A meno di due mesi dalle elezioni arriva una vittoria importante per la transizione ecologica dell’Unione europea. Nonostante il voto contrario di Italia e Ungheria, e le astensioni di Repubblica Ceca, Croazia, Polonia, Slovacchia e Svezia, i ministri dell’Economia e delle Finanze degli Stati membri dell’Ue riuniti al Consiglio Ecofin hanno portato la «direttiva case green» al traguardo finale. Una buona notizia giunta al termine di polemiche e negoziati sfibranti che, in parte, hanno snaturato la norma proposta dalla Commissione europea alla fine del 2021 (l’idea delle classi energetiche armonizzate è stata accantonata, per esempio). L’Emission performance of buildings directive (Epbd) entrerà in vigore venti giorni dopo l’imminente pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Ue; i singoli Paesi avranno due anni di tempo per recepire la direttiva nei rispettivi ordinamenti.
Ogni Stato dovrà presentare a Bruxelles un piano nazionale di ristrutturazione, da approvare entro il 2026 e da aggiornare ogni cinque anni. Il governo Meloni fisserà gli investimenti e le misure per rispettare i target europei all’interno del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), da aggiornare entro il 30 giugno. La direttiva, come ricorda l’analisi del think tank per il clima Ecco, «non impone alcun obbligo per i singoli immobili e quindi per i proprietari degli stessi»; l’obbligatorietà è stabilita a livello nazionale. Dalle ristrutturazioni per migliorare l’efficienza energetica saranno esclusi edifici agricoli e storici, i luoghi di culto e altri immobili dal particolare valore architettonico o storico.
Secondo la Commissione europea, gli edifici dell’Unione europea sono responsabili del quaranta per cento dei consumi energetici e del trentasei per cento delle emissioni di gas serra. Un problema, quello dell’impatto climatico e ambientale delle nostre case, non più rimandabile: pompe di calore, isolamenti termici e tetti con pannelli solari non saranno più eccezioni virtuose, ma elementi integrati nella nostra economia, nel nostro immaginario e nei nostri consumi.
L’obiettivo finale della direttiva è la neutralità carbonica degli edifici entro il 2050, in linea con quanto stabilito dal Green deal. Per arrivarci, la norma ha introdotto target intermedi, non sempre troppo specifici. I consumi energetici degli edifici residenziali dovranno scendere del sedici per cento entro il 2030 e del venti-ventidue per cento entro il 2035. Dal 2028 i nuovi immobili pubblici – o usati dal settore pubblico – dovranno essere a emissioni zero, un obbligo che per i nuovi edifici scatterà dal 2030. In più, il sedici per cento – rispetto al 2020 – delle costruzioni pubbliche con le peggiori prestazioni energetiche dovrà essere ristrutturato entro il 2030 (ventisei per cento entro il 2033).
Le caldaie a gas spariranno lentamente dalle nostre case: il termine ultimo per il loro «phase out» (eliminazione graduale) è stato fissato al 2040. E dal 2025, tra meno di un anno, scatterà lo stop ai sussidi per le caldaie autonome alimentate con fonti energetiche fossili, le cui emissioni sono responsabili del cambiamento climatico. Dall’altra parte, la direttiva ha previsto un obbligo progressivo – dal 2026 al 2030, in base alle dimensioni dell’edificio – di installare i pannelli solari su tutti i nuovi edifici pubblici residenziali. Il vincolo, però, è applicabile nelle situazioni in cui questa operazione risulterà «tecnicamente ed economicamente fattibile»: una formulazione blanda e interpretabile in tanti (troppi) modi.
La reazione di Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, al traguardo sulla direttiva case green è intrisa di populismo climatico: «L’intero iter si è purtroppo concluso. Il tema ora è: chi paga?», ha detto. Nel breve periodo, gli investimenti nella transizione ecologica ed energetica risultano spesso ingenti, a tratti dolorosi, ma i “sacrifici” di oggi verranno compensati domani, soprattutto se si parla di mitigazione della crisi climatica. Affrontare il cambiamento con timidezza, schivando potenziali difficoltà per timore di perdere consensi, è un approccio miope: prima o poi il conto dell’inazione arriva sul tavolo, ed è meglio agire subito senza rimandare una transizione a cui non si potrà rinunciare. Anche perché i benefici della direttiva sulle performance energetiche degli edifici potrebbero rivelarsi non solo ambientali e climatici, ma anche economici e finanziari.
«Saranno i cittadini a beneficiare di questa direttiva. L’efficienza energetica può ridurre i costi energetici delle famiglie e contribuire a preservare il valore delle abitazioni. Salire almeno di due classi energetiche consente un risparmio del quaranta per cento sulla bolletta, pari a un risparmio medio annuo di 1.067 euro ai costi del 2022», dice Francesca Andreolli, ricercatrice senior del programma Efficienza e energia di Ecco. Una casa ristrutturata vale mediamente il 44,3 per cento in più rispetto a un edificio da ristrutturare.
Sempre Ecco ricorda che riqualificare il parco immobiliare nazionale può rilanciare la filiera edilizia, da cui dipende la crescita economica interna (anche perché genera posti di lavoro non delocalizzabili). È proprio il Servizio studi della camera dei Deputati a sottolineare che, anche per merito degli incentivi, la filiera delle costruzioni si sta evolvendo grazie alla sua capacità di «allargare il mercato verso nuovi fornitori di servizi integrati all’edilizia come progettazione, intermediazione, consulenza, finanziamenti e amministrazione pubblica».
Stando all’Associazione nazionale costruttori edili (Ance), investimenti in costruzioni pari a un miliardo di euro generano un valore aggiunto di un miliardo e cento milioni. Lo stesso investimento, sempre secondo l’Ance, produrrebbe 15.132 nuovi occupati. Un altro studio della camera dei Deputati, in collaborazione con il centro di ricerche di mercato Cresme, ha rivelato che nel 2021 gli investimenti attivati hanno generato circa settecentoventimila occupati: il doppio della media del periodo tra il 2011 e il 2019. Ai tempi, oltretutto, il Superbonus 110% (ha riqualificato 460mila edifici tra il 2020 e il 2023) non era ancora pienamente operativo.
«Purtroppo – scrive il think tank Ecco – ad oggi il quadro degli incentivi non ha portato i benefici in termini di abbattimento delle emissioni che si sarebbe potuti attendere. È evidente, quindi, la necessità di ristrutturare gli schemi di incentivazione e legarli in maniera più incisiva rispetto alla riduzione delle emissioni per far sì che la spesa pubblica sia più efficace, ma anche più efficiente». Nel frattempo, però, il mercato dell’efficienza energetica continua a crescere progressivamente, ed è una notizia confortante. Stando all’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano, nel 2022 gli investimenti nell’ambito civile di questo mercato sono saliti del diciannove per cento rispetto al 2021. Con la riduzione degli incentivi, questi dati – anche quelli legati all’occupazione – potrebbero abbassarsi. Ma è qui che entra in gioco la direttiva europea sulle case green, capace di fornire una prospettiva di lungo termine sulla crescita del settore edilizio.
È difficile, al momento, capire quanti edifici residenziali dovranno essere ristrutturati in Italia. Potrebbero essere un milione, stima l’Ance. I dati Enea, riportati da Gianluca Brambilla su Open, mostrano che nel nostro Paese abbiamo circa 12,5 milioni di immobili residenziali. «Grazie alla maggiore flessibilità introdotta dalla versione finale della Direttiva, l’Italia avrà autonomia decisionale per definire le strategie di riduzione dei consumi del complesso e differenziato patrimonio edilizio nazionale. Questo per poter raggiungere gli obiettivi di efficientamento, tenendo in considerazione la complessità e diversità del patrimonio edilizio, nonché del benessere abitativo dei suoi residenti», commenta Davide Panzeri, responsabile del programma Europa di Ecco.