Da qualche tempo, le discussioni sul bilancio sono più complesse in Germania di quanto siamo abituati a vedere in Italia. L’anno scorso, la Corte dei Conti dichiarò illegittimo l’utilizzo di fondi avanzati dall’emergenza covid per misure di sostegno alle imprese, creando al governo un buco di sessanta miliardi di euro. Quest’anno, le trattative hanno fornito il pretesto per l’ennesimo caso di conflittualità interna al governo, diventato poi anche l’ennesimo caso in cui si sono registrate indecisioni tedesche in materia di sostegno all’Ucraina. Secondo il ministro delle Finanze Christian Lindner, liberale e interprete dell’ala austera del governo, dopo le emergenze legate a pandemia e guerra il 2025 dev’essere l’anno che riporta la Germania al rigore dei conti, in linea con il freno del debito (Schuldenbremse) inserito in Costituzione.
Come naturale, il dibattito sul bilancio ha visto trattative anche aspre all’interno della maggioranza, con i diversi ministeri intenzionati a vedersi garantito il budget necessario. Il risultato è stata una sequela di dichiarazioni spesso discordanti dei vari leader di partito, culminate in un accordo finale annunciato più volte, sempre però con varie modifiche, e poi messo nuovamente in discussione da un parere legale richiesto dal governo stesso, per evitare casi come quello dell’anno scorso.
A fronte delle difficoltà nel far quadrare i conti, e dopo che la bozza di accordo di luglio prevedeva quattro miliardi di aiuti all’Ucraina nel 2025 (contro i sette e mezzo del 2024), Lindner avrebbe comunicato già il cinque agosto al ministro della Difesa Boris Pistorius, socialdemocratico e popolarissimo, e alla ministra degli Esteri, la verde Annalena Baerbock, che ogni futuro aiuto all’Ucraina da parte tedesca sarebbe provenuto non più dal bilancio federale ma dai fondi russi bloccati dall’Unione Europea e dai Paesi del G7. A giugno, in effetti, i Paesi del G7 hanno raggiunto un accordo preliminare per circa trecento miliardi di dollari di beni sovrani della Russia immobilizzati per garantire un prestito di cinquanta miliardi all’Ucraina. Oggi, però, non c’è un accordo sui dettagli tecnici, per i quali potrebbero volerci mesi. La linea di Lindner rischia dunque essere poco fattibile, allo stato attuale.
Il sedici agosto, la Frankfurter Allgemeine Zeitung, venuta in possesso della lettera, ha dato notizia del caso, scatenando una serie di domande nella (e verso la) maggioranza. Per sedare il tutto, dopo qualche giorno si è espresso sul tema il Cancelliere Olaf Scholz, affermando che la Germania «non abbandonerà l’Ucraina», sostenendola «fino a quando necessario» e aggiungendo come sulla questione degli asset russi bloccati il governo è «politicamente unito» e intenzionato a chiarire presto ogni aspetto tecnico, «in modo da garantire un aumento considerevole del sostegno all’Ucraina da parte della comunità internazionale». Ma non è ancora chiarissimo quando questo denaro sarà disponibile, né se la bozza finale dell’accordo sul bilancio includerà i quattro miliardi di euro previsti nel testo di luglio.
Proprio l’incertezza dominante sul tema autorizza una serie di considerazioni. La prima, persino banale, è l’alta litigiosità interna al governo tedesco, ormai evidente al punto che qualche settimana fa anche Frank-Walter Steinmeier, il presidente della Repubblica, ha ammesso di non considerare impossibile un termine anticipato della legislatura (circostanza piuttosto rara in Germania). Certo, il tema non è nuovo e si protrae ormai da anni, ma è significativo come sul bilancio non si sia ancora arrivati a un vero accordo dopo mesi, costringendo prima a posticipare le scadenze e, nel caso specifico dell’Ucraina, spingendo Scholz a rassicurare senza però avere, davvero, la situazione chiara.
La seconda considerazione è proprio sull’Ucraina: come ricordato da Scholz, la Germania è lo Stato europeo che ha aiutato più corposamente Kyjiv negli ultimi anni, dal punto di vista finanziario. Spesso, però, alcune decisioni in materia di forniture militari sono arrivate dopo diverse titubanze e attese, a volte potenzialmente complicando la situazione sul campo e ritardando anche quando altri partner si erano già attivati. È sintomatico che, in una fase di spending review, uno dei tagli riguardi proprio gli aiuti all’Ucraina, con tutto quello che comporta sul fronte internazionale e della sicurezza. Non a caso, contro l’ipotesi di bloccare gli aiuti si sono espressi anche figure interne alla maggioranza come Michael Roth, presidente socialdemocratici della commissione esteri del Bundestag, per il quale il segnale sarebbe «tremendo», o Jens Spahn, ex ministro e oggi dirigente nazionale della Cdu, che afferma come la credibilità tedesca ne uscirebbe fortemente indebolita.
Da ultimo, occorre notare come il conflitto sul bilancio, ora come l’anno scorso, sia fortemente amplificato dallo Schuldenbremse, l’imperativo sul pareggio di bilancio di cultura squisitamente tedesca. Il freno al debito, infatti, ha mostrato tutti i suoi limiti in questi anni di crisi, costringendo la Germania a varare deroghe per far fronte alla pandemia, prima, e alla necessità di aiutare Kijv, poi. Di fronte a questa consapevolezza, vale la pena chiedersi se, in momenti cruciali, lo Schuldenbremse si riveli più un ostacolo che una tutela, costringendo a trattare come questioni contabili quelle che, in realtà, sono questioni politiche profonde.
Tutti temi che, per ora, rimarranno aperti, e che entreranno prepotentemente ancora nel dibattito politico tedesco, soprattutto in vista della tornata di elezioni locali che inizierà il primo settembre, e che vede l’estrema destra in testa nei sondaggi dei Länder orientali, capitalizzando sulla crisi di consenso dei partiti di governo, e soprattutto considerato che manca ormai un anno alle prossime elezioni federali.