Pronti a diventare globali. È il titolo dell’ultimo numero del magazine settimanale giapponese Nikkei Asia, su cui campeggia un’immagine del primo ministro Fumio Kishida con un mappamondo in mano. Non è un caso. Il premier giapponese ha proseguito e ampliato la strategia messa in piedi dal predecessore Shinzo Abe, completando ormai del tutto il «risveglio» strategico di Tokyo. Un risveglio suggellato la scorsa settimana, durante la visita di Stato negli Stati Uniti che lo ha portato a firmare oltre settanta accordi bilaterali con Joe Biden alla Casa Bianca, con un discorso di fronte al Congresso americano. «Non siete da soli a sostenere l’ordine globale, siamo al vostro fianco come tomodachi, migliori amici», ha garantito.
Fino alla fine degli anni Ottanta, in pochi avrebbero immaginato di ascoltare queste parole. Allora il Giappone, all’apice della sua ascesa economica e tecnologica, era considerato da molti non solo come un rivale commerciale degli Stati Uniti ma anche come un possibile nemico strategico. Nel luglio 1987, alcuni deputati statunitensi si fecero ritrarre mentre distruggevano dei dispositivi Toshiba, dopo che il colosso nipponico aveva aggirato le restrizioni alle esportazioni di tecnologia sensibile verso l’Unione Sovietica. C’era chi immaginava il rischio di un futuro conflitto.
È andato tutto molto diversamente. I cosiddetti «decenni perduti» del Giappone e l’ascesa della Cina hanno riavvicinato già da diverso tempo Tokyo e Washington. La crisi del 2012 sulle isole contese Senkaku/Diaoyu ha convinto il Paese asiatico della necessità di rivedere e potenziare i suoi sistemi di difesa. La guerra in Ucraina ha fatto abbandonare le tradizionali cautele diplomatiche, che anche durante gli otto anni di amministrazione Abe avevano imposto il mantenimento di profondi legami non solo commerciali con Russia e Cina. Dal 24 febbraio 2022 in poi, Tokyo è venuta sempre più allo scoperto. Lo ha fatto soprattutto per il timore di un maggiore allineamento tra Mosca e Pechino, oltre alle crescenti tensioni sulla penisola coreana e sullo Stretto di Taiwan, due teatri in cui il Giappone si sente coinvolto direttamente.
Già allo Shangri-La Dialogue di Singapore del giugno 2022, il principale forum asiatico sulla difesa, Kishida aveva avvertito che l’Asia «rischia di essere la prossima Ucraina». Concetto che ha ribadito nei giorni scorsi al Congresso americano: «Come dico spesso, l’Ucraina di oggi potrebbe essere l’Asia orientale di domani». Le contingenze globali hanno portato Kishida, diventato premier nell’autunno del 2021 con una fama di «colomba» su Cina e politica estera, a scoprirsi fautore di cambio di marcia sulla postura internazionale del Giappone.
Il primo pilastro della strategia di Tokyo è il rafforzamento del rapporto con gli Stati Uniti, favorito dalla politica asiatica di Biden, che ha ricostituito e rilanciato il sistema di alleanze americano fatto vacillare negli anni precedenti da Donald Trump. Il Giappone ha ulteriormente cementato il suo ruolo di principale alleato degli Stati Uniti in Asia. Nel 2022, Kishida ha pubblicato una nuova politica di sicurezza nazionale in cui la strategia di difesa del Giappone si allinea a quella degli Stati Uniti, e si è impegnato a raddoppiare quasi la spesa per la difesa, portandola al due per cento del prodotto interno lordo entro il 2027.
Kishida, che ha passato tre anni della sua infanzia a New York, nel Queens, ha visitato ben tre volte gli States nel giro di un anno. Qui ha siglato decine di accordi su digitale, microchip, intelligenza artificiale e soprattutto sicurezza. Nell’ultimo colloquio alla Casa Bianca, Kishida e Biden hanno annunciato la predisposizione di un sistema di difesa antimissile comune, e che le aziende giapponesi potranno riparare le navi da guerra americane. Hanno poi creato un nuovo organo consultivo per promuovere lo sviluppo congiunto di attrezzature militari e inoltre i due leader si sono impegnati a cambiare la struttura delle forze statunitensi in Giappone, con l’obiettivo di arrivare a un’ampia interoperabilità dei due eserciti.
Il crescente allineamento è anche sul piano diplomatico: se Abe ha incontrato ventisette volte Vladimir Putin mentre era premier, Kishida non l’ha mai fatto. E non ha avuto esitazioni nell’aderire alle sanzioni occidentali contro la Russia dopo l’invasione. Sulla Cina resta qualche zona grigia, come dimostra il perseguimento di una relazione «reciprocamente favorevole» con Pechino, obiettivo fissato nel nuovo report annuale della politica estera nipponica. Eppure, Kishida ha abbandonato tante vecchie cautele, criticando apertamente Pechino su diversi dossier, tra cui Taiwan e mar Cinese meridionale.
Il secondo step è l’approfondimento della partecipazione giapponese alle piattaforme multilaterali. Kishida ha partecipato per due anni consecutivi al summit della Nato e lo scorso anno ha firmato un documento di partnershiparticolato su sedici punti che prevede, tra le altre cose, un rafforzamento dei rapporti in materia di sicurezza marittima e un’azione comune su sicurezza informatica, tecnologia e minacce ibride. Per ora non è stata ancora approvata l’apertura di un ufficio di collegamento dell’Alleanza Atlantica a Tokyo, ma non è escluso che ciò possa avvenire nel prossimo futuro.
Un altro passo, forse più immediato, potrebbe essere l’adesione al «secondo pilastro» di Aukus, il patto di sicurezza che unisce Usa, Regno Unito e Australia. Il Giappone non parteciperebbe allo sviluppo congiunto di sottomarini a propulsione nucleare, ma a quello di tecnologie avanzate in una serie di settori tra cui l’informatica quantistica, i missili ipersonici, l’intelligenza artificiale e la cybertecnologia. Senza dimenticare che Tokyo sta già sviluppando con Londra e con l’Italia dei caccia di nuova generazione. Ancora più del Quad – la piattaforma di sicurezza quadrilaterale di cui Tokyo fa parte con Stati Uniti, Australia e India – lo sviluppo di Aukus potrebbe rappresentare nella prospettiva di Pechino i prodromi di una Nato asiatica anti-cinese. Soprattutto, quello che infastidisce la Repubblica Popolare è il collegamento diretto tra fronte euroatlantico e Asia-Pacifico favorito proprio dalla postura «globale» di Tokyo.
Il terzo punto della strategia giapponese è il rafforzamento di un sistema di difesa regionale. Si tratta di un passaggio cruciale. Anche in previsione di un possibile ritorno di Trump, Tokyo e altri Paesi dell’Asia-Pacifico sanno di dover rafforzare una serie di strutture regionali per provare ad attutire le potenziali conseguenze di un Donald bis, che molti temono possa portare a una nuova fase di disimpegno. Da qui si spiega la rete intessuta con pazienza da Kishida, che negli ultimi due anni ha siglato una serie di accordi bilaterali in materia di difesa con diversi Paesi, tra cui India, Australia, Vietnam. Ecco spiegati anche i due vertici trilaterali a cui Kishida ha preso parte negli Stati Uniti. In quello di Camp David dello scorso agosto, ha certificato insieme al presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol il rilancio delle relazioni con Seul. Archiviare la guerra commerciale e il gelo diplomatico che da anni bloccava i rapporti tra i due principali alleati asiatici era una delle priorità della politica estera di Biden. Negli ultimi mesi si sono moltiplicate le esercitazioni trilaterali congiunte, quasi sempre in risposta ai test missilistici o militari della Corea del Nord.
La scorsa settimana il terzo convenuto era invece il presidente filippino Ferdinand Marcos Junior, che come il sudcoreano Yoon ha dato una netta svolta alla politica estera del suo Paese dopo la vittoria alle elezioni del 2022. Unire Tokyo e Manila, nell’ottica di Biden, significa tracciare una linea diretta tra mar Cinese orientale e mar Cinese meridionale, passando per Taiwan.
Il tutto non prescinde dal rafforzamento del sistema di difesa interno. Passando anche per quelle che in Cina considerano revisioni della costituzione pacifista imposta al Giappone dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e che impone a Tokyo di non sviluppare forze offensive ma prettamente difensive. A partire dall’esercito, che non a caso si chiama «forza di autodifesa». A gennaio è stato firmato un accordo per l’acquisto di quattrocento missili da crociera Tomahawk dagli Stati Uniti. Di recente, è iniziato invece l’ammodernamento della nave da guerra Kaga. A Pechino criticano il nome, che ricorda un’altra nave coinvolta nel bombardamento di Shanghai durante l’era coloniale. Ma l’elemento più rilevante è che la Kaga sarà convertita e diventerà la prima portaerei giapponese dal secondo dopoguerra. Anche la nave gemella della Kaga, Izumo, commissionata nel 2015, sarà modificata in un processo che dovrebbe terminare nel 2027. Dopo l’aggiornamento, entrambe le navi saranno in grado di trasportare dodici caccia e sedici elicotteri.
Alla Casa Bianca, Kishida ha citato “Star Trek”, auspicando che le «incrollabili relazioni» tra Washington e Tokyo possano «andare coraggiosamente dove nessuno è mai andato prima». Eppure, proprio mentre il Giappone torna ad avere uno sguardo globale, sa che ha bisogno di fondamenta solide in casa propria.