Desperate House-WhiteIl servizio di Vogue su Jill Biden è una lezione (involontaria) sul rapporto tra moda e potere

A distanza di tredici anni, le tecniche persuasive dei mass media sono ancora molto simili. Due foto messe a confronto ci dimostrano il potenziale della politica nel manipolare le immagini, ma soprattutto confermano lo stretto legame tra fashion system e potere

Joe Biden e Jill Biden. Foto di Andrew Harnik / LaPresse

L’hot topic estivo del 2024 è la politica. Tra elezioni, dibattiti presidenziali in diretta televisiva, nuovi top jobs europei e perfino un attentato a Donald Trump, sono settimane davvero intense per i partiti e i loro candidati, che stanno attuando le più disparate (e disperate) tecniche di captatio benevolentiae pur di collezionare una percentuale di voti decisiva a loro favore. 

Tra le recenti strategie, non è di certo passata inosservata quella della first lady Jill Biden che posa in copertina per Vogue con un abito di tuxedo bianco del brand americano Ralph Lauren. Niente è fuori dall’ordinario: il colore dell’abito è quello giusto. Il bianco, infatti, nella cultura americana rimanda alle suffragette e all’impegno politico delle donne nel favorire la loro  partecipazione alla res publica.

Norman Jean Roy/Vogue

Anche la posa supera la prova, poi,  l’intervista ci consegna un’immagine della perfetta Flotus (First Lady of the United States) che ascolta il popolo, ne raccoglie le richieste e spinge il marito, nonché presidente degli Stati Uniti d’America, a prendere la decisione migliore per il proprio Paese.

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Tutto fila liscio, o almeno fino a quando si arriva alla seconda foto dell’articolo. L’immagine in questione ritrae Jill Biden seduta alla scrivania impegnata in una telefonata concitata: l’atmosfera tesa ricorda quella che troviamo in The situation room, una foto scattata nel 2011 dal fotografo e giornalista americano Pete Souza che ha segnato la storia della comunicazione politica. 

The situation room, 2011. Foto di Pete Souza

La fotografia di tredici anni fa, diffusa ufficialmente dal governo statunitense, rimanda a un periodo storico particolarmente significativo, ossia l’imminente cattura del terrorista Osama bin Laden. I punti di contatto con lo scatto diffuso pochi giorni fa da Vogue sono molti, soprattutto in termini di semiotica dell’immagine.

Il principale elemento è l’istantaneità. In particolare, quella del 2011 sembra sia stata scattata di soppiatto, come se qualcuno fosse entrato nella stanza e avesse “rubato” il frame, ma in realtà è stata costruita a tavolino. A guardarla meglio, potremmo dire lo stesso della foto di Jill Biden su Vogue. Questa percezione è avallata da diversi fattori che troviamo all’interno delle due immagini. 

In The situation room, sul tavolo davanti a Hillary Clinton, allora segretaria di Stato, vediamo alcuni documenti sparsi, probabilmente relativi all’operazione antiterroristica in corso, che sono stati pixelati in fase di post-produzione. La stessa operazione è stata compiuta con i fogli che sta analizzando Jill Biden.

Un altro aspetto significativo, inoltre, è il fatto che i monitor dei computer siano spenti anche se aperti: lo stesso accade con lo schermo dell’iPhone della first lady statunitense che, come scrive la giornalista e autrice dell’intervista Maya Singer, era impegnata in « una telefonata per una raccolta fondi» in vivavoce.

La Presse

La lista di dettagli comuni è lunga, ma ci sono anche aspetti più sottili, su cui bisogna soffermarsi un po’ di più per notarli e che sono, per entrambe le immagini,  effetti di senso, perché contribuiscono a costruire l’idea di spontaneità dello scatto. 

Ad esempio, come spiega a Linkiesta Etc Ruggero Eugeni, professore di Media semiotics all’Università Cattolica, «dal punto di vista di una semiotica plastica (ossia delle forme) le due foto hanno lo stesso taglio, con un affollamento di elementi visuali sulla destra e un andamento di “sollevamento” verso l’alto; tuttavia nella foto del 2011 questo effetto è dato da un agglomeramento di persone, mentre nel caso della first lady c’è una massa scura di mobili alle sue spalle» che riempie quello spazio.

Inoltre, nell’immagine alla Casa Bianca del 2011, gli abiti informali indossati da Barack Obama, Joe Biden e gli altri politici suggeriscono la spontaneità e l’agitazione del momento. Nella foto di Vogue, invece, è l’ambiente stesso a risultare informale e a suggerire un’idea di normalità. La first lady, infatti, si sta preparando prima di un discorso nel retrobottega di una birreria a Bloomington, nel Minnesota, presso l’ufficio del manager del locale, circondata da badge, adesivi e oggetti vari.

Gli abiti di Jill Biden sono sempre eleganti e formali in tutti gli scatti del servizio per Vogue. In copertina, per esempio, veste Ralph Lauren e indossa gli orecchini del brand di Los Angeles Irene Neuwirth, mentre nella foto oggetto di paragone – quella in cui parla al telefono – porta un abito Michael Kors. Quelli appena elencati sono tutti brand statunitensi, con fatturati miliardari e che – in particolare Ralph Lauren e Michael Kors – hanno contribuito a costruire un immaginario e dei codici stilistici ben precisi e riconoscibili per una certa fetta di mercato americano. Si tratta di una scelta editoriale patriottica, non soltanto stilistica né certamente casuale, come non lo è quella di posare per la rivista di moda più conosciuta al mondo, che non ha mai nascosto il suo sostegno al Partito democratico.

Secondo Maria Cristina Marchetti, professoressa di Sociologia dei fenomeni politici, il servizio di Vogue su Jill Biden è stato «un tentativo disperato» di ridare smalto all’immagine del presidente statunitense dopo il primo dibattito televisivo con Donald Trump. È dello stesso parere anche Rachel Tashjian, giornalista di punta del Washington Post, che ha commentato la presenza di Jill Biden sulla cover del magazine di moda con l’espressione «she is more like a symbol», piuttosto che un manifesto politico con idee e proposte concrete.

L’effetto desiderato, insomma, pare non sia stato raggiunto, anche perché le preoccupazioni attorno allo stato di salute di Joe Biden non accennano a placarsi. I motivi sono molteplici. Innanzitutto, il recente attentato a Donald Trump ha una forza mediatica crescente e la diffusione delle immagini che ritraggono il candidato repubblicano nel momento dell’attacco, saranno destinate a imprimersi nella storia delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti.

Al contrario, nel caso della cover che ritrae Jill Biden, si parte già da una causa poco coinvolgente e già giudicata negativamente dal popolo: l’intento di rimediare agli errori di un uomo di ottantuno anni a cui si sta chiedendo, per altri quattro anni, di amministrare un Paese come gli Stati Uniti.

Il servizio di Vogue non ha ottenuto i risultati sperati anche per ragioni legate al periodo storico attuale. A raccontarcelo è Maria Cristina Marchetti, che ha anche scritto un libro dal titolo “Moda e politica. La rappresentazione simbolica del potere” (Motus), in cui dedica un intero capitolo al ruolo delle first lady nella storia. Secondo la docente, «la figura della first lady è ormai anacronistica e cozza con gli ideali di emancipazione femminile per i quali è importante scardinare l’appellativo di “moglie di”».

Inoltre, sappiamo che storicamente alle Flotus statunitensi è spettato il compito di dedicarsi a battaglie sociali per consolidare il loro legame con i cittadini. Proprio in quelle occasioni, le mogli dei presidenti americani hanno sfruttato la moda come un manifesto per comunicare, consegnarsi alla storia e consolidarsi nell’immaginario degli elettori: l’ennesima dimostrazione che il fashion system non può essere relegato soltanto a paillettes e frivolezze. Jill Biden, però, nei suoi quattro anni alla Casa Bianca non si è quasi mai espressa e schierata su questioni etiche e sociali particolarmente delicate. Ecco perché gli scatti su Vogue che la ritraggono in contesti urbani e informali risultano poco credibili. La moda, per quanto sia influente, non può compensare la mancanza di sostanza.

Un esempio alternativo è sicuramente quello di Michelle Obama, comparsa ben tre volte sulla copertina di Vogue. A consacrarla nella memoria collettiva, però, è stata un’intervista del 2018 , durante la quale indossa dei luminosi stivali alti di Balenciaga di glitter gialli. 

La politica, quindi, non si è mai disinteressata alla moda, anzi, la sfrutta come un palco su cui inscenare discorsi paternalistici e persuasivi. Questo accade non solo quando dà voce ai suoi protagonisti, ma anche quando li priva della loro luce. Un esempio è la vicenda che ha coinvolto Melania Trump (moglie di Donald Trump), mai apparsa su Vogue.

La comunicazione politica, nonostante continui a utilizzare strategie di persuasione fondate su immagini costruite a tavolino, non sempre riesce a orientare le opinioni e gli umori della cittadinanza. La foto del 2011 è riuscita nel suo intento mediatico, mentre la reazione innescata da quella del 2024 non si è rivelata efficace. Le forti similitudini visive tra i due scatti, infatti, non possono snaturare la percezione del reale: nel primo esempio si cercava di placare l’ansia generale in vista della cattura del più noto terrorista al mondo, nel secondo di compatire la più alta carica dello Stato. E gli abiti, soltanto nel caso del servizio di Vogue, possono contribuire a ricordarci il ruolo simbolico di Jill Biden, piuttosto che l’oggetto della sua comunicazione.

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