In questo Paese serve una forte opposizione liberale al governo Meloni, e l’opposizione liberale la si fa, in primis, con i liberali. Questo è ciò che le forze che si rifanno a Renew Europe, incapaci di presentarsi unite alle recenti elezioni – nonostante il tentativo di PiùEuropa di aggregarle – dovrebbero porsi come mantra.
Abbiamo un esecutivo essenzialmente illiberale, con pericolosi tratti autoritari, dove la presenza di Forza Italia risulta subordinata e connivente. Meloni alla presidenza del Consiglio non può non richiamare i liberaldemocratici a un’azione comune che delinei un’alternativa autonoma di governo. La sensazione è che questo chiedano gli elettori che alle Europee hanno punito le liste separate di Stati Uniti d’Europa e di Azione.
Le grandi istanze liberali sono in buona parte alternative, sia chiaro, anche all’attuale centrosinistra a trazione Schlein/Landini/Conte/Fratoianni, che ha priorità legate a un utilizzo sfrenato, insostenibile e irresponsabile della spesa pubblica, a ricette sorpassate sul diritto del lavoro, a titubanze imperdonabili nel sostegno all’Ucraina, alla difesa a oltranza dello status quo rispetto all’amministrazione della giustizia.
Un processo di aggregazione delle forze liberaldemocratiche offrirebbe una proposta terza, ma non equidistante. L’equidistanza non è una categoria politica né liberale. Le scelte, se utili, si faranno, di volta in volta, localmente come a livello nazionale ed europeo.
Del resto non avviene solo per il governo dell’Unione europea ma, tranne in Olanda – dove è stata fatta una scelta di contenimento, discutibile, del fenomeno Wilders – le forze liberali giocano spesso un ruolo vitale, nei vari Paesi membri dell’Unione europea. Molto spesso con alleanze variabili, finalizzate però a ridimensionare e a contenere le varie spinte di destre, oggi più forti, e di sinistre, antieuropeiste, antiatlantiche, sovraniste, populiste e in ultima analisi illiberali.
Nel dibattito che sta coinvolgendo le forze politiche italiane d’area, che hanno casa comune nell’Ue, emergono molte proposte, anche interessanti, ma tutte a rischio di fallimento perché caratterizzate da condizioni e veti incrociati, posti ai potenziali compagni di strada, che già stanno andando a sbattere contro personalismi, rivendicazioni di identità proprie, più o meno comprensibili.
Provo dunque a lanciare uno strumento che non parta già morto: servono spazi permanenti di consultazione e confronto, nazionali e locali, tra PiùEuropa, Italia viva, Azione, i libdem e altre forze interessate, senza condizioni, paletti, percorsi precostituiti, scioglimenti anticipati, inviti ad autorottamarsi. Senza nemmeno velleitarismi che ostacolino la maturazione interna ai vari soggetti di scelte autonome. Potrà nascere una costituente, una federazione, una lista comune, vedremo, un percorso che difficilmente sarà breve ma che potrebbe – questo sì, in tempi brevi – delineare azioni politiche comuni sulle innumerevoli istanze che vedono vicine queste forze.
La prima sfida da affrontare insieme è quella della produttività. L’alta produttività del lavoro negli Stati Uniti, in costante crescita, porta oggi un corriere di Ups a guadagnare almeno ventuno dollari l’ora e un cameriere a guadagnare non meno di trentamila dollari l’anno. E se guardiamo a un Paese europeo come l’Olanda, l’importante crescita della produttività del lavoro determina per un neolaureato in informatica un primo stipendio di duemila euro netti a fronte di milleduecento/milletrecento offerti per la stessa posizione a un neolaureato in Italia.
La produttività stagnante, quasi ferma da un quarto di secolo in Italia, è il problema dei problemi, porta con sé salari bassi e limitati spazi di bilancio per lo Stato – per sanità, scuola, giustizia, controllo del debito – e per le imprese.
Non vi è alternativa ad agire sui fattori produttivi e quindi sul dimensionamento delle imprese, sulla produttività del lavoro, nel privato, per lo più piccolo, come nella Pubblica amministrazione, per innescare una crescita dei salari e quindi dell’imponibile. E per attivare un circolo virtuoso che porti maggiore redditività per le imprese, entrate e risparmi per la Pa, maggiori investimenti, sviluppo, crescita. L’unica porzione dell’economia italiana iperproduttiva è quella delle medie imprese, con addetti dai cinquanta ai duecentocinquanta. Nel settore privato il peso delle nano-imprese improduttive resta il problema principale.
Tra gli elementi che accrescono la produttività c’è anche l’apertura dei mercati, la concorrenza. Pensiamo al settore dei servizi pubblici locali, ancora bloccato da amministrazioni locali indifferentemente di centrodestra o centrosinistra impermeabili a forme di liberalizzazione. Pensiamo all’azione combinata di centrodestra e centrosinistra nel limitare la prima proposta Draghi che prevedeva reali passi avanti nell’aprire questo mercato. Un settore, quello dei servizi pubblici locali, che ha un impatto sulle finanze pubbliche e sulla qualità di vita delle persone senza eguali rispetto ad altri mercati.
Accade invece che nel giorno dell’avvio della procedura di infrazione per deficit eccessivo, da una parte il centrodestra prosegue a narrare i successi della propria politica economica, dall’altra il Partito democratico di Elly Schlein chiede più soldi alla sanità da prendere dalle “entrate per maggiore crescita”. Se non fosse vero non sarebbe da crederci.
Chi altri, tranne i liberali (riformatori e/o riformisti di ogni sorta), ha strumenti per affrontare seriamente la sfida della bassa produttività, bassi salari, bassa crescita, bassa concorrenza e alta pressione fiscale e alto debito? Chi, tranne i liberali, può dare una casa a chi chiede più libertà individuali, diritti civili, libertà economiche, opportunità professionali, merito e concorrenza?
Serve che partiti e organizzazioni d’area siano concorrenti tra loro sacrificando la rappresentanza istituzionale o serve che agiscano insieme?