Cosa dovremo guardare, la sera del voto, per capire chi ha vinto e chi ha perso le elezioni europee? In Italia, la campagna elettorale è stata spesso monopolizzata da temi nazionali, in una sorta di conta interna tra i partiti; sensazione accentuata, e legittimata, dalla scelte di molti leader di candidarsi per il Parlamento europeo, anche se in caso di elezione è praticamente certo che rinunceranno al seggio.
In un voto europeo decisivo, eppure vissuto come un voto nazionale, è gioco forza che domenica guarderemo ai risultati chiedendoci anche chi vince e chi perde sul piano interno. Facciamo, quindi, il punto; partito per partito.
Fratelli d’Italia: il partito di Giorgia Meloni è il principale protagonista di questa dinamica per la quale le europee vengono vissute come un voto interno, una sorta di referendum sul governo. All’inizio, sembra che dalle parti di Fratelli d’Italia si fosse intenzionati a puntare alla soglia psicologica del trenta per cento, e per qualche settimana è apparso possibile. Oggi, il partito è dato tra il ventiquattro per cento e il ventisette per cento. Se il risultato effettivo rimarrà vicino al ventiquattro per cento (o sotto), il segnale che giungerà al governo sarà lontano dal bagno di legittimazione che Meloni si augurava. Altrimenti, Meloni potrò legittimamente dire di aver vinto il voto italiano.
Partito democratico: molto della impronta di Elly Schlein al Partito democratico si basa su questo voto, e sulle liste che la segretaria ha composto. Più il partito si terrà intorno al ventidue per cento, più Schlein potrà rivendicare il risultato. Sotto la soglia del venti per cento, il segnale per la leadership sarebbe negativo. Più in generale, se il distacco da Fratelli d’Italia sarà sui cinque punti percentuali, il Partito democratico potrebbe far partire una nuova fase dell’azione di opposizione.
Movimento Cinquestelle: tra il tredici per cento e il diciassette per cento secondo i sondaggi, ma con significati profondamente diversi tra i due estremi di questo intervallo. Sotto il quindici per cento, sarebbe certificata la crisi del partito di Conte, e la sua incapacità di accreditarsi come alternativa al Partito democratico per gli elettori dell’opposizione.
Lega e Forza Italia: I due partiti sono impegnati in un testa a testa. Entrambi sono intorno all’8 per cento nei sondaggi, ma superare anche di zero virgola l’avversario può voler dire accreditarsi come l’alternativa interna al governo per quegli elettori che non vogliono votare Meloni. Proprio con la necessità di massimizzare i voti si spiegano, ad esempio, la candidatura di Vannacci per la Lega e l’indicazione di mettere «Berlusconi» come preferenza per Forza Italia.
Azione e Stati Uniti d’Europa: È improbabile che le due liste liberaldemocratiche superino entrambe lo sbarramento. Per cui, quella delle due che ci riuscirà potrà dire di aver avuto ragione, e proporsi come unica alternativa per gli elettori centristi e liberali. Oggi, sono entrambe intorno al quattro per cento, e i dati reali saranno essere impietosi per i rapporti di forza in quell’area politica.
Alleanza Verdi-Sinistra: Intorno al 4 per cento, punta a superare lo sbarramento. Se ci riesce, il risultato è buono, e per raggiungerlo Avs sta attaccando negli ultimi giorni soprattutto i Cinquestelle, che insistono sulla pace (senza troppe specificazioni). Ieri, ad esempio, Avs ha diffuso una card social in cui rivendicava di aver votato, diversamente dal Movimento, sempre contro le armi all’Ucraina, anche il giorno dopo l’invasione, quando la situazione era allarmante. Ognuno sceglie le sue battaglie, del resto, e a quanto pare per alcuni è un motivo di vanto lasciare i carri russi avanzare verso Kyjiv.
Uscendo dalla trincea italiana, e guardando al piano reale, cioè quello europeo, la sera delle elezioni sono due i gruppi che dovremo tenere sotto osservazione. Il primo è Ecr, il gruppo di destra dove siede Fratelli d’Italia. Un aumento considerevole dei loro seggi potrebbe indurre i Popolari europei a provare un dialogo con loro per la prossima Commissione europea. Il secondo è Renew, il gruppo liberale che dovrebbe restringersi rispetto alla scorsa legislatura. Il punto, però, è di quanto: perché una contrazione minima li renderebbe comunque utilissimi per riconfermare la maggioranza attuale, formata da popolari, socialisti e liberali; un restringimento più marcato renderebbe tutto più difficile.
Per formare una maggioranza servono trecentosessantuno seggi, in ogni caso, e non sembra che la centralità di popolari e socialisti sarà intaccata più di tanto. In effetti, un’altra specificità del dibattito italiano è proprio quella di mostrare come probabile uno scenario che, a oggi, è remoto: un’alleanza Popolari-Ecr per creare la prima Commissione europea con solo partiti di destra. I numeri sembrano attualmente mancare: i Popolari, senza i socialisti, non vanno da nessuna parte. Ma la conferma di tutto ciò l’avremo domenica.