Long BrexitL’ondata di violenze xenofobe nel Regno Unito non è una questione di immigrazione

Le rivolte dei gruppi di estrema destra inglesi non sono la conseguenza della mancata integrazione con la popolazione islamica, bensì di un odio ideologicamente radicato e alimentato dall’illusione fallita di un «take back control»

Unsplash

Le violenze xenofobe, che stanno incendiando il Regno Unito, non nascono affatto dal problema della mancata integrazione e dell’ostilità separatistica di una parte della popolazione islamica (che è un problema serio, ma non c’entra). Non nascono neppure dalla rivalità nell’accesso alle opportunità del lavoro e del welfare britannico tra stranieri e indigeni (che non è affatto un problema, e quindi non c’entra perché proprio non c’è). 

Nascono al contrario dalla Brexit, dall’illusione frustrata del «take back control» e da una campagna di condizionamento politicamente e mediaticamente ingegnerizzata e ritagliata a misura delle idiosincrasie e umiliazioni dell’homo britannicus post-novecentesco davanti alle dinamiche del grande mondo globale, cioè al prodotto più autentico e felicemente imperiale e più violentemente rinnegato del liberalismo anglo-americano e del suo successo politico.

Nascono insomma dalla stessa promessa e dallo stesso inganno che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca e i seguaci a scatenare al suo cenno l’inferno, a invadere il Campidoglio e a dare la caccia ai traditori di quell’America destinata a tornare di nuovo grande solo rimpicciolendosi, abbandonando le responsabilità del mondo, ribaltando il mito della frontiera in una paranoica e ossessiva claustrofilia ed erigendo muri esterni e interni in un delirio mistico di purezza e fanatico di violenza.

Questi fenomeni si iscrivono in quella grande guerra alla democrazia e alle democrazie, che suggella l’alleanza di tutti i sabotatori dell’ordine mondiale e dell’unità occidentale. La loro causa è la loro natura, non gli inneschi che i dinamitardi dell’odio fungibilmente utilizzano per fare esplodere i propri ordigni, ricavandoli dagli innumerevoli e crescenti depositi di «diversità», che le società aperte secernono e squadernano per lo scandalo degli «uguali». 

La causa della xenofobia non è l’immigrazione e gli immigrati; non più di quanto dell’antisemitismo lo siano l’ebraismo o gli ebrei. La causa è un odio ideologicamente impastato con la memoria evolutiva dell’homo sapiens, che non ha alcuna motivazione e giustificazione al di fuori di sé stesso e del proprio algoritmo.

Concedere che problemi sociali reali o percepiti, legati all’immigrazione o a qualunque altro tema politicamente sensibile e controverso, siano qualcosa di più di un pulsante che aziona il meccanismo tribale dell’odio e ne perpetua il movimento, al di là di ogni evidenza, non significa solo legittimare fenomeni di natura intrinsecamente criminale, ma anche equivocarne e sminuirne la potenza eversiva, in senso tanto politico quanto cognitivo. 

Il razzismo precede e fonda le razze su cui dispiega la propria violenza e giustifica la propria legittimità. Se non si parte da qui non si può comprendere il fenomeno, né il disegno degli agenti del caos che vi si esercitano per rendere la guerra civile nel Regno Unito e nell’Occidente «inevitabile». Però, inevitabile o meno che sia, capiamo almeno di che guerra si tratta.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter