Tratto dall’Accademia della Crusca
Nel Regolamento (CE) N.853/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale quella del pesce non è annoverata tra le carni. Infatti, nell’allegato 1 di tale documento, per carne si intende generalmente la parte commestibile degli animali, ma non di tutti. Di seguito a questa definizione, un elenco specifica a quali di questi animali ci si deve riferire quando si parla di carne, quindi gli ungulati domestici (bovini, suini, ovini, caprini e i cosiddetti solipedi domestici, ovvero cavalli e asini), il pollame (compresi i volatili), i lagomorfi (conigli, lepri, roditori), la selvaggina selvatica e quella d’allevamento. Del pesce, dunque, in ciò che si definirebbe carne, non c’è traccia.
Nonostante questa premessa, il dubbio dei lettori è lecito, perciò in questa risposta si cercherà di far luce sulla questione, ovviamente sul piano linguistico. Si tratterà, poi, dell’espressione né carne né pesce, molto usata in diversi contesti, per indicare situazioni di incertezza o di incompiutezza.
Cosa dicono i vocabolari
Proprio la prima definizione che il Vocabolario Treccani, nella versione online, fornisce alla voce carne indica quest’ultima come la “parte muscolare del corpo dell’uomo e degli animali”. Fin qui, dunque, potremmo essere tutti d’accordo, se non fosse che alla quarta accezione si specifica che la carne è un “alimento costituito dal tessuto muscolare di varî animali (con esclusione, di regola, della carne del pesce, spesso anzi in contrapp. ad essa), ricco di proteine, di ferro, ecc.”. Con questa definizione concorda il GDLI, secondo cui, alla sedicesima accezione, la carne rappresenta “la parte muscolare di varie specie di animali, esclusi i pesci, che costituisce, per la sua ricchezza di sostanze proteiche, il principale alimento azotato dell’uomo”, per segnalare poi, però, nell’accezione successiva, un uso raro per il quale la carne può essere concepita anche come “parte tenera e commestibile del pesce”. L’uso linguistico, in questo caso, entra in contraddizione con quanto specificato dal Regolamento europeo: l’ultima accezione considerata, infatti, trova conferma anche in altri repertori lessicografici, dove carne è usata anche in riferimento al pesce. Già nel Novo Dizionario universale della lingua italiana di Policarpo Petrocchi (Milano, Treves, 1902) si parla, ad esempio, del “pesce che à la carne dura”, anche se rimane sempre ben presente la contrapposizione tra i due termini, nell’esempio proposto più avanti (“tu mangi i pesci, io la carne”). Nel De Felice-Duro 1974 il termine carne “può essere riferito anche a pesci e animali a sangue freddo, sempre in quanto commestibili”. In repertori contemporanei come lo Zingarelli 2024, la carne, alla terza accezione, è definita “parte commestibile degli animali, spec. di mammiferi e uccelli, ma anche di pesci, crostacei e molluschi […]”.
La lessicografia, quindi, seppure con alcune riserve o contraddizioni, ci dà in generale il via libera per l’utilizzo del termine carne anche in riferimento al pesce, ma tale questione, come si vedrà più avanti, non è recente, tanto che quest’uso si rintraccia soprattutto in testi specialistici di àmbito culinario o medico-scientifico.
Nei testi medici antichi e moderni
Una possibile prima attestazione di quest’uso specifico risale all’inizio del secolo XIV e si trova nel volgarizzamento fiorentino del primo trattato medievale di medicina scritto in volgare, il Régime du corps del medico Aldobrandino da Siena, a opera di Zucchero Bencivenni, in un esempio segnalato anche nella terza impressione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1691) e presente anche a p. 174 dell’edizione pubblicata da Rossella Baldini nel 1998 (Zucchero Bencivenni, «La santà del corpo». Volgarizzamento del «Régime du corps» di Aldobrandino da Siena (a. 1310) nella copia coeva di Lapo di Neri Corsini (Laur. Pl. LXXIII 47), “Studi di Lessicografia italiana”, XV, pp. 21-300):
questi cotali pesci sono | convenevoli a natura d’uomo, p(er)ciò che lla loro charne non è troppo | grassa nè troppo magra, anzi è savo|rosa (e) nodriscie più che charne d’al|tri pesci. (c. 87r)
Nel Corpus OVI troviamo altri esempi antichi relativi all’utilizzo di carne in riferimento al pesce, come quello rintracciato in un testo senese della prima metà del Trecento, Il bestiario del Tesoro toscano nell’edizione di Paolo Squillacioti secondo il ms. Laurenziano Plut. XLII 22 (“Bollettino dell’Opera del vocabolario italiano”, XII, 2007, pp. 265-353, a p. 281):
Et Aristotile dice che in questo pesce àne molta utilitade, nela sua carne et nelo suo sangue et nelo suo grasso…
Lo stesso in un altro testo scientifico medievale, padovano, datato 1390, El libro Agregà de Serapiom, volgarizzamento di Frater Jacobus Philippus de Padua, nel vol. I dell’edizione curata da Gustav Ineichen (Venezia-Roma, Istituto per la collaborazione culturale, 1962, p. 457):
La carne de un pesce de mare salò, el qualle se chiama kasam…
Altre testimonianze del genere risalgono a testi scientifici dell’Ottocento, quali, ad esempio, gli Atti e memorie della società medico-fisica fiorentina degli anni 1852-1853 (Firenze, Tipografia di Mariano Cecchi, 1854, p. 208):
La galla precipita poco la soluzione dell’estratto acquoso di carne di pesce, molto quella di pollo, e di bue.
Oppure il Supplemento annuale alla Enciclopedia di chimica scientifica e industriale […], pubblicato a Torino presso l’Unione tipografico-editrice. Nel volume relativo agli anni 1892-93 (uscito nel 1893), in particolare, un intero capitolo è dedicato all’illustrazione delle proprietà della carne del pesce come dimostra l’esempio qui riportato (p. 245):
Del resto la carne di pesce più è fresca più e buona: in qualunque modo conservata, essa scapita in sapidità, e, sotto quest’aspetto, è ben più sensibile di quella di tutti gli altri animali.
Come si è potuto osservare, quindi, è frequente che nei testi medico-scientifici si parli di carne di pesce, anche in senso nutrizionale.
Nei testi di cucina
L’uso di carne di pesce è attestato nei ricettari a partire dal XVIII secolo, come dimostrano gli esempi presenti nel corpus del progetto AtLiTeG (l’Atlante della lingua e dei testi della cultura gastronomica italiana dall’età medievale all’Unità, la cui banca dati sarà presto consultabile). Qui di seguito si segnalano alcuni esempi per carne di pesce (con la preposizione semplice):
Si può ancora riempire un cavolo da magro con carne di pesce ed altre guarniture, come se questo fosse una carpa, un luccio o altro pesce che si volesse riempire. (Il cuoco reale e cittadino il quale insegna ad ordinare ogni sorta di vivanda e la miglior maniera di ragù i più alla moda ed i più squisiti, Venezia, Lorenzo Baseggio, 1791, p. 85)
Della stessa maniera si può servire ogni Potaggio all’olio, cambiandole solo il brodo, che dovrà essere fatto con carne di pesce, cipolle, rape, pastinache, sellari e petrosemolo; o pure bianchite e cotte l’erbe in acqua, e poi poste in olio con un senso di aglio, petrosemolo trito, acciughe e semi di finocchi. (Vincenzo Corrado, Il cuoco galante, sesta ed., Napoli, dai torchi di Saverio Giordano, 1820, p. 19)
…aggiungete un po’ di prezzemolo, funghi agretti e triti, pepe, noce moscata e sale e servitevene colla carne di pesce, o di volaglia o di montone. (Giovanni Vialardi, Il piccolo Vialardi. Cucina semplice ed economica per le famiglie, Torino, Roux Frassati e C° editori, 1899, p. 49)
Interessante, inoltre, è la ricetta del prosciutto di pesce, nella quale la “carne di tinche, d’anguille e di salmon fresco” è usata per una preparazione che solitamente si realizza con la carne di suino (lo stesso termine prosciutto è generalmente inteso in riferimento proprio al suino):
Prendete della carne di tinche, d’anguille e di salmon fresco, e de’ latti di carpa, che triterete e pesterete in un mortaro, con sale, pepe, noce moscata e burro. Mescolate bene tutte queste carni insieme e formatene una maniera di prosciutto sopra delle pelli di carpa. Invilupperete il tutto dentro una tela nuova, che cucirete ben stretta, e lo farete cuocere con metà acqua e vino, condito di garofali, alloro e pepe: lasciatelo raffreddare dentro il suo brodo e servitelo con lauro, erbe fine tagliate minutamente e fette di limone. Lo potete ancora tagliare in fette come il vero prosciutto. (Il cuoco reale…, cit., p. 153)