Europeista securitario La linea dura di Donald Tusk contro i migranti in arrivo dalla Bielorussia

Mentre si intensifica la guerra ibrida tra Varsavia e Minsk al confine polacco cresce la tensione. Per reagire allo stato di emergenza il governo polacco ha autorizzato l’utilizzo di armi a fini deterrenti o di autodifesa, proponendo di escludere la responsabilità penale degli ufficiali durante specifiche attività di respingimento

AP/LaPresse

Il 28 maggio scorso il soldato di frontiera Mateusz Sitek è stato colpito al petto da una pugnalata scagliata da un migrante mentre prestava servizio al confine polacco, pattugliando l’area vicina alla recinzione con la Bielorussia. Una settimana dopo il soldato è morto a causa della gravità della ferita riportata dall’aggressione. Un episodio, l’ennesimo della “guerra ibrida” tra Varsavia e Minsk, che in queste settimane ha portato il Governo di Donald Tusk a decidere per una linea dura nei confronti dei migranti. E ha scatenato la maggioranza, intervenuta anche con alcune dichiarazioni piuttosto imprudenti

Nei giorni scorsi il ministro degli Esteri polacco, Radosław Sikorski, ha riferito che nello sforzo di rafforzare la sicurezza al confine l’esecutivo starebbe prendendo in considerazione l’idea di chiudere anche gli ultimi due checkpoints di frontiera con la Bielorussia rimasti aperti: quello di Kozlovich-Kukuryki, da cui transitano i camion, e quello di Brest-Terespol, utilizzato per il trasporto passeggeri. Una decisione che mira a reagire alle interferenze del presidente Alexander Lukashenko, ma trascura completamente le conseguenze politiche sulla popolazione, come ha spiegato su X Sviatlana Tsikhanouskaya, la leader dell’opposizione bielorussa in esilio: «Mantenere i bielorussi in contatto con l’Europa è fondamentale. Le iniziative volte a limitare il traffico di frontiera a causa delle continue provocazioni del regime dovrebbero essere rivolte al dittatore, non al popolo. Non possiamo abbandonare i bielorussi al loro destino dietro una nuova cortina di ferro».

Ma grazie alla pervasività dell’interferenza bielorussa il Cremlino continua a macinare consenso. Lo spiega a Linkiesta Anna Maria Dyner, politologa polacca: «La Russia e la Bielorussia costringono le autorità polacche a rafforzare la protezione della frontiera, perché molte delle persone fermate dalle guardie hanno visti russi, e da lì sono passate prima di arrivare in Bielorussia – e continua –, sono i servizi speciali di Minsk ad addestrare i migranti su come attaccare i soldati polacchi e a costringerli in alcuni casi ad agire in questo modo».

L’isolamento dell’area e un pieno controllo da parte delle autorità polacche sembrano esattamente l’obiettivo della politica securitaria del Governo Tusk e la soluzione al contenimento di questa “guerra ibrida”. In questa direzione va la reintrodotta “buffer zone/zona di non accesso” decisa per lo scorso 13 giugno, in vigore almeno per i prossimi novanta giorni. Un’area di sessanta chilometri suddivisa in due sezioni d’interesse che attraversa più di una ventina tra città e comuni. Nella prima sezione di quarantaquattro chilometri sarà proibito avvicinarsi oltre i duecento metri dalla linea di confine. Nella seconda area lunga sedici chilometri, che comprende anche parti della foresta millenaria di Białowieża, il divieto viene esteso fino a due chilometri dal confine. Comuni e piccoli villaggi che secondo le autorità polacche contano il numero più alto di ingressi irregolari e tentativi. Ma che secondo un reportage di Deutsche Welle sono stati gli ultimi a essere avvisati e ora temono ci saranno pericolose conseguenze sul turismo e l’economia della zona.

Nel 2021 fu l’esecutivo di Mateusz Morawiecki a chiudere l’area di confine ai giornalisti e alle organizzazioni umanitarie, giustificando questa scelta nell’“escalation incontrollata” di persone migranti in arrivo dalla Bielorussia. La decisione venne condannata duramente dalle ong presenti nella zona, tra cui Reporters sans frontières, che criticò la compressione della libertà di stampa già da tempo braccata dal Governo guidato da Diritto e giustizia (Pis) di Jarosław Kaczyński. Lo stesso avviene oggi, ma sotto la guida del premier che ha vinto prima le elezioni legislative e poi le Europee parlando di Stato di diritto e della fine dell’era “illiberale” della Polonia. A sollevare qualche dubbio sulla legittimità del provvedimento è l’Ombudsman per i diritti umani polacco Marcin Wiącek, che in un comunicato ufficiale ha espresso riserve circa «il possibile rischio di violazioni dei diritti umani e dell’aggravarsi della crisi umanitaria al confine a seguito dell’introduzione di questo regolamento. Un provvedimento che – aggiunge – priva la società del diritto a informazioni affidabili sulle attività delle autorità pubbliche in un settore che non è generalmente accessibile».

L’evidente europeismo di Donald Tusk convive con un estremo bisogno di sicurezza che si mostra in una politica migratoria estremamente preoccupante, ma che non toglie possa accrescere la sua credibilità a Bruxelles. L’attuale Commissione europea ha dimostrato di condividere ampiamente una linea dura, e che vista l’attuale composizione dell’Europarlamento verrà probabilmente riconfermata dalla nuova presidenza. Quale sarà il costo di un europeismo così securitario sarà da vedere.

Per ora l’intervento del Governo si è focalizzato nella proposta di riforma del codice penale in materia di responsabilità penale delle forze dell’ordine al confine, nella modifica delle disposizioni che disciplinano la detenzione di armi da fuoco e in un nuovo invio di agenti al fronte con la Bielorussia, almeno trecentosettanta ufficiali di polizia.

Dal 4 giugno anche i poliziotti antisommossa che hanno raggiunto il fronte con la Bielorussia potranno detenere un’arma. La decisione è stata presa dal comandante della polizia a causa dell’afflusso di migranti e degli scontri avvenuti con alcuni di loro. Vista l’accresciuta tensione le forze di polizia hanno ritenuto insufficienti le tecniche di contenimento utilizzate finora, e hanno optato per una soluzione che nemmeno il precedente Governo nei fatti aveva disposto, benché nel 2021 la crisi migratoria abbia registrato un picco al confine polacco. Una disposizione che a ogni modo rientra tra le previsioni legislative in materia di misure coercitive. Ma che lascia qualche dubbio sui limiti entro i quali l’utilizzo delle armi da fuoco potranno essere utilizzate.

Per ovviare al problema il Governo Tusk ha proposto una serie di emendamenti in materia di responsabilità penale, che esenterebbero gli ufficiali dall’essere perseguiti penalmente qualora si trovassero ad agire per autodifesa o a tutela dell’inviolabilità del confine nazionale. Non si tratterebbe, come è facile immaginare, di una legittimità a un uso indiscriminato, ma a un utilizzo semplificato e con minori implicazioni giudiziarie. Non a caso il progetto di riforma, ancora al suo stadio iniziale, è stato presentato nelle settimane successive alla notizia di tre soldati del fronte interrogati dall’autorità giudiziaria per aver sparato colpi di avvertimento nei confronti di alcuni migranti. Due di questi sono stati poi imputati dalla procura per aver abusato del proprio potere e aver messo in pericolo la vita di altre persone.

Questo è forse il prezzo che il Governo Tusk ha deciso di pagare per la propria sicurezza, spostando un po’ più in là il limite di azione delle forze di polizia in nome della salvaguardia nazionale. Ma la condizione umanitaria dei migranti rimane un peso sulle spalle di un Paese che sta cercando di ricostruire istituzioni in conformità allo Stato di diritto e alle garanzie previste dal diritto europeo dopo anni di Governo Morawiecki. E che non può pensare di vendere all’Europa una retorica securitaria legittimata dal pericolo dell’ingerenza russa, benché evidente, screditando completamente i doveri umanitari e di protezione internazionale che la stessa Unione europea impone a tutti i suoi Stati membri. 

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