L’Italia è uno dei Paesi in cui la disinformazione e la propaganda pro Putin hanno piantato le radici più solide. È diventata un obiettivo preferenziale della disinformacja per alcuni motivi evidenti a tutti: un’ampia parte della politica istituzionale connivente con la retorica putiniana, un’opinione pubblica polarizzata dagli strascichi della stagione militante (per una vasta area che va dalla sinistra alla destra radicale, l’antiamericanismo dei tempi che furono si è evoluto in una fascinazione per la Russia) e un’inclinazione al complottismo propria degli italiani.
Ma per capire cos’è nei fatti la guerra ibrida denunciata dai giornali e dalle istituzioni, bisogna andare un po’ più a fondo e guardare a realtà apparentemente innocue che agiscono nella stessa direzione degli opinionisti dichiaratamente pro Putin e che, in un certo senso, riescono a fare più danni di quest’ultimi. È il caso dei vlogger russi che si rivolgono direttamente al pubblico italiano, una serie di account online che intendono raccontarci la Russia «senza filtri» e in maniera «diversa da come la Federazione viene descritta dalla stampa italiana».
Il trucco è semplice, parlare della Russia non in termini politici, ma di vita quotidiana, nascondendo la più spudorata apologia del regime dietro la maschera del travel vlogging. Ciò che però rende più interessante questa lista di profili è la tecnica comune di portare testimonianze ed esempi di cittadini italiani in Russia, studenti fuorisede e lavoratori di nazionalità italiana in modo da indirizzare il messaggio di fondo («il Cremlino è nostro amico») specificatamente alla platea italiana, creando un contenuto con il quale diventa più facile riconoscersi. I filorussi nostrani, sia quelli dichiarati che i finti neutralisti, marciano spesso e volentieri sull’idea vittimistica della paranoia anti-russa dell’Occidente (cosa che troveremo spesso su questi account), arrivando a sostenere che no, raccontare la Federazione russa in questo modo non implica alcuna malafede o doppio fine politico. Vedremo adesso perché anche questa è una bugia.
Per scavare all’interno di questo sottobosco, siamo partiti da un profilo che raccoglie tutte le caratteristiche citate: una studentessa russa – nella descrizione vanta un master in Relazioni internazionali – che pubblica video e contenuti di vario tipo per rispondere alla domanda «c’è vita nel paese più sanzionato al mondo?» (slogan riportato in bella vista nella descrizione della pagina). Non faremo il suo nome né quello degli altri account di questo genere per evitare di fare il loro gioco. Aprendo il profilo, la prima cosa che salta all’occhio sono le interazioni dei follower: tutti italiani. A parte qualche commento in cirillico, le frasi che accompagnano i racconti delle città, le curiosità sulla vita di tutti i giorni in Russia e le interviste sono di utenti italiani che spaziano dal semplice apprezzamento al copione tipico dei bot pro Putin («altro che Russia arretrata» «lì si che le cose funzionano» e via dicendo).
Nella sezione Q&A, l’aspetto strettamente informativo cede il passo a quello sfacciatamente propagandistico, per quanto annacquato, con domande del tipo «com’è stata gestita la pandemia dalla Federazione russa?» con conseguenti paragoni faziosi con l’Italia («noi russi sappiamo gestire queste cose […] non c’è stato orrore come da voi») o «i russi sono liberi di esprimere le proprie idee?» cui segue un pretestuoso e scontato debunking sulla repressione del Cremlino, invenzione della stampa occidentale.
Non bisogna andare troppo a fondo tra i post per trovare dichiarazioni anti-Nato e filogovernative, ma qualcuno potrebbe comunque sostenere che si tratti del semplice parere di una cittadina russa, che questa parli agli italiani solo e unicamente per «amore verso il nostro paese» e che la malafede, in questo caso, è solo nostra. Ma andiamo tra i seguiti del profilo in questione. Tra i canali che appaiono nella lista troviamo personaggi speculari con format identico – interviste a italiani, informazione locale diretta agli italiani e contenuti a prima vista inoffensivi come raccolte di meme interni alla comunità russa – tra cui spiccano pagine di approfondimento sulla Russia che riportano la narrazione ufficiale del Cremlino, spacciandosi però come fonti neutrali e partite dal basso (dagli utenti per gli utenti).
La farsa della buona fede diventa palese con la comparsa di due soggetti che conosciamo bene: Casa Russa Roma, il centro culturale che «svolge le proprie attività sotto la guida generale dell’Ambasciata della Federazione Russa in Italia» e, dulcis in fundo, Byoblu, il megafono della propaganda putiniana, no Vax e anti-Ue tanto caro ai veterocomunisti, neofascisti e grillini della prima ora. Abbiamo preso in analisi questo profilo perché è parte di una rete ben collaudata e per quanto non possiamo dichiarare con certezza granitica che si tratti di un’emanazione diretta del Cremlino, questa serie di account svolge un ruolo essenziale nella guerra ibrida del regime di Mosca, normalizzando la realtà russa attraverso un racconto semplice, abbordabile e mistificatorio, negando le più plateali violazioni della libertà individuale commesse dai sicari di Putin (nel mondo presentato dai soggetti in questione, casi come quelli di Navalny o il più recente arresto di Garry Kasparov scompaiono magicamente e anche la stessa invasione di Kyjiv, se citata, è ridotta a una mera questione locale). Non possiamo sapere se si tratti di acclarate quinte colonne o semplicemente di utili idioti, ma quando ci rapportiamo a loro dobbiamo ricordare le recenti dichiarazioni della presidente moldava Maia Sandu, la quale ha denunciato la presenza nel suo paese di opinionisti, attivisti e influencer al soldo del Cremlino.
Il sospetto diventa allarme quando si tratta dei social: negli ultimi giorni, la Commissione europea ha aperto un’indagine contro Meta – l’azienda di Mark Zuckerberg che possiede, tra i vari servizi, Facebook, Instagram e WhatsApp – per non aver preso i giusti provvedimenti contro i contenuti filorussi spammati dalle pagine attive sui social. Un’azione necessaria (seppur tardiva) in vista delle prossime elezioni europee. A preoccupare l’Ue sono i dati allarmanti raccolti negli scorsi mesi da AI Forensics: il network Doppelgänger – una rete eterodiretta dal Cremlino nel contesto più ampio della campagna di disinformazione – ha raggiunto, solo nei mesi di gennaio e febbraio 2024, un minimo di centoventotto milioni di account in dieci diversi paesi europei. Andando a ritroso nel tempo, le cifre non sono meno imponenti, attestandosi sempre sulle decine di milioni di profili raggiunti e va ricordato, per comprendere la gravità della situazione, che Doppelgänger è solo una delle centinaia di reti che ogni giorno operano in questo senso.
Il problema è reale, ma continua a essere sottovalutato o, peggio, considerato un inganno, una gonfiatura orchestrata dal mainstream per diffamare la Federazione russa. Cosa sia nel concreto questo mainstream non ci è ancora dato saperlo. L’invasione dell’Ucraina nel 2022 ha solo ingigantito un fenomeno che va avanti da un decennio e oggi si mostra per quello che è: il più recente e violento attacco alla nostra sovranità nazionale. Sovranità citata sempre a sproposito dagli allegri complici italiani di Putin.