«Non ci possono essere due partite Iva nella stessa famiglia». Lo diceva qualche giorno fa Veronica, avvocato, raccontando di aver rinunciato con un certo rammarico alla sua carriera da libera professionista per essere assunta come legale in un’azienda.
Da lavoratrice dipendente – spiegava – potrà ora usufruire dell’assicurazione sanitaria offerta dall’azienda, di una lunga lista di benefit di welfare aziendale (compresi contributi per asilo nido e baby sitter) e soprattutto degli sgravi pubblici per la maternità che da autonoma non aveva.
Lo diceva, bevendo un caffè, dando per scontato l’altro gender gap: quello tra le donne lavoratrici dipendenti e le donne lavoratrici autonome. In un Paese in cui chi non ha un contratto stabile ha molte meno tutele di chi ce l’ha, per le donne questo vale il doppio. Perché il nostro – ahinoi – è anche quel Paese in cui sostegni familiari e agevolazioni per la natalità sono ancora indirizzati quasi esclusivamente alle madri, secondo la logica per cui le donne si occupano delle questioni familiari mentre gli uomini lavorano.
Tra libere professioniste, imprenditrici e collaboratrici, in Italia il numero di lavoratrici autonome è in crescita. Nel secondo trimestre del 2024 hanno superato gli 1,6 milioni (circa un terzo degli uomini). Ma, al di là di tutti i proclami governativi, non sempre le misure di sostegno familiare e i famosi incentivi per la natalità le vedono coinvolte. Anzi.
In Italia, autonome e dipendenti hanno lo stesso diritto al congedo obbligatorio di maternità di cinque mesi con indennità all’80 per cento. In entrambi i casi, si può fruire anche del congedo parentale facoltativo, in aggiunta a quello obbligatorio con una indennità del 30 per cento della retribuzione media giornaliera. Ma la lavoratrice dipendente può arrivare a un massimo di sei mesi entro i primi dodici anni del bambino, quella autonoma a tre mesi entro il primo anno del neonato.
E negli ultimi anni, tra sgravi e sconti, le famose misure per incentivare l’occupazione femminile sono state destinate quasi soltanto alle dipendenti.
Dal 2023, le leggi di bilancio hanno previsto il raddoppio dell’indennità per un mese aggiuntivo oltre al congedo parentale standard da utilizzare entro i primi sei anni del bambino con una indennità all’80 per cento. Anche qui, solo per le dipendenti.
All’assegno unico universale, a cui possono accedere tutti i lavoratori, il governo Meloni ha poi affiancato il noto “bonus mamme”, che però è tutt’altro che universale. Si prevede un esonero del 100 per cento dei contributi previdenziali fino a un massimo di tremila euro l’anno annuali per le lavoratrici dipendenti con tre o più figli, fino ai diciotto anni dell’ultimo figlio. Per il 2024, l’esonero è valido anche per le madri con due figli, se almeno uno dei due ha meno di dieci anni. Ma questa agevolazione è concessa solo alle lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato. Restano fuori tutte le altre.
Alcune lavoratrici autonome possono fruire dei servizi delle casse previdenziali degli albi di appartenenza. Altre pagano di tasca propria le assicurazioni, che offrono anche coperture in caso di eventi come la malattia o la maternità. Chi riesce, prova a virare verso il lavoro dipendente per avere maggiori tutele. Molte altre faticano o rinunciano del tutto a lavorare.
Nei giorni in cui spuntano di continuo ipotesi di nuove misure in vista delle legge di bilancio 2025, si è parlato della possibile estensione del bonus mamme anche alle partite Iva finora escluse. Ovviamente dipenderà delle coperture a disposizione della manovra. Che però sono poche.
Ma forse, più che parlare di un altro bonus estemporaneo, si potrebbe fare per una volta un discorso più ampio per equiparare le tutele di lavoratori dipendenti e autonomi. Magari pure senza fare differenze tra madri e padri, in modo da promuovere la condivisione dei compiti di cura e incentivare davvero l’occupazione femminile che è la più bassa d’Europa.
In Svezia, quest’anno si celebrano i cinquant’anni dal congedo parentale, per madri e padri, finanziato dallo Stato. In Francia, il presidente Emmanuel Macron ha promesso sei mesi di congedo per entrambi i genitori. Giorgia Meloni potrebbe sfidarlo per una volta su una questione per cui ne vale davvero la pena.
Ps: Sicuramente abbiamo dimenticato qualcosa nell’elenco di agevolazioni a cui le lavoratrici autonome non possono accedere. Per altre segnalazioni o per raccontarci le problematiche che incontrate, scrivete a [email protected].
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