Quanto si mangia bene da Food Writers?
Questo è uno dei tanti messaggi che abbiamo ricevuto raccontando la nostra cena nella nuova apertura tra via Novara e Piazzale Perrucchetti (fuori dal centro – il nuovo centro). Evidentemente sta incontrando sempre più consenso da parte del pubblico critico – e mai contento – dei milanesi. Con una sala preparata e cordiale si è già a buon punto, viene da dire, perché l’impressione, appena entrati, è quella di un luogo dalle basi solide, con un’impostazione precisa e un flusso di lavoro rodato.
È circa un anno e mezzo che questa insegna ha (ri)aperto con più coperti e qualche spazio rivisto, facendo subito parlare di sé e mettendo in luce la cucina di Claudio. Gli interni sono moderni, lucidi, non sempre con la giusta luce d’atmosfera serale ma pensati per farti stare comodo e senza troppi fronzoli. Il focus della proposta, quasi inevitabilmente vista la proprietà del progetto, sono il mare, il pesce, i crostacei e tutto quello che può essere rintracciato sotto il livello dell’acqua e apprezzato cotto, crudo, fiammato, alla griglia, bollito, fritto, mantecato e trasformato.
Oyster Oasis, azienda leader italiana per la vendita (oltre che per la proprietà) di ostriche e pescato europeo (acquistato generalmente su base d’asta dai grandi mercati di Spagna o nel Nord della Francia), ha fortemente voluto Claudio – prima da Exit Gastronomia Urbana – alla guida del nuovo Food Writers. Dall’originale concept di bistrot e piccola cucina ne è nata una realtà ogni giorno più ambiziosa, con un team giovane e affiatato che, senza snaturare alcune idee iniziali, ha portato nuove visioni e nuove frontiere di gusto.
Il menu di Food Writers è ricco di scelte, molto variegato nella proposta, andando ad analizzare ampiamente la categoria del fresco, del coquillage italiano e francese, del pescato spagnolo, il mondo delle ostriche, i crostacei del Sud Italia. La scelta è pensata per dare massima libertà a chi viene in cerca del classico plateau, senza però darsi dei veri limiti o dei confini prestabiliti per quello che riguarda la cucina. Le variazioni sul tema crudo sono proposte con tiraditos o ceviche peruviani, che esaltano le acidità e danno quel tocco di esotico che ormai è quasi un comfort food per certa clientela.
La scelta di primi si orienta sempre invece sempre su quattro referenze, salvo fuori menu o piatti eccezionali: due di pasta secca, una pasta ripiena e una produzione fresca. «Qui la parola chiave è una sola: golosità. Sui primi, oltre a guardare che tipo di materia prima ho a disposizione, ho messo meno testa e più pancia. La scelta di un primo piatto, ancora prima di ragionare sul condimento, viene direttamente dallo stomaco, da una voglia di golosità e appagamento che noi italiani conosciamo bene» racconta Claudio.
È solo con alcuni antipasti caldi, e con le portate più generose e complesse del menu, che arriva la vera anima di questo ragazzo oltre che la sua firma sul progetto. Data la sua lunga permanenza in Australia e le sue origini toscane, la griglia fa da padrona in parti diverse del menu, dove al posto di una classica brace carnivora si è andati a lavorare sul pesce nelle sue varie declinazioni.
Seguendo l’approccio ora sempre più diffuso che mette al centro il rispetto e la cura dell’ingrediente, specialmente la proteina animale, anche qui si lavora su texture e frollature, su interiora e parti prima considerate di scarto. Ode ai minori (solo in apparenza), ai meno belli e meno preziosi ma altrettanto validi bocconi. Dal foie gras di rana pescatrice alla crème brulée con ricci mare e ponzu all’arancia, l’anguilla alla pechinese, il daal di lenticchie con il king crab, i Cappelletti ripieni di fegato di baccalà e ragu di garusoli o lo Gnocco di ricotta di capra granchio blu e aria di uova di granseola non c’è una vera etichetta, non c’è volutamente un raggio di azione preciso.
Rovai prova a dare al mare uno status diverso e nuovo, più profondo, con più aperture rispetto alla classica versione mediterranea-italiana, più profondo, un orizzonte di gusto più carico di umami e decisamente più divertente. Una cucina capace di soddisfare la voglia di estate e freschezza grazie al trionfo di crudi, ma che racconta un mare nuovo e dalle mille possibilità gastronomiche. Una mano, quella di Rovai, tecnicamente consapevole, con digressioni prese in prestito alla cucina basca, spagnola, portoghese, giapponese. Non a caso, il nome del ristorante, Food Writers, mette in luce l’intenzionalità narrativa, descrittiva e di contenuto di un indirizzo che non vuole essere solo un esercizio di stile, ma che sta provando realmente a lasciare un segno e distinguersi.
Anche Claudio Rovai e il suo team sono stati protagonisti del grande Street Party svoltosi in occasione della terza edizione del Festival di Gastronomika