Cosa significa il sole per un fotografo? La domanda appare naïf ma allo stesso tempo molto profonda poiché la fotografia stessa si fonda sulla collaborazione e la comunione d’intenti tra l’uomo e la luce, senza la quale nessun fotografo potrebbe esercitare la propria arte. La forza prorompente del Sole deve essere sapientemente dosata per permettere al soggetto scelto di emergere in tutta la sua bellezza e tridimensionalità.
Ed è proprio questa la domanda che la Maison Veuve Clicquot ha posto ad alcuni fotografi appartenenti all’agenzia Magnum. Otto artisti provenienti da tutti e cinque i continenti che sono stati chiamati a dare la propria lettura in chiave fotografica del Sole e delle emozioni ad esso correlate.
Sono le opere di Steve McCurry, Alex Webb, Trent Parke, Olivia Arthur, Lindokuhle Sobekwa, Cristina de Middel, Nanna Heitmann e Newsha Tavakolian a dare vita alla mostra “Emotions of The Sun”, inaugurata la scorsa settimana in occasione della Design Week e che presto verrà riproposta in giro per il mondo.
Veuve Clicquot, grazie a un attento studio dello spazio della mostra e alla preziosa collaborazione con gli artisti, ha creato un piccolo universo dall’atmosfera onirica, caratterizzato tanto dai colori sgargianti di Alex Webb quanto dalla delicatezza degli scatti di Cristina de Middel, in grado di mostrare, con straordinaria semplicità, la potenza fondativa del Sole, senza il quale non potrebbe esiste alcuna forma di vita.
Con “Emotions of the Sun”, Veuve Clicquot ci mostra la realtà attraverso un filtro fatto di gioia e stupore, capace di restituire i colori a un mondo che siamo ormai abituati a vedere in scala di grigi.
Abbiamo avuto la possibilità di parlare del progetto con Jean-Marc Gallot, presidente della Maison, che, tra un bicchiere di champagne e l’altro, ci ha fornito la sua visione della direzione che il brand prenderà nel prossimo futuro.
Apprendiamo così che l’iniziativa fa parte del macro progetto Solaire Culture, a cui l’azienda aveva dedicato una prima mostra in tutto il mondo, partendo da Tokyo, per poi proseguire a Los Angeles e Londra. Quest’anno, dopo aver avviato una collaborazione con l’agenzia Magnum, hanno individuato otto fotografi a cui hanno posto una sola domanda: «Quale emozione ti suscita il Sole?».
«La nostra volontà era far sì che loro stessi si divertissero a cogliere la nostra sfida, che si approcciassero al progetto con il sorriso, divertendosi e provando gioia. Così è stato e il risultato è davanti ai nostri occhi» continua Gallot.
La Solaire Culture si propone quindi di guardare il mondo con un nuovo senso di meraviglia e speranza, atteggiamento non facile in questo periodo storico.
«Tutto ciò che facciamo a Veuve Clicquot, lo passiamo attraverso il filtro di Madame. E ogni volta concludiamo che lei ci direbbe di andare avanti, di osare, di aprire strade nuove e inesplorate». Gallot ci rivela che, nonostante le difficoltà, essere ottimisti nel 2024 significa non farsi impadronire dalla paura, non arenarsi davanti alle incertezze del futuro e continuare a lavorare con impegno e coraggio. Come fece Madame Clicquot nel 1805 quando, a soli 27 anni, perse il marito e rimase vedova.
Il viso di Jean-Marc Gallot si illumina nel raccontare le diverse opere che animano la mostra e, anche se non potrebbe, ci rivela con fare giocoso che nutre un leggero favoritismo per le foto di Steve McCurry che immortalano il Monte Fuji.
Allo stesso modo, si emoziona ogni volta che ammira lo scatto di Trent Parke che raffigura un gruppo di ragazzi che si tuffano nell’oceano, al calar del sole. La foto è davvero incredibile, non è il risultato di un montaggio, non c’è nessun tipo di ritocco. È una foto vera, molto espressiva e il risultato di un attimo irripetibile. Un ragazzo salta dal pontile e viene immortalato mentre la sua figura, a mezz’aria, si staglia davanti alla luce del sole. Un solo click sull’obiettivo: one shot.
«Nonostante le preferenze personali – continua – ci tengo a dire che sono tutti straordinari, più o meno minimalisti. E ciò che secondo me viene fuori da questa mostra, al di là del tema, è la magnificenza dello spirito umano. Quando dai lo stesso brief a otto persone diverse, la loro cultura, la sensibilità, le diverse esperienze che questi artisti hanno vissuto, danno vita a otto diverse interpretazioni del tema, compongono uno spettro eterogeneo e dal valore inestimabile».
Veuve Clicquot è sempre stata promotrice di iniziative artistiche, non solo, è diventata essa stessa un’icona di arte e di stile. Tutto ebbe inizio nel 1877, quando ci fu la creazione della famosa etichetta gialla, ideata per soddisfare un’esigenza del mercato inglese che chiedeva un’etichetta facilmente riconoscibile perché diversa da tutte le altre, e che poi, nel corso del tempo, è di fatto diventata un’icona.
Veuve Clicquot ama spingersi oltre i confini, andare oltre, affinché il brand rappresenti non solo un prodotto ma un modo di essere, non si tratta solo di una bottiglia di champagne.
«Un’espressione che amiamo utilizzare è “Chic et pieds nus”, ovvero chic e a piedi nudi. È il nostro stile, l’essenza di Madame Clicquot e della Maison».
L’immagine è potente e molto evocativa. Lo champagne d’altra parte è da sempre un simbolo di lusso e espressione di una certa joie de vivre, un vero e proprio status symbol che non sembra conoscere decadenza.
Negli ultimi anni però, i trend e le modalità di consumo del prodotto alcolico stanno cambiando e il comparto vino sta affannosamente cercando di rispondere adeguatamente a tali tendenze.
Anche davanti a questa sfida, Gallot non perde il suo aplomb e il suo ottimismo, riassumendo perfettamente l’atteggiamento della Maison con una tipica espressione inglese: less is more.
La società, a partire dalle stesse aziende vinicole, dovrà essere capace di educare i giovani a non demonizzare nulla e ad adottare un consumo responsabile e consapevole. Consapevole in questo caso è sinonimo di qualità ed è riassumibile nel nuovo mantra: bere meno ma bere meglio.
«Una Maison che produce prodotti premium come Veuve Clicquot non può che vedere questi cambiamenti come un’opportunità di brillare e risplendere, anche questo è Solaire Culture. Ma rispetto infinitamente l’attenzione che le istituzioni ci impongono nel trasmettere il giusto messaggio, senza sottovalutare il tema della salute pubblica. Le difficoltà ci sono, ma penso che poiché siamo un’attività, un’azienda responsabile, possiamo assolutamente trovare un buon modo di far funzionare le cose in futuro».
La conversazione torna su temi più leggeri, sarà forse la bella giornata e l’aria di primavera che riempie l’aria di profumi e promesse, e Jean-Marc Gallot ci confessa il suo amore per l’Italia e l’importanza del mercato italiano per Veuve Clicquot.
Non a caso, le prime bottiglie di Champagne spedite al di fuori dalla Francia, nel 1772, avevano come destinazione proprio la nostra penisola. Un passo importante che sancisce l’inizio della storia d’amore tra il nostro Paese e l’azienda francese.
«L’Italia è molto importante per noi perché ci spinge a mantenere alto il livello della proposta, in tutte le sue forme. Il livello di raffinatezza e di eleganza dell’Italia sono impareggiabili, per questo il vostro Paese rappresenta per noi un esempio, una meravigliosa opportunità di fare sempre di più».
Ma non di sola arte vive l’uomo. La mostra itinerante viene infatti accompagnata dalle creazioni di chef stellati e talenti gastronomici emergenti, racchiuse all’interno del menu “Sun in your plate”, dando vita a un’esperienza immersiva e totalizzante, capace di coinvolgere tutti e cinque i sensi, grazie a un insieme di profumi, sapori e texture sorprendenti.
Jean Imbert, chef di Plaza Athénée, gioca con un classico dello street food francese: il croque-monsieur, dando vita a Croque Clicquot, in cui il tuorlo d’uovo al tartufo strizza l’occhio al colore simbolo della Maison.
Seguono lo Spaghettone Gold di Valentina Rizzo, in cui il profumo del limone si prende tutta la scena e testimonia l’arrivo della primavera, e il Grilled Chicken Mafé di Mory Sacko timbrato dai sapori pungenti e terrosi della salsa Mafé e del pepe d’Espelette, un piatto capace di farci viaggiare con la mente, dandoci l’illusione di sentire il calore del sole sulla pelle.
Karime Lopez propone invece una versione rivisitata dell’hamburger in carta nella sua Gucci Osteria. L’impatto dei colori è immediato, la crosta del pane, luminosa e invitante, è di un giallo intenso, in perfetta aderenza con il tema.
«Abbiamo voluto giocare con i colori e, per creare questo pane, abbiamo provato almeno cinquanta combinazioni diverse prima di arrivare al colore esatto, dato da ingredienti naturali come lo zafferano e l’uovo, ma anche dal perfetto grado di cottura» racconta Karime, il cui spirito, placido e ottimista, viene rispecchiato dal suo piatto comfort e goloso.
Insieme scopriamo anche che il suo non è il primo hamburger proposto in abbinamento con lo Champagne Veuve Clicquot; infatti, già nel 1964, una dirompente campagna pubblicitaria apparsa sul New Yorker proponeva di gustare il panino in accompagnamento alla Gold Label della Maison.
Oggi come allora, le iniziative di Veuve Cliquot sono un ping-pong continuo tra sacro e profano, tra héritage e divertissement, in pieno accordo con le parole di Jean-Marc Gallot: «Chic et pieds nus».
Immagini courtesy @Veuve Clicquot