In questi giorni alcune voci particolarmente autorevoli hanno cominciato a scuotere il dibattito sul premierato da un certo conformismo diffuso, pregiudizialmente favorevole a qualunque genere di riforma istituzionale (sempre ed esclusivamente intesa in senso maggioritario e para-presidenziale), un aspetto fondamentale di quello che potremmo definire il pensiero convenzionale della Seconda Repubblica, ancora molto forte nella stampa e in generale nella classe dirigente.
A spezzare l’incantesimo martedì ha pensato Liliana Segre, evocando Mussolini e il fascismo, con parole che la sua storia personale rende impossibile ridurre a caricatura o declassare a eccesso propagandistico, come sarebbe altrimenti, senza dubbio, accaduto. Critiche rilanciate oggi da un’altra senatrice a vita famosa in tutto il mondo come la scienziata Elena Cattaneo, che in un’intervista alla Stampa denuncia il rischio di «un premier dominus del governo, con potere di vita e di morte sul Parlamento, in grado con la sua maggioranza di eleggere il Presidente della Repubblica, i membri della Corte costituzionale e degli altri organi di garanzia».
Non c’è dubbio però che a fare più male al governo siano le parole di Segre. Parole pesanti, solennemente pronunciate in Senato («Non voglio e non posso tacere»), non a caso finite anche sul Times, giornale peraltro non pregiudizialmente ostile a Giorgia Meloni. Ma sulla stampa internazionale la narrazione sull’imprevidibile evoluzione riformista ed europeista del sovranismo meloniano ha già da tempo lasciato il passo agli allarmi per le sue pulsioni autoritarie e illiberali.
Per la stampa italiana c’è solo bisogno di un po’ più di pazienza. E dopo le elezioni europee, sempre che i risultati non inducano una maggiore cautela nella maggioranza, proprio la battaglia sulla grande riforma, con il referendum sullo sfondo, potrebbe essere l’occasione di un generale risveglio. Troppi episodi, chiamiamoli così, dimostrano quotidianamente che in Italia certamente non c’è un regime fascista, ma di fascisti in circolazione ce ne sono ancora parecchi. Il punto non è dunque se la riforma del premierato rischi di portarci al fascismo (io non lo credo, penso più a una democrazia illiberale sul modello orbaniano), ma se un paese già messo così, con una simile classe dirigente, possa permettersi anche questo lusso. Ammesso e non concesso che si possa definire lusso una riforma estranea a qualunque democrazia occidentale.