È una sala impressionante di ottomila posti dall’acustica eccezionale. Il Théâtre Antique di Vienne, uno dei migliori teatri all’aperto in Europa, riprende a vibrare dal 27 giugno al 16 luglio a suon di jazz, funk e sperimentazioni musicali ibride. Il pubblico “verticale” attende impaziente sulle gradinate della costruzione romana risalente al primo secolo. Dal palco, i musicisti che si esibiscono spesso non sono abituati ad un pubblico così diretto. Qui il concerto è qualcosa di più. Immaginate cosa dev’essere stato per i grandi Miles Davis, Ella Fitzgerald, Michel Petrucciani, Sonny Rollins o Chick Corea quando sbarcavano di fronte ad una scena così sorprendente.
Nel 1981 tre amici, Pierre Domeyne, Jean-Paul Boutellier, Jean Gueffier ebbero l’intuizione di fondare un festival che programmasse tutti quegli artisti impegnati a rompere i codici della musica, con la volontà di difendere composizioni che si impregnano di sonorità multiple. Inizialmente orientati verso Lione, hanno fatto base a Vienne, a una trentina di chilometri a Sud, scoraggiati dalle difficoltà burocratiche di una grande città. Con la loro energia hanno contribuito a (ri)scrivere la storia del jazz, programmando più di duecento artisti per edizione che fanno bene, sensibilizzando la comunità locale al jazz e attirando l’attenzione del jazz-set internazionale. Anche quest’estate è giunto il momento di assistere a quest’evento un po’ magico che non ha mai cessato di reinventarsi.
Quando li raggiungiamo, a poche ore dal debutto ufficiale della quarantatreesima edizione di Jazz à Vienne, il direttore generale Samuel Riblier e il direttore artistico Guillaume Anger, non possono far altro che sperare che fili tutto liscio. L’ultima cosa che gli resta da fare è monitorare il meteo, nella speranza che si stabilizzi. A questo punto il festival non gli appartiene più. Sono pronti per restituirlo al pubblico, più di duecentotrentamila frequentatori fedeli. «È una manifestazione pensata per coniugare un’esigenza artistica tra i musicisti invitati con la convivialità di un festival radicato nel suo territorio, che da sempre appartiene ai suoi abitanti», ci racconta Guillaume Anger. Samuel Riblier prosegue: «È un festival sincero nel senso autentico.
Durante tutto l’anno lavoriamo con l’obiettivo di soddisfare il pubblico per accoglierlo umanamente. Ci concentriamo sulla ristorazione, sull’accoglienza dei disabili e sulla programmazione per i più piccoli». Insieme i due direttori forgiano l’atmosfera indimenticabile di Jazz à Vienne. Spetta a loro sorprendere gli spettatori. La programmazione – per tre quarti gratuita – si spinge ben oltre i confini del Teatro Antico, fino a coinvolgere i celebri dei giardini Cybèle, cattedrali, chiese, musei e piazze pubbliche.
Il direttore generale prosegue: «C’è una cosa in particolare che credo siamo gli unici a fare da circa vent’anni. Il lunedì e il martedì apriamo il festival riunendo due volte quattromila bambini di tutte le classi provenienti dalle scuole di trenta comuni limitrofi nel teatro antico. Vederli sulle gradinate, cogliere tutto il loro entusiasmo è uno spettacolo mozzafiato. Tutti quelli che abitano nei paraggi se ne ricordano». Ciò che confeziona tutto l’anno in stretta collaborazione con Guillaume Anger è un vero atto creativo: «Non si tratta di uno spettacolo che acquistiamo da un catalogo preesistente. Immaginiamo momenti creati appositamente per i più piccoli con un vero impegno artistico». Jazz à Vienne si avvicina a loro in maniera pedagogica, programmando in anticipo attività che coinvolgono professori, conservatori e scuole di musica.
«Da anni la nostra politica tariffaria è la stessa: bambini e ragazzi dai quattro ai quattordici anni pagano quattro euro per tutti i concerti, inclusi quelli delle grandi star. Vogliamo facilitare l‘accesso a tutti e promuovere l’ascolto della musica dal vivo», aggiunge soddisfatto. Anche l’offerta che gravita attorno alla proposta musicale non è lasciata al caso: «Il festival è l’evento dell’anno da non perdere nella zona. Per questo trovo coerente che raccontare il territorio e coinvolgere tutti coloro che lo rendono speciale rientri tra le nostre missioni. Mettiamo in risalto i prodotti dei produttori locali, ma anche gli chef che li rielaborano. Sono anni che ci lavoriamo su e mi sento di dire che abbiamo finalmente raggiunto un livello interessante».
Diana Krall, Stacey Kent, Caravan Palace, Chucho Valdés, Ibrahim Maalouf, Go Go Penguin… sono solo alcuni degli headliner che si esibiranno quest’anno al teatro antico. Per mantenere un certo dinamismo, in parallelo i programmatori presentano artisti emergenti come Louis Matute, validissimo rappresentante di tutta una nuova generazione di musicisti che sanno miscelare jazz con altri generi, Trombone Shorty, un’istituzione a New Orleans, il giovane Yamê, o ancora Masego, Gabi Hartmann. Guillaume Anger risponde alle esigenze di un pubblico che conosce il festival da molto tempo e rinnova le sue aspettative con proposte attuali: «La programmazione è costante, permanente. Ho sempre qualcosa in testa che evolve nel corso dell’anno.
Bisogna stare molto attenti a ciò che accade attorno a noi, la scena musicale è sempre più zelante, repentina. Spesso paragono questo mestiere alla creazione di un puzzle gigantesco. Per me è davvero così: all’inizio abbiamo più pezzi sparsi che facciamo combaciare man mano che il lavoro procede. È un processo intricato che stiamo già approcciando per l’edizione 2025. Ogni serata è un pezzo e ad un certo punto la programmazione risulterà completa, coerente e preferibilmente bella». In quest’ottica non mancano iniziative come New’Garo, il 7 luglio, che celebrerà l’opera del mitico Claude Nougaro, autentico poeta scomparso venti anni fa, o un progetto che coinvolge musiciste francesi e brasiliane, il cui concerto in Francia verrà replicato a novembre in Brasile.
«Ricordo che l’anno scorso, durante il concerto di Jacob Collier ha piovuto dall’inizio alla fine. Un diluvio. A differenza delle gradinate, il palco è sempre ben protetto. Eppure, nonostante le secchiate d’acqua, il pubblico ha indossato gli impermeabili ed è rimasto ad ascoltare imperterrito. La gente è uscita bagnata fino alle ossa ma con il sorriso stampato in faccia. Si sono divertiti tutti». Da sempre, le condizioni climatiche precarie di Vienne aggiungono qualcosa alla storia, una piccola drammaticità: «Un’avversità come un temporale fa sì che una volta tutto finito ci si guardi e ci si senta contenti di quello che si è fatto perché gli spettatori hanno passato una bella serata e se ne ricorderanno», ci confida emozionato Samuel Riblier, curioso di costruire il suo prossimo ricordo.
Nonostante tutte le innovazioni e i miglioramenti che potrà apportare al suo festival nelle edizioni future, è consapevole che ciò che non cambierà mai a Vienne sarà l’atmosfera familiare di una festa di campagna. Anche lui e Guillaume Anger, come noi, sono impazienti di vivere l’immancabile ultima nottata di musica live, il 16 luglio, per scatenarsi in compagnia di Léon Phal e Vulfpeck. Fino a quando, verso le sette del mattino, non cominceremo a provare un velo di nostalgia. Jazz à Vienne giungerà al termine e ci toccherà aspettare un anno per ritrovarlo.