ForzalavoroIl cambio della guardia al ministero e il contratto delle troupe del cinema scaduto da venticinque anni

Mentre alla Cultura arriva Alessandro Giuli dopo l’affaire Boccia, i lavoratori del settore cinematografico sono in agitazione. Contro la riforma del tax credit, ma anche per chiedere il nuovo Codice dello spettacolo. In un mondo in cui esiste un Ccnl che non viene rinnovato dal 1999. E i sindacati? Iscriviti alla newsletter di Lidia Baratta

(Unsplash)

Succede che, mentre ormai l’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha lasciato il posto ad Alessandro Giuli, i lavoratori del cinema italiano sono in stato di mobilitazione. Hanno protestato durante il Festival di Venezia e il comitato “Siamo ai titoli di coda” ha scritto già una nuova lettera al neoministro.

Il cuore della protesta è la riforma del tax credit, arrivata in ritardo dopo quasi un anno di attesa e stop forzato delle produzioni, introducendo nuovi requisiti per l’accesso alle agevolazioni, che – dicono  – sono «insostenibili» per i film indipendenti. Ne ha parlato pure Nanni Moretti da Venezia. Mentre Sangiuliano, prima di dimettersi, si è preoccupato di firmare i decreti per le nomine della “commissione selettivi”, che è quella stabilisce quali film possono ricevere i finanziamenti pubblici.

Ma la protesta dei lavoratori è dovuta anche all’ulteriore proroga del Codice dello spettacolo, da cui si attendono anche nuovi ammortizzatori per un settore che per sua natura è fatto di lavoro intermittente. Qualche esempio dall’Osservatorio dell’Inps sui lavoratori dello spettacolo: nel 2023 gli attori hanno lavorato in media ventuno giorni, registi e sceneggiatori centoquattro. E la nuova indennità di discontinuità, introdotta da poco, alla fine copre solo una piccolissima parte (circa il 15 per cento) della platea che, senza poter accumulare i giorni necessari, non può accedere neanche alla Naspi (indennità di disoccupazione).

Quando si pensa al cinema, di solito vengono in mente il red carpet e gli attori. E invece ci sono circa 260mila lavoratori che ruotano intorno a questa macchina complessa: dagli operatori ai costumisti, dagli assistenti di regia alle sarte.

Il problema è che nell’ultimo anno, senza certezza su tax credit e budget a disposizione, molte produzioni sono state costrette a fermarsi, quelle straniere hanno preferito spostarsi altrove, e il lavoro si è quasi dimezzato. E siccome le produzioni ripartono con lentezza, nel 2025 molti si troveranno disoccupati, senza ammortizzatori e rischiando di perdere anche l’anno contributivo (che pure dopo il Covid è stato abbassato a novanta giorni).

Il tutto mentre, invece, il sistema delle relazioni industriali nel cinema italiano sembra conoscere una nuova stagione di rinnovi e prime volte. Nel 2024, per la prima volta sono stati sottoscritti i contratti collettivi degli attori e degli stuntman. E tutti i contratti scaduti sono stati rinnovati o sono in via di rinnovo.

Tranne uno…

Manca ancora all’appello il contratto delle troupe, scaduto nel lontano 1999. Ben venticinque anni fa. Dopo un aggiornamento delle tabelle retributive nel 2004, le carte non sono più state toccate. La richiesta di aggiornamento era ripartita nel 2019, ma poi è scoppiata la pandemia e la trattativa si è fermata.

Ora le trattative sono riprese, con i negoziati che durano da mesi. Perché venticinque anni sono un’era geologica soprattutto per questo lavoro, tra trasformazioni tecnologiche e modifiche dell’organizzazione. Quindi, oltre all’inevitabile adeguamento degli stipendi, va ridefinito il tipo di professione da mettere nero su bianco nei contratti. E ancora non si è trovato un accordo.

La domande, davanti a un contratto scaduto da così tanto tempo, sono tante: perché non è stato rinnovato? come hanno fatto a lavorare le troupe in tutti questi anni? e dov’erano i sindacati?

Anche perché, guardando i dati Inps, solo per gli operatori parliamo di quasi ventimila lavoratori.

Ovviamente, le paghe dei contratti oggi sono più alte dei minimi sindacali indicati in quel pezzo di carta che nessuno ormai più guarda. E poi, in un mondo in cui tutto il lavoro è intermittente, ci sono anche tante partite iva.

Insomma, in tutti questi anni le troupe si sono «autodisciplinate», senza fare più riferimento al contratto collettivo. «Per le paghe ormai si segue il mercato. Il che è un bene e un male allo stesso tempo. Quando c’è molto lavoro, le paghe salgono. Quando ce n’è poco, come ora, si abbassano», raccontano gli operatori. Che se la prendono con i sindacati «incapaci di rinnovare il contratto in tutti questi anni». Non è un caso, forse, che nel frattempo siano nate associazioni e comitati autonomi dei lavoratori del cinema, che non guardano proprio di buon occhio le sigle sindacali confederali.

Quello delle troupe è un caso fa riflettere sul ruolo della rappresentanza, dei sindacati e della contrattazione collettiva. Sul fatto che – come pensano alcuni – non bastano solo i contratti nazionali a creare sostenibilità economica e salari giusti in alcuni settori. Che spesso si autodisciplinano, al rialzo e sicuramente anche al ribasso. Con o senza sindacati. Con o senza ministro della Cultura.

 

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