Gastronomika per il socialeServe davvero far ruotare il vino nel calice?

È davvero utile quel gesto che gli esperti fanno prima di annusare il calice? E soprattutto, perché lo fanno? Partendo dalla spiegazione degli aromi del vino scopriamo se dobbiamo farlo anche noi

Marshall Tilden III, su Instagram @westchesterwine, è Chief Revenue ed Education Officer di @wineenthusiast, uno dei migliori siti internazionali sul vino. Dall’alto del suo diploma WSET (Wine & Spirit Education Trust) sostiene che ci sia «un enorme valore e uno scopo nel far roteare il vino nel bicchiere». Ma è davvero utile? E soprattutto, perché lo facciamo?

Iniziamo da più lontano. In soldoni, da cosa è dato l’aroma del vino? L’aroma del vino è un insieme molto complesso e sfaccettato di composti volatili. E che cosa sono i composti volatili? Essenzialmente molecole più o meno complesse che a una temperatura più o meno alta e a una pressione più o meno alta sono in grado di volatilizzarsi, di passare dal vino all’aria contenuta nel bicchiere, per poi essere annusati e percepiti da noi, o meglio dagli organi sensoriali adibiti a riconoscere determinate molecole collegandole alla nostra memoria olfattiva, la nostra banca dati aromatica, che abbiamo costruito e costruiremo in tutto l’arco della nostra vita… (un piccolo consiglio, iniziate da piccoli).

Volendo semplificare molto, in passato la definizione scolastica più comoda è stata quella che divideva gli aromi in tre tipi: primari, secondari e terziari.  

I primari sono gli aromi che derivano direttamente dall’uva: sono quindi direttamente legati al bouquet aromatico genetico della varietà e variano in quantità e tipologia durante la maturazione dell’uva, quindi cambieranno a seconda dell’epoca di raccolta o a seconda della salubrità dell’uva (pensiamo per esempio alla botrite nel Sauterne). 

Gli aromi secondari sono quegli aromi che si sviluppano durante la trasformazione dell’uva in vino, quindi dall’intervento della fermentazione alcolica e/o malolattica e sono legati agli aromi primari e ad alcuni precursori contenuti nell’uva, ma sono anche spesso legati al tipo di contenitori usati per vinificazione e affinamento del vino. 

Gli aromi terziari sono un’evoluzione dei primi due, dovuta all’invecchiamento, al degrado di alcuni di essi o all’ossidazione; quindi sostanzialmente al contatto del liquido con l’aria, che può avvenire in cantina, in bottiglia o nel bicchiere.

Se volete saperne di più sugli aromi e sul loro mondo così complesso vi consigliamo di leggere il bellissimo e molto tecnico libro di Luigi Moio “Il respiro del vino” anche perché questa divisione tra primari secondari e terziari era vera e univoca con le conoscenze enologiche di sessant’anni fa, quando si conoscevano poche centinaia di aromi. Ora che ne conosciamo probabilmente migliaia abbiamo capito che questa classificazione non ci permette di cogliere appieno le connessioni fra aromi precursori e l’evoluzione degli stessi durante la vita del vino, partendo dall’uva fino ad arrivare in bottiglia. 

Alcuni di questi aromi sono percepiti da noi come positivi, altri potrebbero essere definiti con una spiegazione sbrigativa con “aromi negativi” ma sarebbe meglio dire che possono diventare negativi sopra a una certa concentrazione. 

A che cosa ci serve questa storia? Serve a capire che l’aroma del vino è un affare complesso e non basta una singola e distratta annusata a bicchiere fermo per farci percepire tutte le sfumature contenute in un bicchiere. Annusare un vino a bicchiere fermo ci farà capire solo una piccola parte degli aromi contenuti in quel vino. A volte a causa della maggiore volatilità di alcuni composti o di una loro maggiore potenza aromatica potremo percepire alcune note anche sgradevoli, come per esempio la famosa riduzione, che andrà a coprire note più piacevoli o che a seconda della concentrazione potrebbe conferire al vino in questione note minerali o note saline o note iodate.

Questo succede in caso di basse concentrazioni.

In caso invece di alte concentrazioni di questo composto potremo percepire aromi di uova marce o cavolo cotto, decisamente più sgradevoli. C’è però un ma. Alcuni di questi composti altamente volatili tendono, se non in concentrazione eccessiva, a disperdersi in maniera piuttosto rapida, da qui l’utilità di roteare il vino nel bicchiere per permettergli di ossigenarsi meglio o di liberarsi da questi sentori in maniera più rapida. Questa cosa succederebbe anche decantando il vino, quindi versandolo dalla bottiglia in una caraffa o in un decanter, in modo che “prenda aria” e si ossigeni.

Scegliamo la bottiglia che vogliamo bere, mettiamo un Bordeaux degli anni Novanta. I Bordeaux di quelle annate sono notoriamente caratterizzati da acidità piuttosto spiccate, sentori erbacei più presenti e tannini piuttosto vivaci: tutte caratteristiche che possono condurre il vino in questione alla presenza di aromi di riduzione che andrebbero a coprire il bouquet del vino se servito immediatamente dopo la stappatura. Inoltre, la normale degradazione dei polifenoli e la precipitazione di qualche tartrato presente potrebbe condurre alla presenza di piccoli cristalli o depositi di colore bruno scuro assolutamente innocui dal punto di vista salutistico ma che potrebbero inficiare la degustazione del vino e il suo aroma. Ossigenandola evitiamo tutto questo. Un sistema che preferiamo su tutti è quello di scolmare il giorno prima del servizio una bottiglia versandosene un bicchiere, ritappare la bottiglia e lasciare che l’aria immessa così faccia il suo corso. È un altro modo per ossigenare delicatamente il vino, molto pratico. 

Nello stesso modo, si ossigena il vino roteando il bicchiere: si aumenta infatti così la superficie del vino a contatto con l’aria, trasferendone più molecole aromatiche che avranno così modo di raggiungere i nostri organi sensoriali. (Se poi riuscirete a farlo roteando il bicchiere sollevato dalla tavola con un gioco di polso sarete a tutti gli effetti dei pro).

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