Il caffè del primo risveglio, quello preso di fretta nel bar sotto, il caffè del dopo pranzo, il caffè della pausa. Gesti che diventano quasi automatismi nella nostra vita, specialmente in Italia, dove il caffè fa parte della nostra cultura, ma che diamo troppo spesso per scontato. Le cose finalmente stanno cambiando e, accanto alla moka preparata a casa alla mattina, o alla tazzina che ci prepara il barista con un po’ di distrazione, anche da noi sta cominciando a crescere una certa consapevolezza e voglia di saperne di più su questa bevanda dalla storia complessa e da una filiera che parte da lontano. Degli specialty coffee abbiamo già avuto modo di parlare e spiegare quali siano le differenze rispetto ai caffè commerciali. Ciò che emerge sempre, quando ci addentriamo in questo settore, è la poca informazione a riguardo e, forse, la mancanza di formazione in chi il caffè ce lo deve servire.
«Sono stata dietro il banco per trent’anni. Sono una barista, che negli ultimi quindici anni ha voluto approfondire le sue conoscenze sulla caffetteria e sul mondo del caffè» a parlare è Stefania Zecchi. Per mestiere oggi è una coffelier di 1895 Coffee Designers by Lavazza e si occupa, tra le altre cose, della formazione del penultimo anello della filiera produttiva: coloro che preparano il caffè. Una professione, quella di Stefania, creata ad hoc per il progetto di 1895 Coffee Designers by Lavazza e della sua Factory, dedicata proprio agli specialty coffee. «I miei studi arrivano dalla Specialty Coffee Association, associazione che a livello mondiale detta gli standard qualitativi sul caffè e propone un piano formativo molto complesso e completo». Ad oggi, quella del coffelier non è ancora una professione standardizzata e riconosciuta totalmente, nonostante stia crescendo il numero dei corsi per diventare esperti nel mondo dei caffè. L’abbiamo già detto più volte, ma è importante sottolinearlo: il caffè è un prodotto della terra, dell’agricoltura, al pari di altri prodotti, come ad esempio il vino, e per questo c’è bisogno di figure professionali in grado di veicolare le informazioni e riportarle ai consumatori sotto forma di un racconto che diventa, non solo esperienza, ma anche conoscenza e quindi strumento di scelta di consumo consapevole.
Nella Factory 1895, a Settimo Torinese, Stefania segue proprio questo aspetto: gestisce «l’esperienza proposta a tutto lo staff dei clienti 1895 Coffee Designers by Lavazza. Questo perché è importantissimo coinvolgere sia proprietari dei locali che i baristi, attraverso un percorso che tocca tutta la filiera del caffè, a iniziare dal mondo della piantagione fino ad arrivare all’assaggio finale in tazza». Il concetto fondamentale di formazione è illuminante, un po’ come succede nel mito della caverna di Platone: dopo non si può tornare indietro. «Il barista diventa coffelier grazie alle conoscenze tecniche e l’uso dello storytelling, valorizza l’impegno di tutti i protagonisti della filiera, affinché possa essere percepito dal consumatore finale».
Durante la formazione Stefania trasmette diversi concetti, tutti fondamentali quando si parla di caffè. La botanica, l’importanza della scelta del terreno e del territorio, le tecniche di coltivazione e di raccolta: sono tutte tematiche che vanno ad affrontare ogni aspetto della filiera e che servono ad arrivare al punto finale con la degustazione del caffè. Dentro, c’è un mondo. «Con chi deve preparare il caffè, parliamo ovviamente anche di tostatura», un concetto importantissimo, su cui spesso si fa confusione. Noi, profani del caffè, ad esempio, pensiamo che una cremina bella spessa e densa sia sinonimo di un espresso di qualità alta. Stefania ci spiega che questa crema «deve avere determinate caratteristiche: deve essere lucida, consistente, persistente ed elastica e non deve essere troppo spessa, perché quello, in realtà, è il risultato di tostature intensive fatte non a regola d’arte, che avvengono in tempi molto brevi e a temperature molto alte». Sono elementi di fisica, che bisogna conoscere per comprendere la complessità celata dietro la tazza. Durante la tostatura, infatti, «viene prodotta anidride carbonica, responsabile della formazione della crema, insieme alle alte temperature e agli oli contenuti all’interno del chicco. Maggiore è la produzione di anidride carbonica, maggiore sarà lo spessore della crema e quindi non conforme agli standard di qualità.
In Factory i caffè vengono tostati a cicli di dieci chili per volta, il tempo di tostatura varia dagli otto ai dodici minuti, creando le condizioni ideali per esaltare profumi e gusti. Il momento della formazione qui da noi è fondamentale proprio per questo, perché si vanno a sfatare tutti i luoghi comuni sul caffè, dando però gli strumenti al barista per andare a estrarlo e valorizzarlo nel modo migliore».
Sono luoghi comuni, appunto, che devono essere superati, alla luce soprattutto del cambiamento in atto in questo settore dal gran fascino, ma ancora troppo inesplorato. Eppur qualcosa si muove, grazie anche al lavoro di professionisti come Stefania, che cercano di introdurre un tipo di esperienza nuova sia al bar che al ristorante. Oltre alle caffetterie che offrono gli specialty, infatti, anche i ristoranti di fine dining inseriscono nella loro experience di degustazione quella dedicata al caffè. Perché di questo si tratta, di esperienza, che non può essere limitata a un caffè e via, ma merita un momento a parte. Forse ci vorrà ancora un po’ di tempo ma sicuramente, un po’ come succede per tutto il resto del settore agroalimentare, anche i luoghi destinati all’alta cucina saranno veicolo del racconto degli specialty coffee, creando una nuova cultura del caffè, più consapevole e informata.