Cosa c’entra l’Italia con il caviale? Moltissimo. Il nostro Paese è infatti tra i maggiori produttori di uova di storione al mondo per quantità (secondo solo alla Cina) e primo per qualità, avendo deciso di non avvalersi di specie ibridate e, per lo più, decidendo di non pastorizzare il prodotto.
Nel 2022, le diverse aziende sparse sul territorio nazionale hanno immesso sul mercato ben sessantadue tonnellate di caviale, su un totale di seicento tonnellate prodotte a livello mondiale.
Questi numeri non devono stupirci, infatti, il primato italiano nella produzione di questo alimento perdura da quasi vent’anni.
Il caviale è sempre stato legato, nell’immaginario comune, alla Russia e al clima freddo che la contraddistingue, portando a pensare che lo storione trovi il suo habitat ideale proprio a tali latitudini. La realtà non potrebbe essere più diversa, in passato la pesca dello storione avveniva per lo più nella regione del Mar Caspio, caratterizzata da un clima generalmente temperato. Lo storione è un pesce diadromo, e solo nella seconda fase della sua vita è in grado di risalire i fiumi, tra cui il Volga, e ad adattarsi in acque così fredde.
L’invenzione del caviale salato, inoltre, non è affatto russa, ma si deve ai persiani, lo stesso termine caviale proviene probabilmente dall’espressione locale khag-viar che significa appunto «piccole sfere».
Per quanto riguarda l’Italia, grazie alla sua capacità di sopravvivere sia in acque salate che dolci, lo storione è sempre stato presente tanto nel mare Adriatico quanto nel fiume Po, apprezzato nel nostro Paese fin dal Medioevo, sia per le uova che per la sua carne tenera e succosa.
La svolta avviene nel 1998, quando la Convenzione sul Commercio Internazionale delle Specie minacciate di Estinzione (Cites) dichiara lo storione un animale a rischio e ne vieta la pesca, permettendo l’utilizzo e l’esportazione dei soli esemplari nati e cresciuti in allevamento.
Due decadi prima di questo fatto – nel 1977 – era nata in provincia di Brescia Agroittica Lombarda, realtà che allevava gli storioni in vasche di acqua risorgiva e che improvvisamente, contro qualsiasi previsione, si ritrovò alla fine degli anni Novanta a diventare uno dei più importanti attori al mondo nella produzione e nel commercio del caviale. Come lei, altre aziende nascono negli stessi anni nel Nord del Paese, garantendo da allora all’Italia un posto tra i maggiori esportatori di uova di storione in tutto il mondo.
Il caviale non è un alimento disciplinato, né soggetto a denominazione di origine; inoltre per lungo tempo il termine è stato utilizzato per descrivere uova di pesce diverse da quelle dello storione, per dare dignità ad alimenti meno nobili come le uova di salmone o quelle di lompo.
La questione è stata affrontata e risolta nientemeno che dalle Nazioni Unite che, nel 2010, hanno emanato il Codex Alimentarius, un insieme di norme atte a regolare gli scambi commerciali di alimenti a livello internazionale, dichiarando che potevano essere definite caviale esclusivamente le uova ottenute da pesci della famiglia degli Acipenseridi (storioni, appunto).
Non si tratta di una specifica di poco conto dal momento che proprio questa definizione spiega perché il caviale – quello vero – è uno dei cibi più costosi al mondo. La femmina di storione, infatti, è in grado di produrre uova solo dopo il raggiungimento dell’età adulta, il che può avvenire dopo tredici anni per lo storione bianco o addirittura dopo vent’anni nel caso della specie beluga, una delle più pregiate.
A questo si aggiunge un’attesa ulteriore qualora si volesse attendere la seconda covata, ritenuta la migliore, per la raccolta delle uova. Oltretutto attualmente l’estrazione della sacca ovarica comporta l’uccisione del pesce stesso, di cui viene utilizzata anche la carne, facendo sì che da un solo storione si possa estrarre una quantità molto limitata di caviale. Da qualche anno si stanno studiando delle nuove tecniche di produzione che permetterebbero l’asportazione delle uova senza provocare la morte dell’animale, ma si tratta ancora di sperimentazioni non applicabili su larga scala.
Al termine dell’estrazione, le uova vengono raccolte in latte da un chilo e ottocento grammi, salate, impilate a piramide e pressate lentamente. Successivamente vengono conservate in stanze refrigerate a una temperatura costante di meno due gradi per un periodo di tempo variabile, con lo scopo di assorbire correttamente il sale ed espellere i liquidi in eccesso. Proprio per facilitare questo processo, settimanalmente le latte vengono inclinate e ruotate, un’operazione che assomiglia molto al remuage che caratterizza la produzione dello spumante metodo classico.
L’altro ingrediente fondamentale che definisce il caviale come alimento e ne ha dettato l’evoluzione attraverso i secoli è proprio il sale. È il processo di salatura, infatti, a consentire alle uova di storione di assumere tutti i loro aromi caratteristici e, allo stesso tempo, a garantire la conservazione di un prodotto altrimenti molto deperibile.
Prima dell’invenzione della catena del freddo, il caviale era sottoposto a un’importante salatura ed era commercializzato in lingotti compatti per poi venire grattugiato sopra le pietanze, come succede per la nostra bottarga. Nella tradizione russa in modo particolare, l’eccessiva, seppur necessaria, salatura del prodotto comportava lo sviluppo di aromi pungenti, caratterizzati da note iodate e minerali intensissime. Ed erano proprio queste connotazioni a determinarne il consumo centellinato e l’abbinamento con alimenti atti a pulire e rinfrescare la bocca come la panna acida, il limone, l’erba cipollina o, ancora peggio, la vodka.
Solo negli ultimi anni, a fatica, è cominciata la decostruzione di questi luoghi comuni, fondati sulle proprietà di un prodotto che, di fatto, oggi non esiste più.
Il caviale “moderno” è per lo più malossol, ovvero con una percentuale di sale non superiore al quattro per cento; inoltre, il corretto mantenimento a una temperatura costante e controllata non permette lo sviluppo di sentori marini e di alga troppo intensi, sintomi di un prodotto non conservato correttamente e dall’alta carica batterica.
Al contrario, il caviale di oggi – soprattutto quello italiano – è caratterizzato da un sapore elegante, rotondo e pieno, dove la componente più prettamente marina cede il passo a delicati sentori di burro, nocciola e pesce crudo. Una sconcertante e sincera armonia di sapori in cui la salinità e la grassezza si rincorrono in una spirale senza fine, stimolando la salivazione così come le nostre papille gustative, e spingendoci a un nuovo assaggio.
Non a caso, durante le degustazioni, le uova di storione vengono spesso accompagnate da calici di champagne o di spumante metodo classico, in cui ritroviamo le stesse note burrose e di lievito, da cibi ricchi di amido e dalla spiccata tendenza dolce tra cui semplice pane tostato o patate lesse, o ancora da formaggi freschi come stracciatella o burrata.
Il nuovo caviale, ormai sdoganato e libero da vecchie connotazioni della tradizione, si presta ad abbinamenti ancora più dissacranti e coraggiosi, come quello con il cioccolato.
Le prime sperimentazioni risalgono al lontano 2002, quando Heston Blumenthal, chef del ristorante tristellato The Fat Duck, propose pregiate uova di beluga in abbinamento a dischi di cioccolato bianco, forte della convinzione che, se il sale accentuava le sfumature aromatiche del cioccolato, lo stesso poteva avvenire utilizzando alimenti molto saporiti in sostituzione del sale stesso, come prosciutto d’anatra stagionato o, per l’appunto, caviale. Il risultato fu sbalorditivo.
Fu poi il Restaurant Paul Bocuse, in occasione del Natale del 2021, a proporre una maestosa torta in edizione limitata, questa volta preparata con una crema di cioccolato fondente e decorata con una generosa dose di uova di storione.
Fu proprio quest’ultimo assaggio a convincere Stefano Bottoli, direttore commerciale di Calvisius, storico produttore di caviale nel bresciano, a studiare più da vicino questo straordinario abbinamento, spinto dalla volontà di sdoganarlo al grande pubblico e di farne una versione tutta italiana.
L’intuizione si trasforma velocemente in realtà grazie al coinvolgimento di Cecilia Rabassi, artigiana del cioccolato e prima maître chocolatier donna d’Europa che, chiusa nel suo delizioso atelier in provincia di Pisa, lavora instancabilmente per più di anno al fine di elaborare l’abbinamento perfetto.
«L’idea è stata quella di far diventare il cioccolato uno strumento per degustare il caviale, che venisse poi mangiato a sua volta» spiega Rabassi, riferendosi alle pratiche palettine realizzate con cioccolato fondente 70 per cento create per accompagnare il Caviale Calvisius Tradition Royal.
Il risultato è sorprendente, voluttuoso, opulento, afrodisiaco. Un abbinamento che funziona sia a livello filosofico e di concetto, che dal punto di vista strettamente organolettico.
In bocca è una danza che coinvolge tutti i sensi: l’anima croccante del cioccolato cede sotto ai denti mentre le piccole sfere saporite regalano una morbidezza e dolcezza inaspettata. Due grassezze diverse equilibrate dal delicato sentore iodato del caviale Tradition e dalla nota tannica del cioccolato fondente.
Un esperimento riuscito e divertente che rispecchia le qualità di un settore e una filiera produttiva caratterizzati dalla voglia di farsi conoscere e aprire strade inesplorate.
È innegabile che le aziende italiane produttrici di caviale si siano distinte negli ultimi anni, chi più e chi meno, per la continua ricerca scientifica, l’ideazione di operazioni marketing brillanti e un notevole successo commerciale. Speriamo che questa situazione favorevole perduri nel tempo e possa porre le basi per la nascita di un organo di tutela che sancisca e protegga l’unicità del caviale made in Italy.