Quando disse di Karol Wojtyła, divenuto Giovanni Paolo II, «Dio ce l’ha dato, guai chi me lo tocca», con l’omaggio all’alfiere del tradizionalismo bioetico alla testa di un esercito di «zigoti a cavallo», Marco Pannella si era certo divertito a épater les bourgeois del conformismo laicista, ma aveva soprattutto colto il senso di un pontificato profetico, che nel giro di un decennio avrebbe aiutato a riunificare l’Europa.
Il conclave del 16 ottobre 1978 aveva consegnato al mondo un Papa pescato oltre la Cortina di Ferro e il leader radicale, che da anni mostrava per la causa della libertà dei popoli est europei un afflato molto più religioso dell’ostpolitik vaticana, riconobbe in quel vescovo polacco anti-modernista il protagonista di una possibile svolta storica e l’interlocutore di una laicissima alleanza politica, per la liberazione del primo mondo dalla minaccia comunista e del terzo mondo dal degrado politico-economico post-coloniale.
Questo ovviamente non impedì a Pannella, per tutta la durata del pontificato wojtyłiano, di incalzare il Vaticano e denunciare una irrisolta continuità tra la Chiesa del Sillabo e quella del catechismo sessuofobico dell’ex Sant’Uffizio.
Sarebbe il caso di consigliare la stessa laicità politica e morale di Pannella anche ai numerosissimi (e giustificatissimi) disistimatori di Francesco, inorriditi dal suo populismo geopolitico e dal suo peronismo sociale e infastiditi, per non dire di peggio, dalla sua doppiezza pastorale e dottrinaria, che proprio sulla questione omosessuale ha raggiunto la forma più grottescamente disinvolta, dal «chi sono io per giudicare?» al «nella Chiesa c’è troppa frociaggine» e ritorno con il mea culpa in mondovisione.
Il cane pastore del popolo di Dio dai riflessi gesuiticamente pavloviani, con tutte le ipocrisie, furbizie, intemperanze del caso e dal bagaglio politico-ideologico leggerino e occasionale non è solo il Bergoglio peggiore. È soprattutto il Bergoglio minore, quello inessenziale: il meno episcopale e meno politico.
L’altro Bergoglio, invece, forse neppure per i meriti della persona, ma neppure con i limiti del personaggio, rimane un Papa della Provvidenza, cioè un Papa in presa diretta con la sostanza antropologica e demografica della Chiesa mondiale e con le sue reali urgenze profetiche.
Un Papa sicuramente di potere, molto più del predecessore, dietro la maschera bonaria, ma rassegnatissimo alla fine di qualunque possibile temporalismo e collateralismo politico; un Papa che non è più re, perché sa di non avere più regno, ma, per usare un’abusatissima e retorica metafora, peraltro pertinente, un enorme ospedale da campo delle speranze e sofferenze universali, cui badare con concreta sollecitudine.
Un Papa che è un pastore di un popolo di derelitti, sempre più estraneo alle diatribe tra i progressisti e i conservatori della Chiesa euro-americana o – per fare esempi domestici – tra la cattolica Michela Murgia e il cattolicissimo Simone Pillon e soprattutto sempre più inservibile alla causa del tradizionalismo sovranista e naturaliter razzista.
Per questo – non per bontà, non per spirito umanitario – Francesco è un Papa sovranamente disinteressato a farsi cappellano politico e militare di qualunque Vandea, compresa quella bioetica (per conferma, citofonare Donald Trump): perché è convinto, a ragione, che il presente e il futuro della Chiesa, della sua organizzazione ecclesiale, del suo ceto politico e religioso e della comunità dei suoi fedeli nel giro di meno di due generazioni non sarà più da questo lato del mondo, se non in modo del tutto periferico.
Non bisogna farsi piacere il presepe di questa Chiesa terzomondiale – che peraltro non è un presepe, ma un vero casino, a rischio di implosioni barbariche e di processi pericolosi di deculturalizzazione – per apprezzare, anche in un’ottica liberale e occidentalistica, l’idea di una Chiesa che sgombra il campo dagli equivoci e dai commerci tra il trono e l’altare, che si riconnette a sé stessa e alla sua verità storica e che smette di essere, da qualunque punto di vista, in armi. Tanto basta per dichiararsi laicamente e castamente “froci per Bergoglio” e perdonare molto, se non tutto, a questo vecchio gaffeur bisbetico asceso al soglio di Pietro.