Il 28 luglio si è aperto un nuovo capitolo per il Venezuela, reduce da elezioni presidenziali che hanno acuito le tensioni interne e la crescente polarizzazione tra il governo e l’opposizione, con emblematiche e ampie fratture che attraversano il continente. Ad annunciare il risultato finale è stato il Consejo Nacional Electoral (Cne), organismo statale incaricato di supervisionare le elezioni, proclamando la vittoria di Nicolàs Maduro con più del cinquantuno per cento dei voti rispetto al concorrente Edmundo Gonzàlez. Una vittoria, questa, che continua a generare – a distanza di qualche giorno – molta preoccupazione tra le strade di Caracas e delle principali città dello Stato. I sostenitori di Gonzàlez denunciano brogli elettorali e mancanza di trasparenza, accusando il governo di aver modificato i voti e portando anche gli Stati Uniti – che da tempo sostengono l’opposizione venezuelana – a richiedere un’indagine indipendente sui risultati elettorali. In risposta alle proteste dell’opinione pubblica, Maduro risponde: «L’opposizione sarà ritenuta responsabile di tutta la violenza criminale che sta diffondendo nel paese. Ho ordinato il dispiegamento delle forze armate per garantire sicurezza dove necessario», accusando poi l’America centrale di fascismo e imperialismo.
A destare sospetto, infatti, sono le sei ore di ritardo nell’annuncio dei risultati delle elezioni viste, da parte del popolo venezuelano, come un ennesimo tentativo di manipolare le votazioni e far sì che la dittatura resti. A contestare questi tempi di attesa è, soprattutto, la leader dell’opposizione Maria Corina Machado (MariCori per i sostenitori) che commenta: «Sfidiamo la Cne a fornirci i risultati. Perché questo ritardo? Qual è la paura?» e «I risultati non si negoziano. L’unica cosa che siamo disposti a negoziare è una transizione con garanzie per tutti». In risposta, le autorità hanno creato violenza tra le strade della capitale.
Il dato di maggiore importanza, poi, è quello relativo alle vittime. Le strade dei principali quartieri di Caracas, da El Silencio e Los Cobos a Chacao e Petare si tingono di rosso. A confermare il fatto è Foro Penal, organizzazione per i diritti umani latinoamericana, che annuncia ventuno desaparecidos, numero destinato a crescere. Una mobilitazione, dunque, che ha portato i civili a essere vittime di bombardamenti, gas lacrimogeni e costanti repressioni. «I risultati truccati sono la prova che la libertà per i venezuelani tarderà ad arrivare. Non riesco ancora a credere di essere viva e ho paura per il futuro di MariCori» e «Ero in compagnia di mio figlio, quattordicenne, partecipavamo a una manifestazione post-elezione nel cuore di Chacao. Camminavamo per strada quando ci siamo resi conto che la situazione stava degenerando. Ho smesso di urlare contro il governo e ho cercato un vicolo libero per fuggire, quando tre uomini incappucciati appartenenti al regime hanno puntato una mitragliatrice AK 47 alla testa di mio figlio, per poi passare a me. Ho temuto il peggio, pensavo che non sarei uscita viva», testimonia Clara Rodriguez, quarantadue anni.
Si tratta, quindi, di un gioco di equilibri delicati, in cui ogni mossa può avere conseguenze imprevedibili. «Ogni notte è un incubo. Viviamo con il terrore costante di essere aggrediti in casa o di essere deportati in carcere. Il controllo di Maduro è totale. Anche se abbiamo vinto con il settanta per cento dei voti, il suo team controlla ogni aspetto del Paese: dal telefono ai servizi essenziali. L’acqua è disponibile solo per quattro ore al giorno, anche meno dopo le rivolte del popolo e al supermercato troviamo solo una frazione di quello che ci serve. Contano perfino i pacchi di farina che puoi acquistare, e non sono mai sufficienti», aggiunge Julia Sanchez, ex psicologa radiata dall’albo per aver firmato contro il governo dittatoriale di Maduro.
Un fenomeno, questo, che ha coinvolto moltissimi dipendenti statali come testimonia Luis Sanchez, attuale venditore ambulante ed ex banchiere che dichiara di aver risposto, durante l’orario di lavoro, ad un sondaggio sul Presidente chavista e ciò lo ha portato ad avere un’iniziale riduzione dello stipendio (da dieci a tre dollari al mese) e successivamente il licenziamento. «Non solo abbiamo perso la dignità e il sostentamento, ma vivo con la paura che possano arrestarmi. Non so cosa mi riserva il futuro, ma so che non possiamo tornare indietro». Clara, in aggiunta, sottolinea come le modalità di repressione del governo Maduro siano cambiate nel tempo, iniziando con gas lacrimogeni fino a terminare – ad oggi – con bombe, armi da fuoco e mazzate. «Non capiamo come sia stato possibile far arrivare al potere quest’uomo. Inizialmente la promessa era quella di formare un governo populista, ma in realtà corrompeva i poveri delle favelas per avere più voti. Qui ci siamo resi conto dell’inganno». Le proteste, inizialmente pacifiche, sono rapidamente degenerate in violenze, con gruppi di manifestanti che hanno preso di mira simboli del potere chavista, abbattendo statue di Hugo Chavez e incendiando edifici governativi.
In un mosaico geopolitico tanto complesso, l’instabilità del sistema internazionale emerge come una costante e lo scenario che si prospetta desta continua preoccupazione. Attualmente, è interessante capire la reazione del settore privato a seguito della rielezione di Nicolàs Maduro. Certamente, questa ennesima vittoria non è ancora stata accettata dalle potenze mondiali e continua a essere contestata da osservatori internazionali e accademici, aumentando il rischio di dar vita a ulteriori sfide economiche per il paese. Motivo per cui, è impossibile escludere il rischio di ottenere sanzioni internazionali.
I dati dell’ultimo report pubblicato dal New York Times mostrano che è altamente improbabile che la recente rielezione di Maduro spinga l’amministrazione Biden a revocare le ampie sanzioni economiche imposte contro il Venezuela, soprattutto se dalle verifiche fatte emergesse un’eventuale irregolarità. Inizialmente, queste penalità sono state introdotte a seguito della violazione da parte del governo venezuelano dei diritti umani, della mancanza di democrazia e una rielezione considerata illegittima non farebbe altro che consolidare la posizione di Washington e degli alleati nel mantenere tali restrizioni.
La crisi economica ha già portato all’emigrazione di un cittadino su cinque negli ultimi dieci anni, un indicatore allarmante che riflette la disperazione e la difficoltà di molti venezuelani. La mancanza di opportunità, l’inflazione galoppante e le carenze di beni di prima necessità hanno spinto milioni a cercare una vita migliore altrove. In un contesto diverso, un’elezione senza intoppi e senza accuse di brogli avrebbe potuto aprire la strada a una maggiore apertura sul mercato. Una maggiore trasparenza e legittimità politica avrebbero potuto attrarre investimenti esteri e stimolare una ripresa economica, con benefici non solo per il Venezuela ma anche per i suoi vicini. In particolare, Brasile e Colombia, storici partner economici del Venezuela, avrebbero potuto trarre vantaggio da una stabilizzazione della situazione politica venezuelana. Una maggiore cooperazione regionale avrebbe potuto promuovere progetti comuni e migliorare le relazioni economiche e diplomatiche tra i Paesi.
Tuttavia, la posizione forte di Lula, presidente del Brasile, contro Maduro, è un segnale chiaro delle difficoltà nei rapporti regionali, tanto da affermare: «Quando si perde, si va via» e il suo invio del principale consigliere di politica estera, Celso Amorim, a Caracas, indicano la gravità della situazione. Amorim, con la sua esperienza, avrà il compito di valutare le dinamiche locali e la possibilità di continuare a fare affari con la potenza petrolifera. La strada da percorrere è incerta e richiede attenzione e misure tempestive da parte di tutti gli attori coinvolti.
Al momento, Maria Corina Machado corre numerosi rischi, dalla prigione fino alla morte. La leader democratica, infatti, ha deciso di abbandonare la scena per un po’, come riporta un articolo sul The Wall Street Journal. «In questo momento, temo per la mia vita e per la mia libertà», rivela una fonte sullo stato d’animo della Machado. Il motivo? Un mandato di arresto da parte del regime chavista, non ancora eseguito.
Nel frattempo, la situazione sul terreno è diventata sempre più tesa. La risposta della società civile e dei sostenitori di Maria Corina è stata rapida e decisa. Giovedì, 1 agosto, i leader dell’opposizione hanno fatto appello ai cittadini affinché scendessero in strada per chiedere giustizia. Ciò ha portato le autorità a intensificare la loro campagna di intimidazione, mirando a sopprimere il dissenso e a controllare il malcontento popolare. Questo clima di paura, in caso di proclamazione del nuovo governo, sarebbe sostituito – secondo il migliore degli scenari – da una modernizzazione dell’industria petrolifera, migliore gestione e trasparenza, recupero dei beni nazionali, con un conseguente tentativo di riformare le istituzioni, combattere la corruzione e promuovere un mercato più libero. Un cambio di governo sotto la guida di Maria Corina potrebbe anche portare a un miglioramento delle relazioni con i paesi occidentali e un possibile allentamento delle sanzioni internazionali, se le sue politiche dimostrassero un impegno verso la democrazia e i diritti umani.
Tuttavia, l’implementazione di queste riforme potrebbe incontrare resistenze interne e sfide economiche significative, specialmente in un contesto di crisi prolungata e instabilità. Ad ogni modo, la Machado – durante la sua ultima apparizione – conclude con: «Da questo sabato 3 agosto, innalza la bandiera a casa tua, il nostro simbolo di libertà».