Labour WeeklyPerché il referendum della Cgil contro il Jobs Act sarà del tutto inutile

Il diritto alla reintegra non è garantito dalla versione attuale dell’articolo 18. Dopo la riforma Renzi, ci sono stati la riforma Fornero e poi successivi interventi del governo Conte I e della Corte Costituzionale. Il primo dei quesiti proposti dal sindacato appare molto ideologico e con un impatto limitato. Ma proprio per questo motivo, purtroppo, sarà quello che con maggior successo

Secondo l’articolo 75 della Costituzione, 500.000 elettori hanno la possibilità di indire un referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge. Si tratta di un processo che in Italia ha segnato dei passaggi storici per diritti come il divorzio e l’aborto. Attualmente la Cgil sta raccogliendo le firme necessarie per consentire agli elettori di esprimersi su quattro temi diversi che ruotano attorno al lavoro. Per molti versi si tratta di un ritorno al passato che ognuno di noi è libero di giudicare in maniera positiva o negativa.

Il primo quesito promosso dal sindacato italiano più rappresentativo ha l’obiettivo di abrogare integralmente il decreto legislativo del “Jobs Act” che ha introdotto il cosiddetto “contratto a tutele crescenti”, per ritornare all’applicazione generalizzata dell’arcinoto articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. L’obiettivo dichiarato è quello di dare a tutti i dipendenti il diritto a essere reintegrati nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo.

Su questo tema può essere utile sottolineare che il diritto generalizzato alla reintegra non è garantito dalla versione attuale dell’articolo 18. Nel 2012, infatti, la cosiddetta “riforma Fornero” aveva iniziato a limitare la possibilità di essere riammessi in azienda nei casi meno gravi di licenziamento illegittimo. Inoltre, l’articolo 18 si applica soltanto ai dipendenti delle aziende di medio-grandi dimensioni mentre i lavoratori delle piccole imprese continuerebbero a essere tutelati soltanto con un indennizzo.

Da un altro punto di vista, il governo Conte I e la Corte Costituzionale sono intervenuti aumentando significativamente le tutele dei dipendenti assunti con il cosiddetto “contratto a tutele crescenti”. Adesso un dipendente assunto con il “Jobs Act” e licenziato ingiustamente può ricevere fino a 36 mensilità di indennizzo. Una cifra che non sostituisce la stabilità garantita dalla reintegra nel posto di lavoro, ma che può consentire di ottenere un adeguato ristoro e una minima solidità finanziaria.

Onestamente, quello della Cgil sembra un quesito molto ideologico e con un impatto limitato sui licenziamenti dei dipendenti italiani. Proprio per questo motivo temo che sarà il quesito che avrà maggior successo.

*La newsletter “Labour Weekly. Una pillola di lavoro una volta alla settimana” è prodotta dallo studio legale Laward e curata dall’avvocato Alessio Amorelli. Linkiesta ne pubblica i contenuti ogni. Qui per iscriversi

X