E quindi Belén Rodriguez, una di quelle donne così belle che possono persino permettersi di vestirsi male, compare in tv una domenica pomeriggio e tenta disperatamente di sembrare una di noi. Una di noi cornute, una di noi umiliate, una di noi la cui taglia dipende dal mal d’amore.
Non ce la fa, naturalmente: continuavo a dimagrire, dice, peso 57 chili ed ero arrivata a pesarne 49, e quindi in un momento di lucidità mi sono ricoverata. Noialtre normali, che se ci cornificano mangiamo, se ci lasciano mangiamo, se ci innervosiamo ingrassiamo anche se non mangiamo, noialtre normali non è che ci siamo immedesimate moltissimo, ecco.
Però apprezziamo lo sforzo, e siamo disposte a credere ciecamente a lei come già la settimana prima a Ilary Blasi. Ilary dice che Francesco le ha nascosto le borse e le ha ingiunto di smettere di lavorare? È sicuramente verità rivelata. Belén dice che Stefano se le ripassava tutte e lei a dodici di queste ha pure telefonato? Vale come verità verbalizzata in tribunale.
Qualche ora dopo Stefano De Martino compare in tv, da Fabio Fazio. Non starò certo qui a farvi le distinzioni tra highbrow e lowbrow: Totti che parla con Cazzullo e Blasi con Netflix; Rodriguez che parla con la Venier e De Martino con Fazio. In questi casi mi viene sempre in mente quell’imitazione di Minoli che faceva Corrado Guzzanti: le scelte sono tante, ognuno fa le sue, il mostro di Milwaukee e il mostro di Rai Due.
Quel che fa la differenza è che a voi serve che vi spieghi chi è Stefano De Martino, il più interessante esempio di dissociazione tra addetti ai lavori e grande pubblico. Chi lavora in tv tratta De Martino come fosse il futuro, la speranza, il piccolo Buddha. C’è un affollamento di gente che lo blandisce e lo esalta, convinta che gli sarà affidato il Sanremo 2025.
E poi c’è il pubblico, che ti guarda come mucca guarda treno se dici De Martino, quello di “Bar Stella” (chi?), De Martino, quello che cominciò ad “Amici” (niente, troppi hanno cominciato lì), De Martino, quello dello spettacolo teatrale in cui fa De Martino (eh?). S’illumina la contezza negli occhi solo a: De Martino, quello di Belén.
Insomma De Martino, che questa cosa non può non saperla perché è un ragazzo sveglio e la scala della fama è persino più evidente di quella della bellezza, va da Fazio e sa che non può fare quel che di solito si fa da Fazio, il ceto medio riflessivo che non spettegola in pubblico, la gente di mondo che sorvola se la ex quattr’ore prima ha detto all’Italia che sei un fedifrago. Non vale dire che sei superiore, se lei è la ragione della tua fama e della tua notiziabilità.
E quindi fa una cosa così insensata da risultare tenera, così folle da essere quasi razionale, così disperata che vorresti gli riuscisse: De Martino dice, a un mondo determinato a credere sempre e solo alle vittime, specie se donne, specie se vittime di cose tutto sommato irrilevanti come le corna, che non è mica detto che sia andata come dice lei. Quando finisce una storia ci sono sempre due verità, dice, e la sua istanza non potrebbe attecchire meno neppure se citasse “Rashomon”.
De Martino sa che la sua ex ha vinto la guerra della comunicazione non solo perché lei è quella cui non serve il cognome e lui è quello cui serve il nome dell’ex; ha vinto perché viviamo in un mondo überpsicologizzato, e le corna non sono solo corna.
Nessuna osa dire – ma neanche pensare – ahò ma sei Belén, hai l’aspetto di Belén, le possibilità di Belén, da quel letto di mestizia ti alzi e, come insegnava la Carrà, trovi un altro più bello che problemi non ha (come peraltro ha poi precisamente fatto Belén, che nel resto dell’intervista ha raccontato il viaggio alle Maldive durante il quale il nuovo manzo le ha dato l’anello di fidanzamento: e noi qui determinate a considerarla vittima e sfortunata rimastona proprio come noi).
Nessuno ti dice di lavarti la faccia e smetterla d’essere triste, perché siamo tutti terrorizzati di non essere in sintonia con lo spirito del tempo, di essere accusati di perpetuare lo stigma sulla psicologia (esiste un tempo più stupido di quello in cui, dopo decenni in cui non c’è un film o uno sceneggiato televisivo in cui non ci sia un analista, le persone ti dicono tutte serie «eh ma c’è lo stigma e infatti il mio ex non è voluto venire in terapia di coppia con me»? Esiste una risposta più sensata di «presentami l’ex, mi sembra l’unica persona lucida rimasta»?).
Ieri sulla Stampa c’era un’intervista a Roberto Vannacci realizzata, dichiarava l’intervistatrice, il 22 novembre, a caso Cecchettin ancora più caldo di oggi, e quindi con molte domande sul tema. Ovviamente dare ragione a Vannacci fa subito di te un’impresentabile, e nessuna vuol essere impresentabile. Mi sacrificherò io, Giovanna d’Arco della rispettabilità sociale.
Vannacci diceva che il punto non è il patriarcato, ma gli uomini deboli, che – questo lo aggiungo io – sono quelli che uccidono le donne che osano voler stare senza di loro, approfittando dell’unica forza che hanno, quella fisica. Sappiamo tutte che è la verità, ma una verità che richieda un paio di tempi verbali e magari persino una subordinata non ha speranze, contro uno slogan telegenico come «patriarcato».
Simonetta Sciandivasci, che lo intervistava, chiedeva come fossero gli uomini forti, e Vannacci citava il nonno, nato nel 1898. «Orfano a 11 anni, in Marina a 16, caduto decine di volte e si è sempre rimesso in piedi. Non ha mai alzato un dito su mia nonna e l’ha sempre rispettata. Quelli che ammazzano le donne sono uomini che non sanno stare da soli, che sono dipendenti da loro e che, quando temono di venire abbandonati, perdono la testa. Altro che maschi patriarcali: sono mollaccioni smidollati che abbiamo prodotto noi».
Produciamo smidollati ambosessi, ma per fortuna la metà fisicamente meno forzuta non ammazza nessuno. Produciamo esseri umani per cui la coppia è il feticcio irrinunciabile, e lasciarsi a quarant’anni con figli e carriere e soprattutto quella che ti guarda dallo specchio che somiglia a Belén è lo stesso dramma che scoprire a quindici anni che il ragazzino che ti piace ha baciato la tua compagna di banco: lo affrontiamo con lo stesso livello di forza caratteriale e consapevolezza intellettuale.
Certo, mica siamo sceme, per cui ne abbiamo fatto format. Se sei bellissima e cornuta, famosa e cornuta, puoi andare alla tele a raccontarlo ed emettere fattura, una volta al massimo ti lamentavi con le amiche. Va bene così, con le difficoltà che ci sono per l’impiego femminile ci facciamo andar bene anche l’aumento di posti di lavoro nel settore cronaca autobiografica delle corna. Solo, però, poi non meravigliamoci se, nell’universo in cui cornificarsi è evento di gravità insuperabile, ogni tanto ci scappa la morta.