Secondo Treccani, lo stacanovismo è “il movimento diretto ad accrescere la produttività stimolando gli operai a un maggiore impegno (con incentivi di vario genere o attraverso la propaganda e l’emulazione), da cui potevano risultare eventuali modifiche nell’organizzazione del lavoro”. Il movimento nasce nell’Unione Sovietica degli anni Trenta, quando un minatore di nome Aleksej Stachanov inventò un nuovo metodo per estrarre in sole sei ore una quantità di carbone che normalmente si estraeva in quattordici giorni. O almeno questo è quello che racconta la propaganda staliniana.
Tradotto in termini occidentali, Stachanov potrebbe rappresentare quello che Winslow Taylor ha rappresentato per gli Stati Uniti d’America: l’efficienza e la specializzazione nei luoghi di lavoro. Il passaggio da un organizzazione del lavoro dozzinale a un metodo pseudo-scientifico. La profonda differenza di visione che divideva gli yankees dai soviet ha però generato due narrazioni completamente diverse. Stachanov è diventato un eroe nazionale, l’esempio di lavoratore instancabile che utilizza tutte le sue energie fisiche e mentali per servire la patria. Taylor, più banalmente, è soltanto riconosciuto come l’inventore delle catene di montaggio.
L’aurea mitica attorno a Stachanov ha fatto emergere il termine stacanovismo che, tuttavia, non è utilizzato soltanto con un’accezione positiva nel linguaggio corrente. Stacanovista, infatti, è anche colui che pone “eccessivo zelo nello svolgimento di un lavoro di tipo subordinato”. Un secchione insomma. L’evoluzione del linguaggio ci dice molto anche sulla trasformazione del lavoro. Nell’Urss lavorare voleva dire innanzitutto servire con onore la grande madre patria, sopportando enormi sacrifici. Nell’Italia di oggi lavorare significa soprattutto guadagnarsi da vivere con dignità. Lavorare troppo non solo non è ben visto, ma spesso è poco salubre e contrario alla legge. Con buona pace di Stachanov.
*La newsletter “Labour Weekly. Una pillola di lavoro una volta alla settimana” è prodotta dallo studio legale Laward e curata dall’avvocato Alessio Amorelli. Linkiesta ne pubblica i contenuti ogni. Qui per iscriversi