Passeggiate sonore, installazioni sonore (di Caterina Barbieri sulla Torre Branca), performance sonore e riflessioni attorno al concetto di ecologia sonora.
Il suono, inteso non solamente come musica, è uno dei veicoli di sperimentazione più efficaci in campo culturale, ma anche ambientale. A confermarlo è l’intrigante evoluzione del Terraforma, tra i più noti festival di musica e arti sperimentali in Italia, che dopo otto edizioni in provincia si è trasferito nel centro di Milano aggiungendo “Exo” alla fine del nome che tutti conosciamo.
Derivante dal greco antico, il termine “Exo” corrisponde a un prefisso che indica qualcosa di esterno, di esteriore, che travalica e va “al di fuori”. Fin dalla sua fondazione, avvenuta nel 2014, Terraforma ha infatti usato la sperimentazione musicale elettronica per rimodellare lo spazio circostante, creando nuove dimensioni in un unico ecosistema. Dal 15 al 16 giugno, nel periodo musicalmente più frizzante per le grandi città italiane e non, il festival lascerà il guscio di Villa Arconati per “uscire fuori” e immergersi all’interno di Parco Sempione e, in particolare, della Triennale (qui il programma che comprende, tra gli altri, DJ Nobu e Kelman Duran). L’obiettivo, però, resta lo stesso: indagare la dimensione ecologica del suono. K-Way è lo sponsor. Il brand ritorna per il terzo anno consecutivo al festival culturale milanese tra eventi, concerti e un’edizione speciale del celebre antipioggia impacchettabile.
Tra i focus principali di Terraforma Exo, prodotto dall’agenzia creativa Threes Productions, ci sarà la sostenibilità ambientale, un elemento cardine di un progetto culturale nato attorno alla riqualificazione di una villa in stato d’abbandono. Parliamo proprio di Villa Arconati, a Castellazzo di Bollate (hinterland milanese), nel cuore del parco delle Groane. Al posto di pagare un canonico affitto per sviluppare il festival, gli organizzatori scelsero la via più tortuosa ma artisticamente stimolante: rigenerare il polmone verde che ospita la «piccola Versailles del nord Italia», ripiantumando – tra le altre cose – un labirinto.
È stata un’avventura lunga dieci anni, costellata di serate magiche, live di artisti di fama internazionale e corpi danzanti in armonia con la natura. Come spesso accade, però, anche i cicli più virtuosi devono chiudersi per dare sfogo a processi evolutivi inevitabili, ma non per questo meno autentici. Ne abbiamo parlato direttamente con Ruggero Pietromarchi, ideatore di Terraforma nonché co-fondatore e direttore artistico di Threes Productions.
Qual è l’origine dell’anima ecologica di Terraforma?
«Fin dall’inizio ci siamo chiesti come realizzare un evento in maniera sostenibile. La risposta è stata Villa Arconati, una villa del Settecento che è considerata la piccola Versailles del Nord Italia, un vero e proprio patrimonio della collettività che, come spesso accade in Italia, è caduto in stato d’abbandono. Il festival è nato proprio con questo ethos: da una parte voleva essere un progetto musicale, dall’altra un progetto di rigenerazione ambientale. Volevamo che Terraforma creasse non solo un substrato culturale legato a un’espressione artistica – la sperimentazione musicale elettronica –, ma anche un terreno di sperimentazione per pratiche legate alla sostenibilità ambientale, partendo da un qualcosa di molto concreto: prendersi cura di un bene che appartiene alla comunità».
Cosa è successo, nello specifico, a Villa Arconati?
«Siamo riusciti a stipulare un accordo con la proprietà privata: al posto di pagare un affitto per organizzare il festival, avremmo sviluppato un processo di riqualificazione anno per anno del parco di Villa Arconati. L’idea a tutto tondo era quella di ripulire il parco e allestirlo con nuove strutture: un progetto che, in teoria, doveva andare al di là del semplice Terraforma. Volevamo che il parco diventasse fruibile per tutti. Tra gli obiettivi da lì a dieci anni c’era anche la creazione di un parco scultoreo. Un valore aggiunto che avrebbe potuto creare un guadagno per la villa».
Qual è stato il progetto di riqualificazione più significativo?
«Il fiore all’occhiello del progetto di riqualificazione di Villa Arconati è il labirinto. In una mappa originale dell’epoca abbiamo notato la presenza di questo dedalo; nessuno sa se fosse realmente esistito e non c’erano testimonianze, a parte questo disegno di un’area circolare non troppo distante dal nostro palco principale. Era una sorta di palude, perché tutta l’area del Parco delle Groane è molto argillosa. Quindi abbiamo sistemato il terreno per far sì che l’acqua potesse defluire e non stagnare al centro. E con tutti i passaggi con la soprintendenza e la collaborazione con la Fondazione Augusto Rancilio, abbiamo avviato un progetto triennale di ripiantumazione del labirinto in fondo alla villa. Oggi è anche un palco dove abbiamo invitato artisti a sviluppare delle performance site-specific».
Dalle Olimpiadi ai concerti, oggi molti eventi si professano “a emissioni zero”. Ma può esistere un grande evento davvero ecosostenibile?
«Il compito dei Coldplay è fare musica e sensibilizzare sulle questioni ambientali sfruttando la loro potenza mediatica, e lo stesso vale per i Jova Beach Party. Ma che un evento di centinaia di migliaia di persone voglia essere sostenibile, per me è un po’ una bufala. È anche il tema che ci siamo posti e che ci ha portato alla trasformazione del Terraforma. Oggi Villa Arconati è cambiata, non è più la selva oscura di dieci anni fa. L’abbiamo riqualificata, c’è una fondazione molto attiva e sta diventando la villa di delizia 2.0. Terraforma, quindi, ha completato il suo progetto di riqualificazione ed è diventato un evento da migliaia di persone che si professa sostenibile. Io credo che i festival siano e debbano essere terreni di sperimentazione: festival come il nostro, che creano mondi paralleli, hanno questo potenziale, ma devono anche creare una serie di servizi affinché le persone possano pernottare lì. Per noi non era abbastanza, quindi abbiamo deciso di evolvere in questo senso, in un’altra dimensione».
Qual è stata la reazione degli aficionados di Terraforma all’addio a Villa Arconati?
«Uno degli elementi fantastici di Terraforma è sempre stato il pubblico. Un pubblico che viene da tutto il mondo, fatto di minds alligned. L’addio a Villa Arconati è stato percepito con una certa dose di tristezza e nostalgia, ma anche di comprensione: il messaggio è stato chiaro ed espresso in maniera ragionevole. Quando le cose vengono fatte con un senso devi interiorizzarle e capirle. Ho percepito un grandissimo supporto».
Siete passati da un luogo fuori dal mainstream (Villa Arconati) a due tra gli indirizzi più famosi di Milano, se non d’Italia: Parco Sempione e la Triennale. Da dove nasce questa scelta?
«La Triennale è ideale per ciò che vogliamo fare. È un museo stupendo, un’istituzione che si presta molto bene a questo tipo di sperimentazioni legate alla musica, all’ecologia e al design: sono tematiche che Triennale porta avanti da tempo. Le tematiche legate al suono un po’ meno, ma si stanno avvicinando. Ci sembrava il luogo ideale dove far atterrare i nostri esperimenti legati alla sound art. Con Parco Sempione abbiamo mantenuto una connessione con l’elemento verde e pubblico. È ben più di un parco: è ricchissimo di spunti, tra la Palazzina Appiani, il teatro di Burri, la Cascina Nascosta, la biblioteca, l’acquario civico. È un vero e proprio ecosistema, quindi per noi rappresenta un buon elemento di connessione con il vecchio Terraforma. Volevamo creare un fil rouge ma posizionare l’evento a livello più istituzionale. E anche mantenere una connessione con Milano».
Il tema dell’ecologia del suono ha guidato anche la scelta degli artisti di Terraforma Exo?
«L’approccio curatoriale ha provato a mettere insieme diversi artisti e diverse “soluzioni” su come affrontare il tema dell’ecologia del suono. Realizzeremo, per esempio, un’installazione sonora sulla Torre Branca, con la musica di Caterina Barbieri a enfatizzare la vista emozionante sulla città. Ci sarà poi una sorta di lectio magistralis di David Toop, autore di un libro intitolato “Oceano di suono”, che parlerà di ecologia sonora in un’occasione frontale ed esplicativa. Si arriverà fino al concerto di Robert Henke, che presenterà per la prima volta a Milano un nuovo show che – prendendo spunto dall’utilizzo di vecchi computer commodore – crea una sinfonia in grado di formare un altro paesaggio sonoro. L’ecologia è certamente il tema, ma l’analisi verterà sul paesaggio sonoro e su come il suono può rimodellare lo spazio. Ci saranno anche passeggiate sonore, performance, incontri. Tutto per sollecitare questa ecologia».
Cosa intendi con passeggiate sonore?
«È un’iniziativa nata durante il Covid grazie a un progetto chiamato “Pianeta Milano”. Si tratta di perlustrazioni territoriali e workshop, in cui gruppi di quindici o venti persone realizzano delle passeggiate condotte da un tutor che sensibilizza sull’ambiente sonoro circostante».
Parlando di sensibilizzazione sui temi ambientali e di azioni concrete contro la crisi climatica, il ruolo del mondo culturale è molto sottovalutato. Sei d’accordo?
«Sì, in generale c’è una grande sottostima del mondo culturale, soprattutto in Italia, perché non si riesce mai a vedere il valore sociale a tutti gli effetti. Spesso viene percepito come puro intrattenimento e si sottovaluta la forza dei messaggi che può veicolare. Il nostro è un tutt’uno che cerca di dare al pubblico una novità attraverso le proposte che facciamo. Vogliamo spingere le persone a porsi delle domande sull’ambiente, sui costumi sociali e via dicendo, e questo è potentissimo. Quale altro mezzo è più evocativo delle arti per sviluppare un senso critico nelle persone? È complicato perché l’impatto in termini di sensibilizzazione non è immediato, non è diretto. È un’intelligenza che oggi manca tantissimo. C’è la necessità di avere una visione di lungo termine che tocca anche i temi degli sprechi e dei consumi, legati a errori fatti per inseguire un ritorno economico immediato».