Giano bifronteIl doppio volto di Meloni in Italia e in Europa lascia Fratelli d’Italia in una terra di mezzo

La premier vorrebbe far parte della maggioranza Ursula mentre si lascia andare a una deriva orbaniana in casa. Un’antinomia che all’estero a molti non piace

Lapresse

Non basta essere allineati e coperti su dossier come l’Ucraina, aperti a un asse privilegiato con il Partito Popolare europeo, magari nella prospettiva di far parte di una nuova maggioranza Ursula. Non basta chiudere le porte alla propria destra e prendere le distanze dal gruppo Identità e Democrazia. L’antinomia, se non proprio la schizofrenia, di Fratelli d’Italia potrebbe rendere accidentata la strada di Giorgia Meloni verso Bruxelles.

C’è un volto in Europa e a Washington; ce n’è un altro in Italia che mostra la grande difficoltà della premier a uscire da quella terra di mezzo che la lega a un passato che non le appartiene dal punto generazionale ma del quale è intrisa la sua esperita politica fin da ragazzina. Dal punto di vista generazionale sono sicuramente coinvolti quei colonnelli, parlamentari di seconda e terza fila, pistoleri, giornalisti-militanti che le combinano tanti guai. L’ultimo di una lunga serie quello della censura Rai del monologo di Scurati sul 25 aprile. Guai di immagine che si combinano con il fatto di non dirsi antifascisti perché in nome dell’antifascismo sono stati uccisi, negli anni Settanta, militanti missini. E oggi i nemici sono dei ragazzetti rumorosi “antifa”: risvegliano il passato militante anticomunista; impediscono ad adulti ministri e dirigenti meloniani di essere coerenti con il loro giuramento sulla Costituzione che antifascista lo è in tutte le sue fibre e articoli.

Sono gli stessi ministri e dirigenti di Fratelli d’Italia che se ne fregano di quello che possono pensare nelle altre Cancellerie, tanto quello che conta sono i consensi in Italia, la buona salute del centrodestra nelle urne. A fronte del disastro delle opposizioni. Meloni farebbe però un errore di sottovalutazione se pensa che nei governi, che continueranno a sedere nel Consiglio europeo e a decidere il futuro assetto di potere dopo il voto del 9 giugno, ciò che accade in Italia sia indifferente. Il suo volto interno non può essere nascosto da quello all’estero. È una questione di affidabilità e credibilità. Ma l’aspetto più pesante è la coerenza. Ieri ad esempio sul nuovo Patto di stabilità, è successo che al Parlamento europeo a votare sì sono stati i socialisti, tranne la delegazione italiana del Partito democratico, Renew Europe, il Partito popolare europeo. Ma gli eurodeputati di Forza Italia si sono astenuti. Così come si sono astenuti i leghisti e gli eurodeputati meloniani. Il gruppo conservatore di Ecr di cui fa parte Fratelli d’Italia, si è spaccato in tre: a favore infatti hanno votato le delegazione polacca del PiS e quella spagnola di Vox mentre contrari gli olandesi e il francese Nicolas Bay.

Insomma, quale coerenza e qual è la vera maschera della premier. Il governo aveva dato l’ok al nuovo Patto di stabilità obtorto collo ma è stato dato un via libera. Tanto che al termine di quel Consiglio europeo in cui è passato il testo, la stessa Meloni aveva detto di essere soddisfatta di «un compromesso di buon senso, il migliore accordo possibile». Il voto di ieri è una sconfessione del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che quel nuovo Patto aveva negoziato, definendolo accordo «sostenibile». Cosa sia cambiato è chiaro. Siamo in campagna elettorale ed sempre meglio non lasciare impronte digitali che per loro, ma anche per Partito democratico e Cinquestelle, strozzeranno il paese per anni nell’austerità.

Rimane tuttavia una schizofrenia tra quello che ha fatto una mano, quella governativa a Bruxelles, e la mano nazionale, romana. Esattamente l’antinomia che c’è tra l’adesione di Meloni a un’Europa sempre più integrata e la postura nazionale che parla alla pancia degli italiani.

Il sospetto all’estero che in Italia si stia andando verso una deriva orbaniana non è una semplice suggestione antipatriottica della “solita sinistra” che grida al fascismo ma continua a perdere elezioni dopo elezioni, e ora teme l’esito delle europee. Questa convinzione potrebbe consolidarsi negli interlocutori che la premier incrocerà dopo le europee. Dovrebbe farla riflettere il monito della Commissione dell’Unione sulla «vulnerabilità dell’Italia legata all’elevato debito pubblico, abbinata a consistenti deficit di bilancio e a una debole crescita della produttività».

Non saremo accolti a braccia aperte. Meloni continua a stare in una terra di mezzo. Il contrasto tra il volto interno e quello estero forse non inciderà sul voto europeo ma sicuramente aumenterà le resistenze ad aprirle le porte della nuova maggioranza a Bruxelles e Strasburgo. Tranne se il suo partito farà il botto del trenta e più per cento alle europee e gli altri, i diffidenti, crolleranno nelle urne. Ma siamo alle scommesse.

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