Essere alfabetizzati sul mondo dei media, oggi, significa sapere che nessuna classifica, che si tratti dei “100 più grandi batteristi di tutti i tempi” o delle “35 razze di cani più carine mai esistite”, dovrebbe essere presa troppo alla lettera. Sappiamo tutti che, nella maggior parte dei casi, i vincitori sono questione di opinione. Ma il focus su cui ci dobbiamo concentrare, quando parliamo di 50 Best o di Michelin, non è la classifica in sé, ma le logiche a cui afferisce. Per la Michelin l’obiettivo è fare una guida che accompagna chi viaggia, così che il lettore si affidi agli ispettori per un consiglio che deve essere soddisfatto. Questa è la grande differenza tra la critica gastronomica e la Michelin.
E quando si tratta di analizzare la classifica annuale sui 50 migliori ristoranti del mondo, bisogna davvero aprire la mente e porsi la domanda giusta. Non ha senso chiederci se questi locali sono i migliori del mondo. La domanda più importante è: sono ristoranti?
Al netto dello spettacolo di apertura, con ballerine, piume, luci e musica dance elettronica, prendiamo in considerazione alcuni dei vincitori dell’edizione di quest’anno. Il Gaggan, a Bangkok, è stato nominato non solo il nono miglior ristorante del mondo, ma anche il miglior ristorante dell’Asia. Lo chef, Gaggan Anand, accoglie i commensali al suo bancone da 14 posti di fronte alla cucina con “Benvenuti nel mio…”, completando la frase con un termine che evitiamo di scrivere. Propone due atti, con intervallo, ha un menu scritto con le emoji e ogni piatto è descritto con tanto storytelling, che comprende anche storie di ratti e di scantinati.
I cervelli sono importanti anche in altri ristoranti della lista. Rasmus Munk, chef dell’Alchemist, l’ottavo miglior ristorante del mondo, a Copenaghen, prepara una mousse di cervello di agnello e foie gras in un teschio d’agnello, poi lo guarnisce con formiche e vermi da pasto arrostiti. Un’altra delle circa 50 portate – il ristorante le chiama “impressioni” – si nasconde nella cavità di un modello realistico, a grandezza naturale, di una testa di uomo a cui è stata rimossa la parte superiore del cranio.
Nella lista ci sono anche dei ristoranti normali, dove una persona normale può mangiare una cena relativamente normale e tornare a casa relativamente ben nutrita, anche se alcuni di questi, come Asador Etxebarri in Spagna e Schloss Schauenstein in Svizzera, sono difficili da raggiungere, quasi tutti sono molto costosi.
Ma l’elenco è dominato da posti in cui le persone normali non possono entrare, dove i pochi commensali che si fanno in quattro per prenotare tornano a casa pieni e ubriachi. Non sono ristoranti, o non sono solo ristoranti. Pete Wells, storico critico gastronomico del New York Times, scrive: «Sono prove di resistenza, spettacoli teatrali, monumenti all’ego e – le due parole più spaventose nella ristorazione – “esperienze immersive”. È impossibile stabilire se la World’s 50 Best cerchi questi spettacoli o ne sia semplicemente sedotta. Il sito web della lista è un modello che dovrebbe essere analizzato da chiunque voglia studiare parole che sembrano importanti e non significano nulla. A proposito di ciò che serve per conquistare l’attenzione dei 1.080 “esperti indipendenti” che compongono il corpo elettorale dell’organizzazione, il sito web dice questo: “La definizione di “migliore” spetta a ciascun votante: come i gusti di ognuno sono diversi, così lo è l’idea di ognuno di ciò che costituisce un’esperienza di ristorazione eccellente. Naturalmente la qualità del cibo è fondamentale, così come il servizio, ma lo stile di entrambi, l’ambiente, l’atmosfera e il livello dei prezzi sono più o meno importanti per ogni singolo individuo”.
Questo chiarisce la questione, e questo differenzia in maniera sostanziale questa classifica dalla guida rossa più rilevante al mondo, la Michelin.
Nei primi anni, quando la lista veniva pubblicata dalla rivista Restaurants, i redattori la vedevano come una sorta di anti-Michelin, ed erano orgogliosi di inserire posti che non sarebbero mai entrati nella Michelin. Carnivore, un buffet di carne all’aperto in un sobborgo di Nairobi, in Kenya, è arrivato al n. 47 nel 2003. Gli chef possono illudersi di operare come fabbriche di idee, di offrire viaggi intellettuali e colpi emotivi. Ma in realtà stanno solo gareggiando per ottenere voti in un elenco che ridurrà qualsiasi risultato ottenuto in sala da pranzo a una serie di cliché sul sito World’s 50 Best Website. Table by Bruno Verjus, il terzo miglior ristorante di quest’anno, offre “vini straordinari e cibo incredibile”. Un pasto al Disfrutar è “l’esperienza culinaria di una vita”.
Conclude Wells: «La cosa che mi chiedo di questa esperienza di una vita è se mi divertirò. Ma questa non è una domanda a cui il World’s 50 Best Restaurants si propone di rispondere».