From the river to the campusLe proteste degli studenti filopalestinesi alla Columbia

La Columbia University e l’università della California sono diventati i centri più attivi delle contestazioni studentesche contro Israele. Gli attivisti hanno agito perlopiù in maniera pacifica ma non sono mancati casi di antisemitismo

AP/LaPresse

Circa dodici ore dopo la scadenza per lo sgombero del campus della Columbia University da parte degli attivisti filopalestinesi che da due settimane organizzano sit in nei prati di proprietà del college, un gruppo anonimo di attivisti ha occupato un edificio della Columbia, l’Hamilton Hall, da cui ora sventola uno striscione che recita «Palestina libera». Il palazzo nell’ultimo mezzo secolo è stato occupato più volte dai collettivi che protestavano di volta in volta contro l’apartheid in Sud Africa e le discriminazioni razziali negli Stati Uniti. 

La Columbia ha annunciato di aver iniziato le procedure per sospendere gli studenti che nei giorni scorsi hanno preso parte alle proteste e che si sono rifiutati di sgomberare entro l’orario stabilito dallo staff universitario, e ha inoltre chiuso il campus a chiunque non abiti nei dormitori al suo interno. La decisione è arrivata dopo che le trattative tra movimenti studenteschi e università sono giunte a un vicolo cieco. La polizia di New York nelle scorse settimane ha arrestato più di cento studenti, ma gli attivisti non hanno desistito, e anzi hanno intensificato le loro proteste, che sono state definite dal Guardian come le più significative dai tempi delle contestazioni contro la guerra in Vietnam dagli anni Sessanta. 

Chi protesta chiede – oltre a un cessate il fuoco immediato a Gaza – che i fondi della Columbia destinati alle collaborazioni con enti israeliani e aziende che operano nello Stato ebraico vengano ridistribuiti in progetti che investono sulla sanità e la formazione accademica a Gaza, ma la rettrice Minouche Shafik non ha accettato. 

Le modalità in cui gli attivisti avanzano queste richieste hanno portato parte della popolazione studentesca sono state criticate per antisemitismo, anche perché gli studenti ebrei della Columbia hanno spiegato di avere paura di frequentare il campus e addirittura a denunciare l’università proprio per questo motivo. E per questo motivo l’università ha deciso di prendere provvedimenti disciplinari verso chi ha partecipato ai sit in per «assicurare un ambiente sicuro nel campus». Anche perché, secondo il portavoce della comunità accademica Ben Chang, le proteste non consentirebbero un corretto svolgimento delle attività formative all’interno del campus, con i cori che distrarrebbero gli studenti dalla preparazione degli esami. 

Le proteste non hanno interessato solo l’università newyorkese: nei campus di tutto il Paese i collettivi si sono mobilitati a favore della Palestina e contro il governo israeliano. Los Angeles, nel campus della University of California (Ucla), è diventata il secondo fulcro delle proteste. Anche qui gli studenti si sono accampati per chiedere all’università di tagliare i legami con Israele, e fino a domenica i sit in sono andati avanti in maniera pacifica. Il 28 aprile, infatti, alcuni attivisti hanno sfondato la barriera che divideva gli studenti pro-Palestina da quelli che stavano manifestando in favore dello Stato ebraico e sono seguiti scontri tra le due parti, poi sedati con la forza dagli addetti alla sicurezza del campus. 

Agli studenti si sono aggiunti anche gruppi esterni all’università. Rispettivamente, l’Harriet Tubman Center for Social Justice si è schierato dalla parte dei filopalestinesi, mentre l’associazione Stand in Support of Jewish Students, in collaborazione con il Consiglio Israelo-Americano, ha fiancheggiato le controproteste.

Le mobilitazioni sono state commentate anche dallo staff del presidente degli Stati Uniti Joe Bide: «rispettiamo il diritto alle proteste pacifiche», in quanto «le persone dovrebbero poter mostrare le proprie opinioni pubblicamente, ma in maniera pacifica». Aggiungendo però che il presidente condanna ogni forma di antisemitismo e i discorsi d’odio. 

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