Piante e astronauti I progressi dell’agricoltura spaziale, tra sistemi biorigenerativi e ottimizzazione delle risorse

La ricerca scientifica sulle coltivazioni in ambienti e condizioni estremi guarda al cosmo, ma ne cogliamo i frutti già qui sulla Terra. Ne abbiamo parlato con la professoressa Stefania De Pascale

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Coltivato, il Festival Internazionale dell’Agricoltura, in attesa della nuova edizione che si terrà l’anno prossimo, ha partecipato alla Biennale Tecnologia 2024, organizzata dal Politecnico di Torino, con un tema solo apparentemente fantascientifico, in realtà attualissimo: l’agricoltura spaziale. Stefania De Pascale, professoressa ordinaria al dipartimento di agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, e Maria Lodovica Gullino, fitopatologa, imprenditrice e responsabile scientifica di Coltivato, hanno delineato un futuro-presente in cui le piante avranno un ruolo centrale per rendere possibili missioni spaziali di lungo periodo su Luna e Marte. Le ricerche condotte in questo ambito possono inoltre fin da subito aiutarci a produrre tecnologie utili per la coltivazione delle piante in ambienti estremi sulla Terra.

Stefania De Pascale negli ultimi venticinque anni ha dedicato la sua attenzione allo studio degli effetti della microgravità e delle radiazioni ionizzanti sulle piante, allo sviluppo di un modulo serra per la Stazione Spaziale Internazionale (Iss) e alla coltivazione di piante in sistemi di controllo ambientale biorigenerativo per supportare la vita nello spazio. Dal 2019 dirige il Laboratory of Crop Research for Space, che si occupa della caratterizzazione delle piante per i sistemi rigenerativi di supporto alla vita, ed è membro del Comitato tecnico scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi).

Parlare di “agricoltura spaziale”, spiega, può sembrare poco più di una fantasia, invece è un concetto che sta diventando sempre più concreto nell’ambito dell’esplorazione spaziale. «La soluzione proposta dai ricercatori di tutto il mondo – dice De Pascale – è creare un ecosistema artificiale definito sistema biorigenerativo di supporto alla vita (Bioregenerative Life Support System, Blss) nello spazio, in cui interagiscono organismi biologici differenti, così come avviene in un ecosistema terrestre. Si tratta, in estrema sintesi, di creare un ecosistema artificiale basato sulle interazioni tra organismi produttori (alghe, piante verdi e altri organismi fotosintetici), organismi decompositori (batteri, funghi e detritivori come vermi e larve di insetti) e organismi consumatori (l’equipaggio umano), alloggiati in relativi compartimenti, in cui ciascuno utilizza come risorsa i prodotti di scarto dell’altro, in un ideale ciclo chiuso».

Semplificando: le piante sono in grado di: rigenerare l’aria assorbendo anidride carbonica (CO2) ed emettendo ossigeno (O2) attraverso la fotosintesi; purificare l’acqua mediante la traspirazione (acqua pura che può essere recuperata attraverso la condensazione in appositi circuiti); produrre cibo fresco per l’alimentazione, utilizzando parte dei prodotti di scarto dell’equipaggio (CO2 della respirazione, feci e urine come fonte di elementi minerali) e luce come fonte di energia; fornire attraverso gli scarti non edibili substrato utile agli organismi decompositori.

La professoressa sottolinea anche come, nell’ottica di lunghe permanenze nello spazio, la presenza di piante mitighi lo stress psicologico della missione e delle condizioni di isolamento.

A queste ricerche partecipa attivamente il suo dipartimento: «Il 19 novembre 2019 abbiamo inaugurato il Laboratory of Crop Research for Space dedicato alla caratterizzazione delle piante per i sistemi rigenerativi di supporto alla vita nello Spazio e nato dalla collaborazione con Asi e Agenzia Spaziale Europea (Esa)».

L’idea, però, di colonizzare altri pianeti trasformandoli in distese coltivabili, resta per ora un’utopia. «L’obiettivo principale è quello di supportare la vita umana nello spazio. In questo contesto, in tutto il mondo si stanno esplorando approcci differenti alle serre spaziali. Non potranno essere semplici repliche delle più avanzate serre terrestri, perché ci sono diversi fattori specifici. Per esempio, nei futuri habitat planetari il principale fattore di rischio è rappresentato dalle radiazioni cosmiche e questo richiederà l’accurata progettazione di sistemi di schermatura antiradiazione. Inoltre, per la crescita delle piante nello spazio, dove la luce solare naturale potrebbe trovarsi non sempre in quantità e per tempi sufficienti, l’illuminazione artificiale è un elemento fondamentale».

Si ipotizzano ambienti “sotterranei” in cui saranno ricreate le condizioni ambientali ottimali e, su pianeti e satelliti dove la gravità è presente, l’impiego di sistemi senza suolo (Nutrient Film Technique, floating system, aeroponica) o metodi irrigui “gravimetrici” su substrato (per esempio, l’irrigazione “a goccia”, che rilascia piccole quantità di acqua o soluzione nutritiva in prossimità delle radici) simili a quelli normalmente utilizzati sulla Terra.

«Le basi planetarie e satellitari – sottolinea la scienziata – hanno anche risorse disponibili in situ. Per esempio, la regolite lunare come substrato, CO2 dall’atmosfera marziana per la concimazione carbonica delle piante. Si occupa di questo il progetto Re-BUS, In-situ REsource Bio-Utilization for life Support system, un programma di ricerca nazionale triennale conclusosi di recente, finanziato dall’Asi e di cui ero coordinatore».

In realtà, una parte di questi scenari è già in atto. «Un piccolo morso per l’uomo, un grande balzo per l’umanità». È con queste parole che la Nasa ha commentato il primo assaggio “ufficiale” da parte degli astronauti delle primizie prodotte nella facility Veggie istallata a bordo dell’Iss e consumate a “chilometro zero” nel 2015.

«Gli esperimenti condotti sulla Stazione Spaziale Internazionale e in altre missioni spaziali hanno dimostrato la fattibilità della coltivazione delle piante, fornendo informazioni scientifiche preziose sulla risposta delle piante e per l’ottimizzazione dei sistemi di coltivazione, come i substrati capillari e le tecniche di irrigazione e nutrizione adatte alla microgravità. Gli ortaggi da foglia, le “insalate”, hanno dimostrato una buona adattabilità alle condizioni di microgravità e sono coltivati con successo a bordo dell’Iss nelle “salad machines”. Ma anche i cereali, i pomodori (nani), le barbabietole, i ravanelli e numerose altre piante utilizzate a scopo alimentare sono state coltivate in ambiente spaziale e assaggiate dagli astronauti a bordo».

E infine, il tema forse più urgente: come applicare queste conoscenze a un’agricoltura che sta già sfruttando ampiamente le risorse disponibili.

«L’agricoltura terrestre può apprendere molto dall’agricoltura spaziale. La prima lezione, la più ovvia, riguarda la centralità del settore agricolo non solo come settore primario, ma anche, soprattutto, per il ruolo ecosistemico fondamentale che l’agricoltura svolge a sostegno dell’umanità sulla Terra, andando ben oltre la semplice produzione di cibo e materie prime.

La seconda è che lo spazio rappresenta un ambiente estremamente ostile e, nel caso della futura colonizzazione di Marte, non potrà essere considerato come una fuga alla ricerca di un pianeta B.

La terza lezione, collegata alla precedente, riguarda la necessità di sfruttare al meglio le risorse naturali che il nostro pianeta può offrire. Nello spazio non esistono taverne, per parafrasare un noto proverbio marinaresco. Il risparmio delle risorse, che è un obiettivo nell’agricoltura terrestre, diventa un requisito imprescindibile nello spazio.

Infine, le conoscenze acquisite e le tecnologie sviluppate per coltivare le piante nello spazio consentiranno di coltivare in aree terrestri estreme – dai poli ai deserti, fino al cuore delle megalopoli moderne – guadagnando più spazio alle piante sulla Terra.

L’applicazione pionieristica di tecniche come l’idroponica e l’aeroponica a ciclo chiuso, l’agricoltura verticale e l’illuminazione artificiale a LED per le piante nello studio dell’agricoltura spaziale ha già stimolato lo sviluppo di sistemi simili nelle nostre colture protette, con potenziali vantaggi soprattutto laddove le risorse sono scarse o degradate. La condensazione e il riutilizzo dell’acqua di traspirazione, l’utilizzo di reflui umani pretrattati per la nutrizione delle piante, il compostaggio e la degradazione dei rifiuti organici sono aree di ricerca molto attive nell’agricoltura spaziale, con notevoli potenziali ricadute anche nell’ambito terrestre».

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