La pompa di calore per elettrificare il riscaldamento degli edifici è una delle tecnologie simbolo della nostra epoca in transizione, ormai scalabile e centrale nel processo di decarbonizzazione quanto i pannelli fotovoltaici e le turbine eoliche. La sua importanza è stata certificata anche da un nuovo rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), il primo di sempre sulle pompe di calore, che garantiscono tagli drastici alle emissioni, aumentano la sicurezza energetica e permettono di tagliare i costi nel medio e lungo termine, sganciando i sistemi energetici dall’imprevedibile mercato dei combustibili fossili come il gas.
Globalmente le pompe di calore hanno il potenziale per ridurre le emissioni di CO2 di cinquecento milioni di tonnellate già nel 2030. Si tratterebbe di una spinta cruciale per il primo step della decarbonizzazione, quello di fine decennio: sarebbe l’equivalente delle emissioni annuali di tutte le automobili d’Europa (o di un intero Paese grande quanto il Canada). Il rapporto Iea si basa sul cosiddetto scenario Aps, Announced pledges scenario: quello in cui le policy attuali vengono soppiantate dai vari impegni già messi in campo da Paesi o blocchi di Paesi.
Le pompe di calore stanno vivendo un momento di gloria, secondo la Iea, per la combinazione di incentivi nazionali, obiettivi climatici e prezzi alti del gas dovuti alla crisi energetica e all’aggressione russa in Ucraina. Già un decimo del riscaldamento degli edifici su base globale è stato prodotto da una pompa di calore nel 2021: è una buona base di partenza, ma rimane solo una base. Per rimanere all’interno dei parametri dell’accordo di Parigi (cioè il più possibile vicini a un riscaldamento globale di «soli» 1.5°C rispetto all’era pre-industriale) entro fine decennio bisogna elettrificare un quarto della domanda di calore invernale negli edifici.
Su base globale le vendite sono cresciute del quindici per cento, in Europa addirittura del trentacinque per cento. Secondo la Iea, la Cina ha il mercato potenziale più grande, mentre negli Stati Uniti c’è in questo momento il numero maggiori di pompe di calore installate, mentre l’Europa è l’area dove crescono più velocemente, proprio per il bisogno di affrancarsi dal gas russo: un sesto del metano estratto nel mondo va per riscaldare gli edifici, ma in Europa la quota è di un terzo. Il piano REPowerEU prevede che le pompe di calore dell’Unione triplichino prima della fine di questo decennio, arrivando a quarantacinque milioni di unità, con un ritmo da sette milioni di installazioni l’anno (oggi viaggiamo intorno a due milioni, dati del 2021). In questo scenario, sarebbero ventuno miliardi di metri cubi di consumi di gas in meno.
In Europa la penetrazione è più alta in Norvegia e Finlandia, che da tempo hanno investito nella tecnologia, ma sta crescendo soprattutto in Polonia e Italia, dove viaggiano al ritmo del sessanta per cento, nel nostro Paese nonostante la politica ambigua del Superbonus 110 (che ha incentivato anche le caldaie a gas). Nel mondo sono più di trenta gli Stati dove le pompe di calore sono incoraggiate da sistemi variegati di incentivi, che in questo momento coprono potenzialmente il settanta per cento degli edifici residenziali.
Oggi la capacità globale installata ha già superato i 1.000 GW, potrebbe arrivare a 2.600 GW nello scenario Aps se tutte gli impegni presi, come REPowerEU nell’Unione o Inflation reduction act negli Stati Uniti, verranno implementati e messi in campo. Come dice l’Agenzia internazionale dell’energia, «le pompe di calore, quando sono alimentate da energia a basse emissioni, sono la tecnologia centrale per la transizione globale verso un riscaldamento sostenibile degli edifici. Sono una parte indispensabile di ogni piano per tagliare le emissioni e l’utilizzo del gas, la tecnologia è pronta e testata, anche nei climi più freddi».
E qui c’è il punto chiave della questione: l’elettrificazione ha un significato climatico ed economico soltanto quando viene accompagnata dalla decarbonizzazione del sistema elettrico e quindi da un progresso sostenuto delle rinnovabili che in Italia, nonostante gli impegni dell’attuale e soprattutto del precedente governo, sono finora andate ancora troppo a rilento.