Non si ricorda una mobilitazione delle coscienze simile a quella che l’altro giorno deplorava il provvedimento di rimpatrio di un gruppo di ragazzini ucraini disposto da un giudice bresciano e poi sospeso nel pomeriggio di ieri da un successivo ordine giudiziario. Per carità, è ben possibile che avessero ragione gli operatori umanitari che insistevano sulla mancanza di garanzie per quei minori da rispedire in un Paese in guerra, così come è possibile che il rimpatrio fosse indesiderato innanzitutto da parte loro, i ragazzi, ormai inseriti in un circuito di accoglienza dal quale non vogliono essere distaccati.
Qualcosa sente di marcio, tuttavia, nell’atteggiamento inquisitorio rivolto ai responsabili ucraini che crudelmente, insensibili alle loro esigenze, vogliono strappare quei ragazzi alle cure degli ospitanti di casa nostra. Per la cinquantina di minori che gli orchi di Kyjiv vogliono riprendersi in una scena di pubblica esecrazione, infatti, migliaia sono stati rapiti dalla belva russa senza che presso le platee protettive dell’infanzia maltrattata si registrasse anche solo un sospiro, impegnate com’erano a spiegare che bisognava smettere di dare armi da mettere in mano a genitori tanto irresponsabili. Non li sentivamo, questi piagnucoloni per la mala sorte delle creature «rimandate in un teatro di guerra!», «costretti a lasciare chi li ha accolti con tanto amore!», non li sentivamo quando i denazificatori del Cremlino ne deportavano mille, cinquemila, diecimila verso i siti di rieducazione alla purezza slava.
La compassione dedicata alla famiglia o alla scuola lombarda che avrebbe dovuto mestamente salutare i giovinetti che aveva amorosamente ospitato non la si ricorda sulle notizie – quotidiane, e quotidianamente neglette – delle deportazioni di bambini ucraini in Russia e Bielorussia, i quali erano strappati a genitori evidentemente poco amorevoli e a una terra, l’Ucraina, che non vanta il senso della famiglia così sviluppato nell’Italia subalpina.
Attenzione. È ovvio che se si trattasse soltanto della preoccupazione per l’incolumità di quei figli sarebbe diverso. Si tratta invece della coscienza sporca che si risveglia sul caso agevolmente patetico di quelle creature dopo due anni e mezzo di assopimento sulla più crudele e impunita operazione di rapimento di massa di minori a un tiro di schioppo da noi. Il tutto, non dimentichiamolo mai, con la colonna sonora che accompagnava quel dolce riposo, e cioè che i russi «puntavano sui propri obiettivi, e nel frattempo cercavano di non spaventare la popolazione».