Per Talia Semerano aprire una gelateria tutta sua, ormai dieci anni fa, è stato un atto di coraggio. Non tanto perché si era appena laureata in economia a Milano e ha deciso di far rientro a Ostuni, quanto perché stava mettendo in discussione un’eredità. Per molti – forse la maggior parte – nascere con un destino già scritto è una fortuna, per altri, come nel caso di Talia, una responsabilità da maneggiare con cura, soprattutto quando tuo nonno è un noto gelatiere di un comune del Sud Italia e tu sei l’unica nipote di Da Ciccio.
Nonostante la dedica nell’insegna, Ciccio in Piazza, l’attività intrapresa in solitaria dalla giovane pugliese è sempre stata fedele a un manifesto che non facesse sconti sulla qualità, lontano dal bissare un format già esistente. Solo alla scomparsa del nonno, Talia si è sentita pronta a prendere in mano la situazione, chiudendo la sua gelateria per gestire il locale di famiglia che, proprio quest’anno, compie sessant’anni.
Come si è conquistata la fiducia dei dipendenti? Alzando gli stipendi e dialogando con loro, non senza il sostegno di un mental coach, figura curiosa da immaginare tra carapine, coni e coppette, ma determinante per rendere l’ambiente di lavoro ecologico, equilibrare la leadership e lavorare nell’ottica della specializzazione.
In un piccolo paese nel modenese, Stella Tagliazucchi è sempre stata “la figlia di Valter” anche se le riverenze nei confronti del padre si ridimensionano subito dal momento in cui lui stesso si presenta da sempre come “il bidello della pasticceria italiana”.
Nata tra panettoni e pandori (precisamente il 26 dicembre!), Stella non poteva trovare momento migliore per venire al mondo visto che i grandi lievitati delle feste sono tra i cavalli di battaglia di Giamberlano, insieme alla torta Montecuccoli e ai biscotti di Pavullo, stessa ricetta con cui suo nonno cominciò a sfornarli in casa negli anni Settanta.
Dopo diversi traslochi, la pasticceria nel 2008 ha rinunciato alla somministrazione del bar per allargare lo spazio di produzione: oggi c’è solo un servizio di asporto per i dolci che funziona suonando il campanello.
Le novità portate con l’ingresso di Stella in azienda, però, riguardano l’approccio al lavoro. Dopo un investimento a livello tecnologico per macchinari che migliorassero le condizioni lavorative e accelerassero i processi di produzione (in questo caso, le cuffie dei rotatori ringraziano), Stella e la sua famiglia hanno deciso di dare priorità all’aspetto umano. Come? Inserendo otto settimane di ferie in dodici mesi, metà a gennaio e il resto ad agosto. Che impatto hanno i novantamila euro di utile mancanti a fine anno? Non sono poi una perdita incolmabile quando si può lavorare meno e meglio.
C’è poi chi ha affrontato questioni etiche e di sostenibilità che, con i giusti strumenti e una maggiore consapevolezza, portano il consumatore oltre una tavoletta di cioccolato, dritti nelle piantagioni dall’altra parte dell’Equatore. È così che Marco Bertani si è approcciato al mondo del bean to bar con il suo brand italianissimo Cocoah! seguendo tutte le fasi di lavorazione, dalla piantagione al confezionamento del prodotto che esige trasparenza con dichiarazioni di percentuali di cacao usate e provenienza della sua varietà.
Il produttore e cioccolatiere acquista dalle stesse piantagioni peruviane che, un tempo, erano destinate alla coca e alla schiavitù dei lavoratori e che ora sono al servizio dell’agricoltura. Quello che fa Marco è acquistare fave di cacao e operare per quanto più possibile vicini ai coltivatori, anche se negli ultimi anni diventa sempre più difficile competere con il potere d’acquisto della grande industria che non ha interesse a far fermentare le fave ma essicca e vende subito.
E davanti a questi temi, il costo dell’innovazione per il proprietario del laboratorio artigianale in provincia di Milano non ha solo un significato economico, ma ha un valore in termini di tempo. Perché un artigiano le proprie ore di lavoro non le conta.