Antisemitismo militanteAppunti per difendersi dalla disinformazione sulla Corte dell’Aja

I giudici della Corte internazionale di giustizia non hanno ordinato di fermare le operazioni militari a Rafah in termini assoluti, ma hanno specificato che Israele deve evitare operazioni che pregiudichino i diritti dei palestinesi protetti dalla Convenzione contro il genocidio. La differenza è importante, ma come successo in passato il pregiudizio anti israeliano ha travisato tutto

LaPresse

Ci sono voluti tre mesi affinché la presidente della Corte internazionale di giustizia  – che non ha mai parlato di genocidio «plausibile» – spiegasse che il collegio che presiedeva non ha mai parlato di genocidio «plausibile». Nel frattempo non solo il pacifismo filoterrorista e i consulenti filoterroristi dell’Onu, ma l’editorialismo democratico, i comitati di redazione democratici, il femminismo democratico, il sindacalismo democratico, l’ambientalismo democratico, l’accademia democratica continuavano non solo a parlare di genocidio, ma a parlarne spiegando che «l’ha detto anche la Corte Internazionale di Giustizia!». E ovviamente non hanno smesso di dire che la Corte ha detto che c’è il genocidio nemmeno dopo che la presidente della Corte ha spiegato che la Corte non ha detto che c’è il genocidio.

Vedremo quanto tempo dovrà passare perché qualcuno spieghi che era a dir poco dubbio ciò che l’altro giorno i giornalisti internazzionali co’ du zeta e i reporter de guera co’ una ere davano invece per certo, e cioè che la Corte Internazionale di Giustizia, venerdì scorso, ha ordinato a Israele di «fermare immediatamente l’operazione militare a Rafah». 

Poiché il dispositivo dell’ordine non era quello, ma diceva che Israele doveva fermare le operazioni militari, virgola, nonché le altre operazioni nell’area, virgola, capaci di pregiudicare i diritti dei palestinesi protetti dalla Convenzione contro il genocidio, qualcuno ha obiettato che il dispositivo dell’ordine non era quello, ma diceva che Israele doveva fermare l’operazione militare, virgola, nonché le altre operazioni nell’area, virgola, capaci di pregiudicare i diritti dei palestinesi protetti dalla Convenzione contro il genocidio. 

Al che, i riportatori del moncone giudiziario hanno spiegato che in realtà il dispositivo era ambiguo. Cioè: siccome è ambiguo nella sua interezza tu riporti il moncone che invece non presenta profili di ambiguità.  Tipo che la sentenza dice che Tizio non deve guidare ubriaco e io riporto che dice che non deve guidare, perché ubriaco vai a sapere cosa significa. 

Dice: vabbè, ma lascia perdere quello che ne dicono i giornali, la decisione è lì da leggere e tanto basta. Tanto basta mica tanto, direi io. Se non peraltro, perché anche la decisione del 26 gennaio 2024 che non parlava di genocidio plausibile era lì da leggere, ma evidentemente ciò non bastava affinché quel corteo di fessi e di mascalzoni non dicesse il contrario, e cioè che il genocidio c’era eccome tanto è vero che l’ha detto la Corte. 

Ma non è neppure soltanto questo. Perché nel dubbio, a dir poco, che la corte avesse ordinato di fermare le operazioni militari a Rafah punto e basta, affermare risolutamente che proprio quello fosse l’ordine consentiva ai medesimi cronisti della Mani Pulite antigenocidiaria di denunciare che Israele se ne impipava continuando le operazioni belliche. Nel corso delle quali, by the way, si recuperavano altri tre ostaggi assassinati di cui non parla nessuno, tenuti in un sotterraneo ricavato al di sotto di stupendi ammobiliatissimi modernissimi tutti comfort zona servitissima vista spettacolare trattativa riservata, sì agenzia, insomma in un quartierino dell’Unrwa pagato con le tasse comuni che prendono la via dal fiume al mare. 

Va tutto bene? Certo che va tutto bene. Se si tratta di fermare il genocidio, che continua a Rafah, stai a guardare le virgole?

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