Snack olimpici Federazione che vai, passione (gastronomica) che trovi

Nutrirsi correttamente è basilare per arrivare preparati a una competizione. Ma il cibo, anche per gli atleti, è un grande supporto psicologico, in grado di rassicurare in momenti di grande tensione

Foto di Rakicevic Nenad

Vi abbiamo raccontato come, dove e cosa mangeranno nel Villaggio Olimpico gli atleti che partecipano ai Giochi, anche se qualcuno sta già evadendo perché non trova quello che cerca. Pare infatti che la nazionale inglese abbia già lasciato la mensa del Villaggio.

Come scrive l’Independent, la squadra britannica ha inviato uno chef per preparare i pasti per i propri atleti a Clichy, dopo che nel Villaggio Olimpico le porzioni erano deludenti e c’era un razionamento di cibi ad alto contenuto proteico, indispensabili per chi gareggia. Sodexo Live, la società incaricata del catering, ha dichiarato di aver aumentato gli ordini giornalieri di molti degli articoli più richiesti dopo le lamentele alla vigilia dei Giochi e ha attribuito la scarsa qualità del cibo ai problemi di approvvigionamento dovuti alle enormi quantità richieste.

Ma a Parigi, per chi gareggia, da mangiare non c’è solo ciò che viene proposto dalla grande mensa: alle delegazioni di ciascun Paese è consentito portare anche il proprio cibo. Molti hanno approfittato dell’opportunità per assicurarsi che gli atleti abbiano non solo il nutrimento di cui hanno bisogno, ma anche le specialità di casa propria. Per gli atleti nutrirsi correttamente è fondamentale: per chi deve fare una performance atletica e ha bisogno di avere il giusto carburante per il proprio corpo non ci possono essere sgarri sulla dieta. Ma il cibo è anche rassicurante e in momenti di così grande tensione è importante avere qualcosa di certo e solido al quale aggrapparsi, anche a tavola. E ogni nazione ha deciso di portare con sé alcuni cibi o snack che siano baluardi di nazionalismo gastronomico, solide certezze edibili da sgranocchiare tra una gara e l’altra.

«Gli americani sono stati molto espliciti su ciò che volevano. Erano più esigenti e sensibili riguardo all’avere molti prodotti senza glutine e una dieta più a base vegetale», hanno confidato a Eater. Ma quando si è trattato di mandare le proprie specialità «hanno spedito frullati proteici, pretzel, popcorn, carne secca, barrette energetiche e, naturalmente, burro di arachidi per i loro atleti». Sani sì, ma fino a un certo punto.

La delegazione olimpica irlandese, invece, ha deciso di puntare tutto sulla colazione: «Stiamo portando avena, tanta», dice Sharon Madigan, responsabile della nutrizione per la squadra irlandese. A quanto pare, i francesi preparano un porridge scadente. Lo slop parfait, quella specie di pastone di avena e latte che si prepara la sera per la mattina dopo, non è ancora arrivato a Parigi, evidentemente: del resto, loro mangiano brioche.

Anche per il Kenya “pastone” in arrivo: Purity Kamande, nutrizionista del Kenya, ha inviato a Parigi Gold tè e ugali, un impasto denso di farina di mais: «La regola empirica è cercare di attenersi il più possibile a ciò che è familiare e ridurre al minimo il nuovo», afferma. Nessuna novità da testare, nessuna decisione da prendere e nessuna incertezza, almeno sul fronte cibo: questi aspetti secondari non devono andare a intaccare la già precaria stabilità emotiva degli atleti.

Ma spesso la scelta di cosa portare ci dà un’idea identitaria del Paese: e l’Australia si assicura che la sua squadra olimpica non rimanga senza caffè, che per il nuovo continente è uno dei must che l’ha resa celebre in tutto il mondo. Oltre a portare il proprio barista ai giochi in modo che gli atleti possano gustare un flat white, come ci racconta il Guardian l’Australia ha allestito un’intera dispensa con prodotti come Weet-Bix, Vegemite, Milo e 2.400 meat pie. A quanto pare, stanno anche celebrando il Taco Tuesday, e per questo hanno portato 30 kg di salsa. «Il nostro team logistico è stato molto, molto impegnato – dichiarano gli organizzatori della delegazione australiana – e abbiamo prenotato oltre 3.000 voli e più di 21.000 pernottamenti per essere pronti per questa avventura».

E se la Giamaica ha portato il condimento jerk, una preparazione con cui ancora oggi si macerano le carni di maiale o di pollo prima di cucinarle ben coperte sulla griglia, in modo da mantenere più persistente il sapore delle spezie e di cui vi abbiamo raccontato qui, la delegazione olimpica giapponese ha la sua zuppa, preparata appositamente dall’azienda Ajinomoto, che ha sviluppato una ricetta speciale per gli atleti con lo chef Ryuji Teshima e ha chiesto che il Villaggio Olimpico fosse rifornito di abbondante miso e ha anche incoraggiato gli atleti giapponesi a mangiare polpette di riso e dashi.

La nutritissima squadra olimpica cinese ha portato con sé alcuni dei suoi chef per preparare il cibo per i suoi atleti. In menu pollo del Sichuan e dolcetti di Rice Krispies. Perché anche gli atleti hanno ricordi d’infanzia gastronomici di cui non vogliono fare a meno.

E gli atleti italiani? Un portavoce del Coni ci spiega che gli atleti, compatibilmente con le gare, possono andare alla nostra hospitality house Casa Italia, di cui abbiamo raccontato tutto qui, e possono godersi i piatti di Davide Oldani. L’Italia ha poi anche un’altra location satellite all’Istituto per giovani ciechi con il cuoco Giovanni del centro di preparazione olimpica del Coni di Formia: un punto di appoggio in più per gli atleti non residenti al Villaggio. E sul cibo nel centro mensa, ci rassicurano: «Dopo giorni di difficoltà sono tornati latte (non diluito con acqua), carne e uova. Gli atleti possono partecipare comunque alle degustazioni degli chef francesi, che sono di alto livello, ma non soddisfano purtroppo la domanda. Le file in mensa comunque si stanno riducendo». Segno che dopo i primi giorni complicati tutto si sta normalizzando.

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