Nuova era L’inestimabile valore legale e simbolico della sentenza sulle «anziane per il clima»

La storica decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo potrebbe rivelarsi la bussola in grado di dettare la direzione di contenziosi “nuovi”, non presenti nei polverosi manuali studiati nei corsi di laurea in Giurisprudenza. L’inammissibilità del ricorso dei sei ragazzi portoghesi, però, dimostra che la strada è ancora lunga

AP Photo/LaPresse

Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (ci si iscrive qui) – Quella di martedì 9 aprile 2024 è stata la giornata più importante di sempre per i contenziosi sul clima. Una di quelle date che, nel bene e nel male, verrà citata a lezione dai professori universitari, urlata in piazza dagli attivisti ed evidenziata in grassetto nelle inchieste che denunciano l’inazione climatica dei governi e delle multinazionali. Il senso di quanto accaduto è tutto nelle parole di Catarina dos Santos Mota, che oggi ha ventitré anni ma ne aveva diciassette quando, nel giugno 2017, gli incendi devastarono il bosco di Pedrógão Grande, nell’entroterra portoghese, non lontano da casa sua: «Non abbiamo rotto il muro, ma abbiamo fatto una crepa enorme», ha detto.

Il muro non è caduto, perché la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato inammissibili due ricorsi: quello presentato da sei giovani portoghesi contro il loro Paese e altri trentadue Stati (Italia inclusa) e quello avanzato da Damien Carême, eurodeputato francese dei Verdi ed ex sindaco della città costiera di Grande-Synthe (Hauts-de-France), contro la Francia. Tra i ragazzi e le ragazze portoghesi c’era anche Catarina dos Santos Mota, sconfitta a testa altissima. Entrambe le cause, molto diverse tra loro, puntavano il dito contro i governi e la loro inadempienza ai rispettivi doveri in fatto di clima: una negligenza che, secondo i cittadini, ha rappresentato una violazione dei diritti umani.

La crepa nella convinzione, purtroppo diffusa, dell’astrattezza e della circoscrizione della crisi climatica si è però formata, perché il terzo caso in esame si è concluso con una sentenza in grado di creare un precedente storico e applicabile (potenzialmente) in tutti i Paesi del nostro continente. La Corte europea dei diritti dell’uomo, che prima di ieri non si era mai espressa su temi inerenti al cambiamento climatico, ha stabilito che i timidi e insufficienti sforzi del governo svizzero per ridurre le emissioni di gas serra hanno esposto le persone ai rischi sanitari e sociali delle ondate di calore. Nello specifico, queste persone rispondono ai nomi di circa duemilacinquecento donne svizzere, quasi tutte over settanta, riunite in un’associazione dal nome straordinario: KlimaSeniorinnen, le anziane per il clima.

Sminuire il valore della sentenza guardando solo l’aspetto economico – la Svizzera dovrà versare ottantamila euro per coprire le spese legali delle donne – sarebbe un grave errore. Il verdetto, innanzitutto, è giuridicamente vincolante e inappellabile. I giudizi della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno un’efficacia esecutiva indiretta, obbligando gli Stati a rispettare i contenuti delle sentenze tramite le leggi che ritengono più adatte. Ma, soprattutto, il valore simbolico e legale della vittoria delle anziane per il clima è privo di eguali nella storia dei contenziosi climatici. La mitigazione della crisi climatica, stando a quanto accertato dalla Corte, è strettamente legata agli obblighi di uno Stato a livello di protezione dei diritti umani: l’assenza di misure adeguate comporta una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, quello sul «Diritto al rispetto della vita privata e familiare». 

Come spiega Dennis van Berkel, consulente legale di Urgenda Foundation, «tutti i Paesi europei dovranno dotarsi di leggi adeguate che garantiscano che il riscaldamento globale sia limitato a +1,5°C (rispetto ai livelli preindustriali, ndr)», oltre che «stabilire nuovi budget nazionali per le emissioni di carbonio che siano in linea con la scienza più recente e con il limite di riscaldamento di +1,5°C». Secondo Ruth Delbaere, direttrice delle campagne legali dell’ong sui diritti umani Avaaz, la sentenza della Corte Edu «funge da modello per citare in giudizio con successo il proprio governo per i fallimenti climatici». Catherine Higham, policy fellow del Grantham research institute on climate and the environment, ha detto che la sentenza rappresenta «una pietra miliare nelle controversie sul clima». Ci sarà tempo per i cavilli legali e i tecnicismi, anche perché l’Ufficio federale di giustizia svizzero si attiverà per capire cosa dovrà fare il governo sul piano della lotta al cambiamento climatico, ma l’importanza di quanto accaduto ieri è oggettiva: di fatto, la Svizzera avrà il dovere legale di intensificare il suo impegno ambientale. 

Sono centinaia le cause climatiche in corso presso la Corte internazionale di giustizia e la Corte interamericana dei diritti umani, e la sentenza del 9 aprile potrebbe rivelarsi la bussola che detterà la direzione di contenziosi “nuovi”, non presenti nei polverosi manuali studiati nei corsi di laurea in Giurisprudenza. Secondo i dati raccolti dai Climate change litigation databases, le azioni legali sul clima “aperte” contro i governi sono seicentosessanta, mentre quelle contro le aziende duecentotrenta (al netto dei contenziosi statunitensi). Da oggi, i giudici e gli avvocati di tutto il mondo guideranno lungo una strada un po’ più illuminata, avendo a disposizione argomentazioni e precedenti più solidi. La Corte Edu ha infatti stabilito che il governo svizzero ha violato alcuni diritti umani delle KlimaSeniorinnen. Come? Attraverso una serie di «lacune critiche» nelle leggi nazionali sul clima e il mancato raggiungimento dei target ambientali. Le donne svizzere, quindi, non sono state protette dai «gravi effetti negativi del cambiamento climatico sulla qualità della vita, sulla salute e sul benessere». 

Attenzione, però, a non farvi ubriacare dall’entusiasmo. Il successo delle anziane per il clima non deve oscurare l’inammissibilità – dovuta soprattutto a motivi procedurali – degli altri due ricorsi, soprattutto quello dei giovani portoghesi, considerato dagli esperti un contenzioso climatico pionieristico. Sul “banco degli imputati”, infatti, non c’era un solo Paese, ma i governi di tutta l’Unione europea più il Regno Unito, la Norvegia, l’Ucraina, la Russia, la Svizzera e la Turchia. Ma secondo la Corte Edu, prima di poter coinvolgere gli altri Stati, i sei giovani dovevano prima esperire tutte le vie legali previste nel sistema giudiziario portoghese. In più, recita la sentenza, non c’erano i motivi per estendere il ricorso fuori dai confini nazionali. Una sconfitta significativa, soprattutto per via della natura globale dell’emergenza climatica: dietro gli incendi di Pedrógão Grande del 2017, responsabili di più di sessanta morti e duecentocinquanta feriti, non ci sono solo gli errori del Portogallo, ma di tutti i Paesi industrializzati. Diverso, invece, il caso di Damien Carême: la corte ha bocciato il ricorso perché, non vivendo più in Francia, il politico non poteva davvero dimostrare il contenuto della sua accusa. 

«Le controversie giudiziarie per il clima agganciano la tutela dell’ambiente a quella dei diritti umani, rendendo quindi le questioni legate al riscaldamento globale giustiziabili», raccontava a Linkiesta Agostina Latino, analista dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e docente di Diritto all’università di Camerino e alla Luiss. Si tratta di un tema articolato, ricco di sfumature e povero di solide certezze, ma capace di rendere giustizia alla pervasività dell’emergenza climatica di origine antropica. Come auspica l’attivista svedese Greta Thunberg, presente a Strasburgo nel giorno delle sentenze, «dovremo lottare ancora di più perché questo è solo l’inizio» di una nuova era dei contenziosi climatici.

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