. Sebbene il burro sia sempre stato una fissazione per un certo tipo di chef ossessionato dai dettagli e dalla cucina francese, Anthony Bourdain in testa, tradizionalmente è stato in gran parte osteggiato, con i suoi benefici e svantaggi dietetici che si alternano nel corso degli anni.
Ma l’entusiasmo per il burro di Libertine è parte di un crescente interesse in tutti i tipi di locali di ristorazione. E nella patria dello stortytelling, cercano anche di dare una spiegazione razionale a quello che è solo piacere puro spalmabile: «È come il motivo per cui tutti mettono una patata al forno nel loro menu: il kitsch sta tornando», dice al New York Times lo chef Donald Hawk, che sminuzza la pelle di faraona e la monta con burro fresco per servirla con miele e un pretzel bianco di grano Sonoran nel suo San Valentino a Phoenix.
Sempre grazie alle indagini del NYT scopriamo che da MaMou , a New Orleans, un pretzel viene servito accanto a un piatto di burro affumicato a freddo, mantecato con piment d’Espelette e ricoperto da una spolverata di erbe tritate. Nel frattempo, a Las Vegas, gli ospiti dello Stanton Social Prime possono ordinare un disco di burro morbido condito con minuscole crudité e sale in scaglie, servito all’interno di una cloche piena di fumo sollevata al tavolo. Costa 18 dollari.
«Il pane è buono anche da solo», dice Alex Wilmot, proprietario di Gigi’s a Los Angeles, dove il burro fermentato condito con caviale costa 32 dollari. «Ma alla gente piace l’indulgenza: vogliono uno spettacolo». E se riescono a farsela pagare, bravi loro: ormai le sontuose (e costose) esposizioni di burro sono diventate il pezzo forte di un numero crescente di menu.
In tutto il Paese, contenitori di burro di nobile pedigree o condito con ingredienti di lusso sono diventati la nuova norma. Una volta alla settimana, lo chef Brad Cecchi e il suo team del ristorante Canon di East Sacramento cucinano lentamente cinque libbre di cheddar con burro locale per tre ore, finché il grasso del formaggio non si fonde con il resto del latticino. Successivamente, i cuochi condiscono il burro con kombu, aglio disidratato, lievito alimentare e funghi shiitake secchi e lo completano con patate ed erba cipollina.
De resto, c’è davvero bisogno di spiegare il fascino del burro? Forse l’aspetto più sorprendente di questo sviluppo è che ci è voluto così tanto tempo prima che le persone ammettessero che volevano che il burro diventasse l’ingrediente principale. È un alimento che può essere spalmato su una fetta di pane e condito con sale in scaglie, e in un semplice gesto avrete raccolto mille like. Se il pane è sinonimo di umiltà e lavoro – basta guardarlo per sapere che qualcuno ha passato giorni a trasformare ingredienti modesti in una pagnotta – il burro è l’incarnazione dell’eccesso.
Il burro arrivò in America nel 1607 e alla fine arrivò alle fiere statali, dove gli scultori lo trasformarono in pubblicità per l’agricoltura locale. Molti secoli dopo, dopo che Dan Barber introdusse il “burro a mammella singola” (un piatto da degustazione di burri, ciascuno proveniente da una mucca diversa), ma prima che Butter Dawg prendesse piede su TikTok sostenendo una dieta composta principalmente da bastoncini interi – il creatore di ricette Justine Doiron ha convertito gli Stati Uniti al burro. Circa un anno e mezzo fa, ha pubblicato un tutorial di una ricetta di Joshua McFadden in cui spalmava il burro a temperatura ambiente sulla superficie di un tagliere a forma di toast, in modo che gli ospiti potessero immergervi il pane direttamente. Ha condito il burro con sale, scorza di limone, cipolla rossa e fiori commestibili. «È molto più conveniente di un tagliere di salumi, e risulta comunque uno spettacolo», ha scritto Doiron nel suo post sul blog di accompagnamento.
In un mondo in cui esistono martini a 45 dollari, 10 dollari per un po’ di burro cheddar con crostini di patate è praticamente un affare. Al Quality Bistro nel centro di Manhattan, lo chef Craig Koketsu afferma che la popolarità del suo servizio di burro da 38 dollari è esplosa negli ultimi due anni. Nel 2021, il ristorante – che conta circa cinquanta tavoli – ha fatto in media una dozzina di ordini ogni sera; ora ne vende trenta. Il burro guarnito con fleur de sel, Espelette, pepe nero e scalogno tritato esce su un vassoio d’argento su un gueridon, con una selezione di jambon cuit, cornichon, vinaigrette di porri, salse varie e pane rustico. Indovinate che cosa fanno i commensali prima di gustarlo? Pubblicità a costo zero al ristorante. Ci hanno fatto persino un servizio speciale per i compleanni. La torta è superata: vuoi mettere un servizio del burro spettacolare?