Il tema della revisione del Trattato di Lisbona non ha scaldato i cuori dei partiti, dei governi ma anche degli elettori durante la lunga campagna per il rinnovo del Parlamento europeo che si è largamente concentrata – non solo in Italia – su sfide soprattutto nazionali e con risultati europei destinati ad avere dirompenti effetti di politica interna che peseranno a loro volta sugli equilibri europei.
Vedremo nelle prossime settimane quali priorità di politiche europee emergeranno dopo gli accordi sui nomi dei top jobs e in particolare da chi presiederà la Commissione europea e chi coordinerà il Consiglio europeo (non potendosi totalmente escludere che, in caso di una crisi istituzionale fra il Consiglio europeo e il Parlamento europeo, si giunga alla soluzione sorprendente di un unico presidente) e chi prenderà il posto dell’Alto rappresentante Josep Borrell con una scelta che sarà per la prima volta significativa per il segnale che l’Unione europea vorrà dare verso i nostri partner e verso i nostri rivali sistemici internazionali.
Al di là dei nomi e delle alleanze, che pur saranno essenziali per capire dove tirerà il vento per la nave dell’Unione europea, il Consiglio europeo si appresta a fissare le sue priorità per la prossima legislatura non solo con la «agenda strategica» 2024-2029 – che, a suo giudizio, dovrebbe impegnare tutta l’Unione europea – ma anche nel mandato che esso intende affidare alla Commissione europea per le riforme interne che dovranno essere «parallele all’allargamento» e che dunque non dovrebbero precederlo.
Queste riforme sono relative allo stato di diritto, alle politiche comuni, alla governance e cioè al sistema di decisione e al bilancio in una sorta di «missione Tindemans» che dovrebbe essere avviata a partire dalla prima metà del 2025 e concludersi molto probabilmente nel 2027 quando le istituzioni europee dovranno raggiungere un accordo sul quadro finanziario pluriennale 2028-2032 (se sarà accettato il principio democratico della sua periodicità quinquennale) e sulle capacità di finanziamento di quel quadro.
Nel dare alla nuova Commissione questa sorta di «missione Tindemans» il Consiglio europeo non cita il Parlamento europeo e il fatto in sé non ci stupisce perché i Capi di Stato e di governo riconoscono formalmente alla sola Commissione europea il potere di iniziativa, essendo un retaggio di un lontano passato risalente alla Comunità europea di difesa nel 1952 l’idea di considerare il Parlamento europeo come una «assemblea costituente permanente» secondo l’espressione di Willy Brandt, ma soprattutto perché il Consiglio europeo è convinto che non ci sono le condizioni oggi per aprire il vaso di Pandora di una revisione dei trattati attraverso una procedura intergovernativa che il Trattato sull’Unione europea definisce «semplificata» e tanto meno attraverso una convenzione e che dunque il primo treno di riforme dovrà avvenire a trattati costanti.
Sui temi indicati dal Consiglio europeo nel mandato affidato alla Commissione europea il Parlamento europeo si è pronunciato – con una esigua maggioranza relativa e con molti contradditori compromessi – nel corposo rapporto licenziato dalla Assemblea il 22 novembre 2023 legato all’idea che esso potesse costituire il punto di partenza di una futura e eventuale convenzione e poi nella successiva relazione sui rapporti fra allargamento e approfondimento ma la decisione procedurale del Consiglio europeo chiude per ora la porta alla convocazione della convenzione e non è del resto scontato che il nuovo Parlamento europeo – largamente rinnovato nella sua composizione – si riconosca nel testo del 22 novembre 2023 avendo esso il diritto di archiviare dei rapporti della legislatura precedente.
Se così stanno le cose, una parte importante della decima legislatura europea dovrà muoversi alle condizioni fissate dai trattati fondandosi da una parte sul programma legislativo della Commissione europea su cui si esprimerà il Parlamento europeo quando darà il suo voto di fiducia all’intero collegio e d’altra parte sul rapporto che la stessa Commissione europea presenterà al Consiglio europeo sulle riforme interne parallele all’allargamento e che terrà certamente conto dei suggerimenti contenuti nei rapporti affidati dal Consiglio europeo a Enrico Letta e dalla Commissione von der Leyen a Mario Draghi.
Se il Parlamento europeo vuole assumere un ruolo attivo di leadership istituzionale dovrebbe accompagnare il voto di fiducia alla Commissione e al programma legislativo con la richiesta perentoria della sottoscrizione di un patto politico frutto di una scrittura comune che impegni la Commissione a discutere preventivamente con le competenti commissioni parlamentari i suoi orientamenti sugli strumenti per garantire il rispetto dello stato di diritti e della Carta o meglio delle Carte comprendendo anche quella sociale, sulla realizzazione delle politiche comuni, sul funzionamento della governance e della cooperazione leale, sul bilancio come strumento economico e finanziario per raggiungere gli obiettivi dell’Unione europea.
L’elaborazione del Patto dovrebbe tuttavia essere accompagnata da tre priorità di metodo e di agenda senza le quali esso rischierebbe di evaporare nel tempo consegnandoci nel 2029 un’Europa ancora una volta incompiuta:
- L’impegno concreto di un dialogo costante in uno spazio pubblico di democrazia partecipativa di cui il Parlamento europeo si deve fare garante insieme al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni nel rispetto delle regole sulla trasparenza e sulla consultazione così come era stato previsto ad esempio nell’attuazione del Patto Verde Europeo nel 2019 e che è stato irresponsabilmente dimenticato dalle istituzioni europee
- L’adozione di strumenti parlamentari o, meglio, interparlamentari di coinvolgimento delle assemblee legislative nei Paesi membri di monitoraggio delle tappe di attuazione delle transizioni ecologica, digitale ed energetica con una particolare attenzione alla loro sostenibilità economica, finanziaria e sociale
- La decisione di accompagnare la discussione sul Quadro Finanziario Pluriennale 2028-2032 – che implica conseguenze sulla ripartizione delle competenze fra l’Unione europea e gli Stati membri, sulla riforma di politiche comuni come quelle agricola e di coesione territoriale, sulla politica fiscale, sull’autonomia strategica a cominciare dalla difesa, sulle condizionalità nel rispetto dello stato di diritto, nelle relazioni internazionali e nelle regole del funzionamento democratico dell’Unione europea – di una fase costituente per superare il Trattato di Lisbona e l’ostilità dei governi nella sua revisione usando il valore aggiunto della cooperazione interparlamentare con le assemblee legislative negli Stati membri e nei Paesi candidati e degli strumenti innovativi della democrazia deliberativa.
L’obiettivo temporale dovrebbe essere quello di disporre di un testo di natura costituzionale – destinato a sostituire integralmente la natura ibrida (o «ermafrodita») del Trattato di Lisbona – da sottoporre per approvazione ad un referendum pan-europeo, aperto anche ai Paesi candidati, in occasione delle elezioni europee nella primavera del 2029 fissando le norme di una procedura elettorale uniforme e le regole della sua entrata in vigore fra gli Stati che lo avranno accettato e delle relazioni con gli Stati che decideranno che non far parte della nuova Unione.