Superare il congelamento dei beni russi puntando alla confisca degli oltre trecento miliardi di asset immobilizzati per destinarli integralmente alla difesa dell’Ucraina. Dopo che Washington ha approvato un pacchetto di aiuti straordinario in favore di Kyjiv del valore di quasi sessantuno miliardi di dollari, il Parlamento europeo riunito in plenaria a Strasburgo ha chiesto a gran voce un atto deciso a sostegno della causa ucraina.
Lo scorso martedì 23 aprile l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, è intervento nell’emiciclo sottolineando la «responsabilità strategica» a cui è chiamata l’Europa, contrapponendola al «sostegno morale» rappresentato dagli aiuti americani approvati appena qualche giorno prima, sabato 20 aprile, dal Congresso. «Noi europei sappiamo che possiamo e dobbiamo fare di più: continuare a sostenere l’Ucraina in un momento decisivo della guerra d’aggressione russa», ha detto Borrell, specificando poi come «il sostegno a un Paese che sta lottando per difendere i nostri valori richiederà azioni senza precedenti». Dall’inizio dell’invasione su larga scala, nel febbraio 2022, le sanzioni imposte dall’Unione europea hanno gettato le basi per il congelamento dei beni extraterritoriali della banca centrale russa, attualmente gestiti dal deposito centrale Euroclear con sede a Bruxelles e fonte di reddito per via degli interessi che generano.
I beni in questione frutterebbero circa tre miliardi di euro l’anno: sul tavolo del Consiglio la proposta di destinare tali proventi al sostegno delle spese militari dell’Ucraina tramite lo European Peace Facility (Epf), il fondo attraverso cui l’Unione ha già destinato oltre undici miliardi di aiuti bellici a Kyjiv dall’inizio del conflitto. Ma in che modo verrebbero utilizzati i proventi derivanti dai beni russi immobilizzati? Borrell espone all’Eurocamera il funzionamento del piano: «A marzo ho proposto al Consiglio che il novanta per cento di questi profitti vengano stanziati per aumentare gli aiuti militari all’Ucraina tramite l’Epf, con l’altro dieci per cento che sarà invece stanziato a bilancio dell’Unione per la ricostruzione e il sostegno all’industria di difesa».
In base ai criteri che regolano il bilancio europeo, i fondi che lo compongono non possono infatti essere impiegati per l’acquisto di armi, a differenza dell’Epf che invece non è soggetto a limitazioni d’uso. «Inizialmente volevamo utilizzare questo reddito per sostenere la ricostruzione del Paese ma prima bisogna pensare a come evitare la distruzione: meno danni ci saranno e meno bisognerà ricostruire, e l’Ucraina ha urgente bisogno di armi e munizioni per difendere se stessa e il suo popolo dai missili e dai droni russi», ha concluso Borrell.
Gli europarlamentari hanno però chiesto di fare ancora di più. Secondo Włodzimierz Cimoszewicz (S&D), «Mosca deve pagare per i propri crimini e l’Europa deve sequestrare tutti gli attivi russi senza tergiversare: il quadro post bellico sarà fosco, con l’economia distrutta e migliaia di reduci che faranno fatica a reinserirsi nella società, ecco perché dobbiamo giocare d’anticipo». Anche Petras Auštrevičius (Renew) si è detto favorevole a una confisca dei beni russi: «L’esproprio di interessi annuali andrebbe a favore dell’Ucraina e, se protratto per un decennio, costituirebbe un onere finanziario significativo per la Russia». Sandra Kalniete (Ppe) invita a «non nascondersi dietro scuse di stampo giuridico», in riferimento al timore che la confisca dei profitti sugli asset congelati russi possa scatenare un contrattacco da parte del Cremlino: «Dall’inizio della guerra la Russia non esita a ricorrere all’esproprio anche illegittimo di imprese europee appropriandosi degli investimenti nella loro economia, una violazione eclatante del diritto internazionale».
Nel suo intervento conclusivo, Borrell ha rimarcato proprio la necessità di agire nel pieno rispetto del diritto internazionale e di farlo sempre, non a corrente alternata: «Cominciamo agendo sui guadagni creati dagli asset congelati anziché sui titoli, non sul capitale ma sul rendimento. Anche se l’aggressione russa all’Ucraina rappresenta una chiara violazione del diritto internazionale noi non possiamo rispettarlo solo quando ci fa comodo. Certo, se potessimo utilizzare trecento miliardi di euro saremmo contenti ma attenzione a non adottare un doppio standard».
A gennaio Linkiesta aveva raccolto il parere di una delegazione dell’International Center for Ukrainian Victory sul peso strategico che la confisca dei beni russi avrebbe avuto sull’evolversi del conflitto, costituendo una «fonte di aiuti sostenibili per l’autodifesa dell’Ucraina, la stabilità macroeconomica, la ripresa e il risarcimento delle vittime della guerra prolungata», nonché un passo decisivo per spezzare «il ciclo dell’influenza negativa di Mosca» che si propaga fino al Sud del mondo. Al tempo, però, gli Stati Uniti ancora non avevano deliberato il pacchetto di aiuti che invece è diventato realtà proprio nel weekend che ha preceduto l’ultima plenaria del Parlamento europeo, giunto alla sua IX legislatura.
Dei novantacinque miliardi di dollari complessivi, quasi sessantuno sono destinati a supportare Kyjiv: per il Congresso una risposta alla «chiamata della storia», mentre Volodymyr Zelensky ha salutato con gratitudine questo «aiuto vitale per ripristinare quanto prima la pace giusta». Gli aiuti saranno così ripartiti: venti miliardi di dollari per la ricostituzione delle scorte di armi e munizioni e le strutture militari statunitensi donate all’Ucraina; quindici miliardi per la gestione delle operazioni in Ucraina da parte del comando americano di stanza in Europa; quattordici miliardi per l’acquisto di armamentari provenienti dagli Stati Uniti; quasi sedici miliardi da suddividere tra il governo di Kyjiv e le agenzie federali impegnate nel sostegno bellico all’Ucraina.
A ben guardare, la maggior parte dei fondi sembra destinata a foraggiare l’indotto militare statunitense, sia pure – certamente – nell’ottica di un sostegno ucraino. Intanto, al fronte la guerra sembra aver assunto un ritmo frenetico: «Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur», si diceva al tempo delle guerre puniche. Se l’Occidente vuole davvero evitare la caduta di Kyjiv, tra i ripetuti appelli di Zelensky alla fornitura di armi e le elezioni americane sempre più vicine (con lo spettro di una rielezione di Donald Trump a minacciare gli equilibri tra Mosca e Kyjiv), l’Europa non può restare alla finestra. Era da poco passato l’inverno quando la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, auspicava di riuscire a versare il primo miliardo all’Ucraina «all’inizio di luglio». Mentre a Bruxelles si discute ancora, il tempo stringe sempre di più.